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domenica 22 settembre 2013

il Palazzo d'Attila

L'attuale Villaggio del Pescatore sorge su quella che in realtà era una baia, interrata e bonificata negli anni '50. Però fino al secolo scorso, dove oggi ci sono le case del Villaggio del Pescatore c'era una palude e, qualche secolo prima, il mare.
Tale baia era detta "del catino" o "Val Catin", ed era chiusa da una scogliera ancora oggi visibile dietro alle costruzioni del primo nucleo abitato del Villaggio.
Sul ciglio di tale scogliera si trovano dei resti murari, fatti di pietre squadrate legate con malta, di non facile interpretazione (soprattutto oggi, in quanto per la maggior parte celate dalla folta vegetazione). Alcune foto risalenti all'epoca precedente alla prima guerra mondiale, quando la vegetazione era quasi assente, rendono l'idea dell'imponenza e complessità delle opere murarie.
Si intravedono anche i resti di un pavimento in cocciopesto, realizzato con rottami di pietra carsica e laterizi, legati con malta, con una cavità sottostante ormai occlusa (forse una cisterna?). Resti di laterizi si notano anche nella zona circostante.

il Palazzo d'Attila nei primi anni del XX secolo


Popolarmente queste rovine sono dette "Palazzo d'Attila", in quanto secondo la leggenda il "palazzo" venne dapprima utilizzato e poi distrutto da Attila nel 452, nel corso della campagna militare contro Aquileia.
E' tuttavia possibile che si tratti del mitico "Castellum Pucinum" citato da Plinio, e che si tratti del medesimo "Potium" o "Pucium" nel quale nel 737 d.C. venne rinchiuso il patriarca di Aquileia Callisto: la posizione dominante, che permetteva un efficace controllo sia della baia che della strada di accesso, ben si prestava ad un'opera militare di controllo.
I resti, come si presentano oggi
Secondo P. Kandler, nella zona sottostante si trovavano degli anelli in ferro infissi nella roccia per l'attracco delle navi.

Riporto la descrizione dettagliata da http://siticar.units.it/ca/adriatico/sito.jsp?id=4_A :

Il sito si estende sulla cima del rilievo carsico dominante sulla baia detta “del Boccatino” o “Val Catin”, interrata negli anni ’50 per permettere l’estendersi del Villaggio del Pescatore. I resti attualmente visibili, attribuiti fino ad anni recenti ad epoca medievale, sono situati sulla cima del rilievo retrostante all’area corrispondente al sito di Casa Pahor, UT 159. Come già intuito dal Puschi, il corpo principale si dispone su tre livelli dei quali i primi due costituiscono le sostruzioni al complesso abitativo vero e proprio, situato più in alto. Esse, realizzate interamente in opera cementizia con paramenti a blocchi regolari, si articolano in due strutture parallele lunghe oltre 40 metri che definiscono l'estensione verso mare dell'intero complesso, superando un dislivello totale di almeno 10 metri. La struttura più esterna, costruita sulla roccia a strapiombo sul mare, opportunamente scalpellata, presenta un fronte articolato da contrafforti larghi c.ca 2 metri per una profondità di 3,50. La pulizia ne ha individuato tre che si legano saldamente alla struttura retrostante lasciando una luce di 5 metri scarsi. Il contrafforte più occidentale è anche pilastro angolare e limita l'estensione del complesso su questo lato: il muro che da questo si dipartiva verso nord-ovest, seguendo la forma del "Boccatino vecchio" è in parte crollato e non rilevabile. Sulla base di alcune particolarità rilevate in planimetria, è possibile che su questo lato si aprisse una ingresso secondario (quello principale doveva trovarsi verso nord-est), forse collegato attraverso infrastrutture in legno ad un sentiero (UT ) che permetteva di raggiungere il mare e fonti d'acqua potabile delle quali si conserva memoria orale. La seconda linea di sostruzione, perfettamente parallela alla prima, è conservata in questo punto con un alzato di due metri c.ca, nel quale si notano alcune buche porta palo e tre riseghe lievemente aggettanti. Da questa struttura, dopo c.ca sette metri verso sud-est, se ne diparte un'altra perpendicolare che si aggancia alla prima sostruzione e termina con una pietra angolare, vevendo a definire appunto, un possibile ambiente collegabile ad un ingresso aperto sul lato nord-occidentale del complesso. Il quartiere abitativo occupa il terzo livello. Ad esso sono riferibili numerose strutture delimitanti alcuni ambienti dei quali uno presenta una superficie a cocciopesto-signino gettato su volta. Il sottostante ambiente, non indagato perché completamente riempito, può forse nascondere una cisterna o vani relativi ad un cryptoportico, spesso ricavato quest'ultimo all'interno delle sostruzioni.


lunedì 4 marzo 2013

la dolina celtica di Basovizza

La cosiddetta "dolina celtica" di Basovizza è non solo uno dei luoghi più affascinanti del Carso, ma anche uno dei più misteriosi; tanto da aver generato un vero florilegio di ipotesi sulla sua origine, ed una suggestiva leggenda.

La si trova nel bosco, a sinistra della strada sterrata che da Basovizza conduce a Sesana:


Visualizza Carso segreto in una mappa di dimensioni maggiori

La dolina, profonda circa 6 metri, ha una forma triangolare; lungo il lato sud un muro massiccio sostiene un ripiano artificiale, sotto il quale si apre una cavità, una cameretta circolare, a cui si accede per un corridoio con il soffitto di grandi lastre calcaree
Gli altri due lati della dolina sono costituiti da gradoni, costituiti da massi megalitici e con un riempimento caotico di pietrame. I gradoni verso nord-est sono meglio conservati, mentre gli altri (forse incompiuti) sono parzialmente crollati.
Un'altra stanza ipogea, dotata di due piccole finestre e con il soffitto a falsa cupola, si trova lungo una delle gradinate.
Un elemento curioso sono una serie di rozze steli, parzialmente scolpite: sorta di piccoli menhir, originariamente distribuiti lungo tutti i gradoni e sul ripiano artificiale; oggi molti sono crollati ed altri purtroppo, nel corso del tempo asportati. La sommità di queste steli è a forcella, come a servire da sostegno per una balaustra.
Fino agli inizi del '900 tutta la costruzione era circondata da un massiccio muro di pietra, dotato di un unico ingresso. Questo muro fu demolito per ricavarne materiale per le dighe foranee del Punto Franco Nuovo.
Certamente non si tratta di una delle normali doline, spietrate ed attrezzate con gradoni a fini agricoli: non pare che la dolina sia mai stata coltivata, e le ridotte dimensioni non avrebbero mai giustificato un tale lavoro (alcuni dei massi impiegati nella costruzione pesano più di 2 tonnellate!)
Saggi di scavi archeologici non hanno fornito risultati significativi: nell'ipogeo inferiore sono stati trovati alcuni cocci romani e protostorici, la cui origine non è però determinabile con certezza.
Questa costruzione viene citata per la prima volta nel 1630, in un documento (1) relativo alle confinazioni tra il territorio di Trieste e la contea di Schwarzenegg di Benvenuto Petazzi; tra i riferimenti di confine, viene citata una "vale o Dolina nella quale dicessi già stato un Cortile dei Misteri."
Quindi, già allora l'origine e la finalità di tale costruzione erano sconosciute... anche se il nome "Cortile dei Misteri" potrebbe darci un indizio.
Come prevedibile, una ridda di ipotesi sono state formulate per spiegare l'origine di questo complesso; andrò  qui ad elencarle sinteticamente, senza preoccuparmi di confutarle (anche perché, date le premesse, anche la più inverosimile di tali ipotesi è comunque legittima).

Tempio celtico al dio Cernunnos

Vi è chi vi vede un tempio celtico dedicato al dio celtico Cernunnos (in questa zona dal IV sec. a.C. erano insediati i Carni, una tribù di lingua e cultura celtica); effettivamente l'ipogeo sarebbe abbastanza simile alle tombe dolmeniche, se non fosse per la copertura a volta...

Tribunale celtico

Vi è chi, sempre rifacendosi alla cultura celtica, vi ha riconosciuto un tribunale; lascio che questa teoria venga esposta da Sergio in questo bel filmato, che presenta la "dolina celtica" nella suggestione invernale:



Sede dei Bogomili

E' detta anche "Dolina dei Bogomili", per delle similitudini architettoniche con siti archeologici della Bosnia-Erzegovina riconducibili all'eresia bogomila.
Il Bogomilismo fu una setta eretica cristiana, che nacque nel X secolo come derivazione dalla setta affine dei pauliciani; si sviluppò nel XIII secolo anche in Serbia e Bosnia, e successivamente influenzò la nascita del movimento dei catari.
Sono molto labili gli indizi che potrebbero legare questo dolina al bogomilismo; però non è inverosimile ipotizzare che, nella migrazione dalla Bosnia verso l'Occitania, un gruppo di Bogomili si sia fermato nelle nostre zone...

Teatro Istriota

La struttura della costruzione ricorda proprio quella di un teatro; inoltre nei pressi si trovava un serraglio, luogo di mercato del bestiame, e quindi tradizionale punto d'incontro.
Poiché questa teoria non riuscirebbe a dare una collocazione precisa nel tempo all'edificazione di questo teatro, e poiché lo stesso sembra del tutto alieno alla popolazione autoctona slovena, fu attribuito a genti istriane, che sarebbero giunte periodicamente nel luogo proprio per i commerci di bestiame.
Io peraltro osservo che l'ipotesi che si tratti d un teatro è suffragata anche dal nome "Cortile dei Misteri" attribuitogli nel 1630.  Infatti a partire dal XV sec. il "mistero" era una rappresentazione del teatro popolare a carattere religioso.

La leggenda di Sterpacevo

Secondo una leggenda, tutto il complesso fu eretto in pochi mesi da un contadino dalla forza erculea, per nascondere il tesoro del suo padrone.
Si tratta di una bellissima leggenda, che mi riservo di narrare con più dovizia di dettagli in un prossimo post.


Postazione di artiglieria austro-ungarica

Citerò per ultima l'ipotesi più inverosimile; e poiché, nella sua inverosimiglianza, è contemporaneamente anche quella formulata dalla fonte più autorevole, è l'unica che mi prenderò la briga di confutare.
Alla fine degli anni '70 la locale Sovrintendenza liquidò la costruzione classificandola come postazione di artiglieria dell'esercito Austro-Ungarico, costruita nel 1915 per iniziativa di un capitano ungherese, che avrebbe fatto trasportare il materiale necessario  fin dalle cave di Monrupino.
Perché inverosimile? Per diversi motivi...
Intanto, anche a non voler prestar fede al documento del 1630, esistono testimonianze della sua esistenza già nei primissimi anni del '900 (ricordo che il muro circostante proprio in quegli anni fu demolito per recuperare il materiale per la costruzione delle dighe foranee); quindi, non può esser stata costruita nel 1915.
Poi perché, con quella forma, non avrebbe potuto essere che una postazione per un mortaio di grosso calibro. La costruzione di queste postazioni non era casuale, ma dettata da ben rigorosi principi ingegneristici; di postazioni del genere ce ne sono diverse lungo le pendici dell'Hermada, alcune molto ben conservate; e chiunque si prenda la briga di confrontarle, non potrà non rendersi conto che sono del tutto differenti.
Intanto mancano alcune strutture indispensabili ad una postazione di artiglieria (ad esempio, il bunker con l'ingresso a meandro per proteggere i serventi durante lo sparo).
Poi, per la costruzione di queste postazioni veniva sempre fatto un certo uso di calcestruzzo - magari limitato (era un prodotto costoso e di limitata di disponibilità), ma ad esempio nelle file superiori dei conci veniva usato sempre, per solidarizzarli maggiormente. Il calcestruzzo è invece del tutto assente a Basovizza.
Non si comprende poi perché avrebbero dovuto far arrivare fin da Monrupino rocce di quella dimensione, quando il medesimo risultato si sarebbe potuto ottenere con pietrame di pezzatura ben inferiore (come peraltro, sempre dagli austro-ungarici, è stato fatto proprio alle pendici dell'Hermada).  
Pare mancare poi la rampa di accesso, indispensabile per porre in batteria un pezzo di artiglieria di grosso calibro.
Appare quindi veramente strano che la Sovrintendenza abbia voluto far propria un'ipotesi così bizzarra.


Per approfondire:
  • Dante Cannarella, "Leggende del Carso Triestino", Ed. Italo Svevo, Trieste 2004
  • Dario Marini, "Leggende, dicerie, miti e misteri del Carso", Gruppo Speleologico Flondar, Duino-Aurisina 2004
Note:

(1) - " Laudo per confini fra Trieste e Schwarzenegg", 1632







martedì 8 maggio 2012

il tesoro della grotta del Pettirosso

La grotta del Pettirosso (148/260VG) si trova in una delle doline più suggestive del Carso; con le pareti strapiombanti, folta di vegetazione, vi si accede solo attraverso un unico, comodo sentiero.
E' una zona straordinariamente amena e silenziosa. La superstrada corre in alto, a pochi metri di distanza, e cionostante i rumori vi giungono attutiti e distanti, mentre tutto sembra ispirare una tranquilla serenità.
E' comprensibile che questa caverna, con il relativamente ampio terreno coltivabile antistante sul fondo della dolina, sia servita da rifugio per l'uomo dalle epoche più remote.
Allorché Karl Moser la esplorò per la prima volta, nel 1892, vi rinvenne una rozza costruzione a forma di ferro di cavallo, che dedusse trattarsi di un ricovero o di un pozzo che raccoglieva l'acqua dallo stillicidio ed una enorme piastra calacarea, sotto la quale giaceva lo scheletro di un giovane, in seguito studiato dal Wirchow.
Durante gli scavi, vennero poi rinvenuti frammenti d'osso incisi, un pesce ricavato da un corno di cervo, ceramiche appartenenti alla cultura di Vucedol ed alcuni vasi del neolitico.
Successivi scavi condotti nel 1972 dal prof. Stacul nella dolina antistante produssero svariati reperti dell'età del ferro.
Altri scavi condootti invece dalla Soprintendenza all'interno della caverna diedero risultati abbastanza deludenti, permettendo di recuperare pochi reperti del neolitico e del mesolitico: il terreno era oramai sconvolto da numerosi scavi abusivi.

Ma a cosa fu dovuto questo accanimento degli scavatori abusivi?
Forse il loro obiettivo non furono i reperti archeologici; circolava infatti la voce che, all'epoca delle guerre francesi, in quella grotta fosse stata nascosta una barra d'oro, una croce pure d'oro e parecchie armi.
Furono quindi probailmente i cercatesori (che, sarei pronto a scommettere, rimasero comunque a becco asciutto) a devastare la grotta con i loro scavi, e non gli archeologi abusivi (anche se, tuttavia, probabilmente diedero anch'essi successivamente il loro contributo...)

Per approfondire:
I BAGOLARI (CELTIS AUSTRALIS) DEL DR. L. KARL MOSER NELLA GROTTA DEL PETTIROSSO (1 48/260 VG) PRESSO AURISINA

domenica 24 ottobre 2010

Dagli appunti di Alberto Puschi: Trieste Obcina - antichità e strade

Eccovi la trascrizione integrale di un'altro foglio di appunti di Alberto Puschi.
La prima pagina è priva di data, mentre quella successiva di "aggiunte e correzioni" porta la data del 31 maggio 1901.
Meritano di esser letti con attenzione, perché contengono molti spunti di ricerca degni di essere approfonditi...
Potrebbe trattarsi dell'ultima testimonianza di un piccolo castello medievale (o, più probabilmente, di un tabor), per il resto cancellato dalla memoria.
Seguono quindi alcune mie note, conseguenti anche ad una breve ricognizione sul campo.

Trieste Obcina - antichità e strade
Presso il cimitero del villaggio vedonsi dei solchi impressi nel sasso di una strada che dirigevasi, a quanto sembra, alla volta di Bane e doveva esser ancora più elevata della vecchia strada, detta Goriziana, sulla china (?) dei monti che prospetta il Carso. I solchi distano m. 1.25 l'uno dall'altro.
A destra della strada Obcina-Repentabor, dopo passata la linea ferroviaria e prima di raggiungere la depressione di Percedol, in prossimità alla strada scorgonsi in un sentiero campestre i solchi di antica strada distanti l'uno dall'altro m. 1.25 nella direzione di Greco a Libeccio, in modo che questa strada o si univa o attraversava l'attuale.
Dall'obelisco verso Maestro il primo monte della costiera è detto Selevec e dividesi in tre sommità, delle quali più alta è quella ove fu costruita la vedetta Ortensia. Recandosi da Obcina all'estremità occidentale di questo monte, ove una sella lo divide dall'altro detto Hrib, si scorgono le fondamenta di una muraglia grossa circa m. 1 che dal monte dirigesi verso il cosiddetto bosco Volpi, e viene a trovarsi a S.SOv. di Repentabor.
La sella tanto sulla china del Selevec, quanto su quella dello Hrib presenta avanzi di muraglie, che da quanto si scorge sono costruite senza cemento, che sono orientate da Scirocco a Maestro, et unite con altre da Greco a Libeccio, tutte di grosse pietre tagliate, le quali racchiudono degli spazi quadrilateri. Questi avanzi di costruzioni si protendono sino al punto ove il monte precipita a scendere ripido verso il mare.
Rimarchevole è una muraglia la quale da questa sella percorre il Selevec sul lato che prospetta il mare, in direzione di Ponente a Levante grossa da m. 1.30 at 1.50, sino alla sommità maggiore della vedetta. Alla quale sono addossati (sic!) altre costruzioni, una delle quali sembra di forma semicircolare e pare sia di una torre, mentre le altre comprendono degli spazi quadrangolari, abbastanza vasti.
Vi trovasi anche qualche pezzo di laterizio romano. Gli edifici I muri scarseggiano (?) nella parte occidentale del monte, preponderantemente (?) da quella parte che guarda a manca (?), mancano invece quasi affatto sulle due sommità maggiori orientali, ove invece troviamo una cinta murale, come di un castellaro alla quale si unisce la muraglia principale, che vista alla superficie sembrerebbe costruita di grosse pietre non tagliate. La china che fronteggia il mare è detta Reber (?). Dalla parte opposta verso il villaggio, alle falde del monte si ravvisano ancora i segni d'un lungo muro, che da questo mi dissero corre più in là dell'Obelisco sino alla contrada di Padrich, detta [illeggibile].
A sinistra del sentiero Stefania, andando a Prosecco, pochi passi sotto havvi un sitto detto Romankova Ronna, prato romano ove furono trovati e in terra si trovano laterizi romani, embrici e rottami di vasi.
Frequenti sono in tutti questi paraggi le tracce di antiche cal[illeggibile - presumibilmente calcinaie], nelle quali certamente si sarà consumata una parte del materiale di queste rovine. Questo prato è inclinato a destra [?] strada di Stefania s'estende per circa cento metri sul pendio del monte, il quale tutto all'intorno è distinto col nome di Reber (costruzioni).
Presso Obcina sarebbe stato rinvenuto un martello di pietra verde, che la guida Antonio Vremez mi disse di aver donato a certo Vichichi impiegato del dipartimento forestale della luogotenenza di Trieste.
Presso Contovello sotto la via Vicentina havvi località con rovine di case, che viene appellata Starasello. La chiesa di Obcina è consacrata a S. Bartolomeo, gli abitanti anticam. recavansi alla solennità di S. Giovanni di Duino.

21 maggio 1901. Aggiunte correzioni:
Circa trenta metri a N. Ov. del punto trigonometrico, havvi uno spazio piano cinto di muraglia grossa più d'un metro (metro 1.20), conosciuta col nome di Šanza [?] (Sehanze [?]), il quale ha la forma di un quadrilatero col lato che prospetta la sommità arrotondato, come l'abside di una chiesa. I lati retti sono lunghi trenta metri, quello che prospetta a marina [?] è semplice, laddove quello volto verso la villa e l'altro opposto al curvo sono doppi, consistenti di due muraglie d'eguale grossezza parallele e distanti l'una dall'altra due metri. La direzione di questi muri è da maestro a scirocco e da greco a libeccio. Sono formati di pietre tagliate, ma da quanto vedesi alla sommità senza cemento.
La grande muraglia sul dorso del Selevec comincia sotto questo fortilizio nella sella che unisce la vetta di scirocco, che è la più alta, colla vetta mediana e si estende oltre le due vette di maestro sino alla sella che congiunge questo monte col Hrib. Il terriccio non è nero, pochi sono i rottami, i quali, per quanto osservai, mi sembravano di genere medievale. Converrà fare altre indagini, gli abitanti dicono che questo fortilizio fu costruito a difesa contro i Turchi. Recandomi alla sella tra il Hrib ed il Selevec osservai chiaramente distinta la linea di una strada che conduceva diretta da oriente a ponente fino ai casolari che colà ancora si scorgono, presso i quali il terriccio è nero. Probabilmente da qui si scendeva al prato romano sul quale nei giorni 30 e 31 di maggio feci praticare degli assaggi su d'una superficie di ben 400 m.q. trovando innumerevoli rottami di anfore, vasi e tegole di laterizio romano fra cui un pezzo di collo colla marca [...], una fusaiuola, qualche pezzo di pietra arenaria tagliata (il terr. è calcare e la roccia s'incontra a 30 cm.-40 cm. di fondezza) ma nessuna traccia di costruzione e nemmeno calcinacci.

Qui terminano gli appunti.

La nota più interessante è quella della fortificazione (probabilmente un tabor) sulla vetta del Selevec (oggi riportato sulla CTR come "Selivec").
La zona è stata letteralmente devastata nell'ultimo secolo da un'isteria di impianti: l'acquedotto, numerose linee elettriche (di alcune, ormai dismesse, si intravedono nel bosco solo i basamenti dei tralicci), ed a completare l'opera recentemente anche un'antenna per telefonia cellulare.
La vetta del Selevec/Selivec in particolare è completamente occupata dagli impianti dell'acquedotto (che sono anche recintati). Probabilmente, il tabor è stato completamente demolito e le pietre riutilizzate per le massicciate che circondano l'impianto.

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Anche delle murature che correrebbero lungo la cresta, descritte dal Puschi, non sono rimaste tracce evidenti. Certamente, alcuni raggruppamenti di pietre nel bosco in ordine un po' meno casuale di quanto ci si potrebbe aspettare lasciano immaginare che qualcosa ci sia stato... soprattutto la zona attorno alla vetta dello Hrib è ricca di ammassi di rocce che appaiono non esser frutto solo di un capriccio geologico... però anche questa zona è stata pesantemente lavorata, ed i rimboschimento rende il terreno molto meno "leggibile" di quanto non fosse all'epoca del Puschi (quella volta la zona doveva essere completamente brulla e spoglia).


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Il fatto che questo fortilizio fosse di "pietre tagliate" fa pensare a qualcosa di più di una semplice "fortificazione spontanea"; anche le dimensioni, abbastanza considerevoli (un quadrato di trenta metri di lato) potrebbero indicare che si trattava di qualcosa più di un tabor.
La posizione, indubbiamente "importante", lascia ragionevolmente supporre che in passato vi sia stato quasi certamente un castelliere, e forse anche un fortilizio romano. Questo potrebbe poi esser stato riadattato in epoca medievale, ed usato come tabor. Questo spiegherebbe anche la presenza, almeno nella parte più bassa delle mura (viste dal Puschi), di "pietre tagliate".
Il muraglione doppio e parallelo, che formava un corridoio largo due metri lungo due lati, probabilmente era un pasaggio forzato per meglio difendere l'accesso.
Non è chiara la funzione del lato semicircolare verso sud-est: forse il piede di una torre?
Allo stato attuale dei luoghi, non credo che sia più possibile alcuna indagine che possa fornirci indicazioni più attendibili.

Alcune note per aiutare chi voglia orientarsi in una ricerca "sul campo":
  • il "prato romano" citato da Puschi è la zona di "Campo Romano", oggi occupata dalle casette costruite dal Governo Militare Alleato. Qualsiasi giacimento archeologico è stato ovviamente definitivamente distrutto.
  • Puschi nei suoi appunti usa indicare le direzioni secondo la rosa dei venti.
    Visto che questa consuetudine è ormai desueta e potrebbe non essere familiare a tutti, riporto le corrispondenze:
    maestro           nord-ovest
    greco              nord-est
    libeccio           sud-ovest
    scirocco          sud-est
  • il "punto trigonometrico" esiste tuttora (forse spostato di alcuni metri rispetto alla posizione originaria all'epoca del Puschi). Si trova all'interno del recinto che delimita il serbatoio dell'acquedotto.
    Il punto trigonometrico originale è ben visibile in questa cartolina d'epoca:
      
  • come si può vedere, la zona è vicinissima alla vedetta Ortensia; sarebbe interessante vedere se, da qualche foto "turistica" scattata da questa vedetta, e dimenticata in qualche album di famiglia, si potesse ricavare qualche informazione su questa fortificazione...
  • Nella foto seguente, vediamo lo stato attuale dei luoghi:
Vediamo il massiccio terrapieno che circonda il serbatoio del'acquedotto, e che è stato con tutta probabilità realizzato con le pietre di risulta dalla demolizione delle strutture descritte dal Puschi.
Il punto trigonometrico è (probabilmente) quel pilastrino, sovrastato da un tubo metallico; poiché risulta ormai nascosto dal massiccio serbatoio dell'acquedotto, il punto trigonometrico è stato anche materializzato con un "fuori centro" (il pilastrino, circondato da una pedana, sovrastante al casotto sulla sinistra).

Un dettaglio del punto trigonometrico originale.

L'angolo nord del serbatoio dell'acquedotto. In questa zona doveva trovarsi il tabor. 

lunedì 27 settembre 2010

Dagli appunti di Alberto Puschi: strada romana S. lorenzo a Corgnale

Eccovi la trascrizione di un'altro foglio di appunti di Alberto Puschi (questa volta, privo di data).

Carso di Trieste
Strada Romana S. Lorenzo a Corgnale
Tracce di questa strada si riconoscono lungo le falde del Monte Concusso e consistono di profondi solchi distanti m. 1.30 e di avanzi di letto scavato (?) a dorso di mulo, con scambi (?) per i carri. Sembra che questa strada si staccasse dalla strada di Fiume presso a poco nel sito ove raggiunge la strada moderna (?) e prima in direzione di n. ovest, quindi di n. est girando (?) alle falde del monte e da ultimo tagliata la strada moderna Basovizza Corgnale, andasse a raggiungere quella parte di questa villa che si fa appresti del M. Clemenoga (?). E' molto più alta della strada attuale, dalla quale presso il confine dell'agro di Trieste dista poco più di mezzo chilometro.
Seguii le strade del Carso tergestino nei mesi di Aprile e Maggio 1900 avendo a guida Bortolo Versich, guardia civica di Gropada.

Anche in questo foglio la calligrafia non aiuta, e le incertezze sono parecchie...
Non mi è stato possibile identificare il citato monte Clemenoga (?), nei pressi di Corgnale, in nessuna cartografia attuale.

domenica 26 settembre 2010

Santa Croce, costiera, scoperte romane - 29 dicembre 1911

Vi propongo la trascrizione di un'altro foglio di appunti (probabilmente inediti) di Alberto Puschi, risalenti al 29 dicembre 1911:

A metà distanza tra la stazione di Grignano e la fermatina di S. Croce, sotto la linea della ferrata, ma più vicino alla riva del mare che non a questa, sul fondo n. cat. vecchio 2397, n. cat. nuovo 2121/1 e 2121/2, n. tav. 1128, detta Lahovez (?), ed anche terra di S. Michele, ed ora proprietà di Cristiano Cossutta abit. al n. 194 di S. Croce, dissodandosi il terreno per l'impianto di un vigneto furono scoperti dal Cossutta stesso gli avanzi di una fabbrica romana, consistenti in alcuni tratti di muri, di un canale intonacato di cemento e coperto di sfaldature d'arenaria, e molti rottami di laterizio, tra cui pezzi di grandi e grossi mattoni, ma diversi per colore e cocci di anfore e d'altri vasi. Trattasi di una villa rustica, che in seguito ai lavori campestri era già per l'addietro quasi interamente demolita in guisa che dei muri rimasti nessuno superava la linea dei fondamenti. La scoperta avvenne durante l'ottobre del 1911.
Questi terreni appartenevano in passato alla chiesa di Sgonico e da essa ebbero nell'uso del popolo il nome di terra di S. Michele. L'Opiglia eseguì due fotografie del sito. Il proprietario narra di maggiori scoperte che vi avrebbero fatto i suoi antenati.

L'Opiglia citato dovrebbe essere Pietro Opiglia, fotografo archivista del Civico Museo di Storia ed Arte.

Interessante il fatto che viene indicata con precisione sia la particella catastale che il numero tavolare del terreno dove venne fatta la scoperta; con una breve gita all'Ufficio Tavolare dovrebbe essere facilmente individuabile il terreno e la relativa cartografia.
In attesa delle indagini all'Ufficio Tavolare, accontentiamoci di indicare approssimativamente (anzi, MOLTO approssimativamente) la zona:


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martedì 27 luglio 2010

Gita archeologica a Nabresina – 26 gennaio 1908

Mi sono arrivate le riproduzioni di alcune pagine di appunti inediti di Alberto Puschi.
E chi è Alberto Puschi, chiederete voi?!
Alberto Puschi (Trieste, 13/2/1853 - 9/11/1922) fu dal 1884 al 1919 direttore dell'allora "Museo Civico d'Antichità" di Trieste.
Appassionato archeologo, consigliere della Società di Minerva, redattore de L'Archeografo Triestino, presidente della Società Alpina delle Giulie, consigliere della Società Istriana di Archeologia e Storia Patria...
Inizialmente si occupò di numismatica, ma presto allargò i suoi interessi all'archeologia, effettando scavi e ricerche in tutto il territorio circostante Trieste ed in Istria.
Svolse numerosi sopralluoghi su molti siti, curandone anche scavi di saggio, con l'intenzione di stendere una mappa archeologica che comprendesse anche tutta l'Istria. Poco si sa della (presumibilmente enorme) massa dei suoi appunti, che non furono mai integralmente pubblicati (B. Benussi ne pubblicò solo un breve sunto su L'Archeografo Triestino nel 1927-1928).
Queste fotocopie che mi sono giunte attarverso un amico sono quindi particolarmente interessanti, e degne di trascrizione.
Una nota: la storia che "con il pennino si scrive con miglior calligrafia" è una leggenda metropolitana. Gli appunti di Puschi (scritti appunto con il pennino, ma con pessima calligrafia) ne sono la riprova. Nella trascrizione vi sono quindi alcune incertezze, che segnalerò.
Comincio dal primo foglio, relativo al resoconto di un "gita archeologica a Nabresina" effettuata dal Puschi il 16 gennaio 1908:
A sin. della strada Nabresina-Sistiana (lungo la quale a detta della mia guida Ronzani (?), addetto alla cava Benvenuto, si trovarono a più riprese oggetti antichi e specialmente pile di pietra), precisamente un chilom. e mezzo circa dall'incrocio di questa colla strada Nabresina-Bivio, venne a luce un tratto di muro romano alto m. 1 e largo 9 (?) e grosso 0,5 a circa 8 m. di profondità dal piano della strada, in direzione circa est-ovest, presso il laboratorio della cava Leopoldo Pertot vicino alla cava Giuch (?). Il muro è fondato su massicciata di scaglie calcaree e di cemento, della quale però non si conosce l'altezza non essendosi continuato lo scavo fino in fondo. L'edificio (laboratorio o tettoia ad uso della cava romana) era circondato a levante e a mezzogiorno fin presso dai corsi della roccia. Il muro a ovest piegava ad angolo retto e continuava forse anche nella direzione di ponente.
Il muro è di buona costruzione solidissima, tanto che oggi sostiene verso nord una massa enorme di materiale.
In fondo, vicino al muro, si trovò la vera di pozzo A, che consiste di un monolite cilindrico, del diam. mass. di m. 0,95, dello spessore di 0,16 e dell'altezza di 0,54. E' alquanto corroso dall'uso, sicchè sarà precipitato coll'altro materiale anziché esser stato fabbricato laggiù per esser poi trasportato altrove.
Si raccolsero inoltre frammenti di fittili, una rozza pila di calcare e molti rottami di embrici romani (che appartenevano probab. al tetto dell'edificio), tra cui uno col bollo: MSICKM...
Nella biblioteca di Nabresina si conservano oltre a vari oggetti anche due frammenti epigrafici, di cui il maggiore trov. a Srednji, il minore in un campo verso Slivno. Ne ha cura il decoratore Enrico Höller.
Corredano gli appunti un paio di schizzi, relativi alla mappa della zona degli scavi ed i testi dei due frammenti epigrafici.

Note varie:
  • la località dello scavo, "un chilom. e mezzo circa dall'incrocio di questa colla strada Nabresina-Bivio", dovrebbe essere nella zona dell'incrocio dell'attuale provinciale con la strada che porta alla nuova zona artigianale, poco dopo il cavalcavia ferroviario.
    Non so quale sia stata l'ubicazione del "laboratorio Leopoldo Pertot"
  • la citata "Cava Giuch" potrebbe essere forse la cava di Jurcovez, che si trova però in prossimità del Castelliere 2 di Slivia (e quindi non è propriamente vicinissima alla strada provinciale)
  • una località Srednie pare trovarsi in prossimità della Strada Costiera, all'altezza della sovrastante Cava Romana.
Che fine avrà fatto questo muro? Dove si trovava esattamente? Esisterà ancora?
Ed i frammenti epigrafici citati... saranno al sicuro, magari all'Orto Lapidario, oppure saranno andati dispersi?
Quante domande...

lunedì 12 aprile 2010

i castellieri preistorici del Carso Triestino - escursione

Domenica 18 aprile 2010 il Gruppo Archeologico Goriziano organizza un'escursione sui castellieri preistorici del Carso Triestino (disponibile qui il programma).
Ritrovo ore 10.00 e partenza con mezzi propri verso la meta dell’escursione. Si consiglia un abbigliamento da trekking.
Obbligatoria la prenotazione, da effettuarsi presso il gruppo organizzatore.

venerdì 9 aprile 2010

il ripostiglio tardoromano del Monte San Primo

Per un archeologo, un "ripostiglio" è il parente povero di un tesoro.
Se il tesoro nascosto ce lo immaginiamo fatto di monete d'oro e pietre preziose, un ripostiglio è fatto di oggetti di uso quotidiano, o pezzi di metallo conservati per esser riutilizzati. Con il tesoro ha in comune la caratteristica di esser stato occultato, nascosto, sepolto... e poi dimenticato, probabilmente perchè chi lo fece non ebbe più l'occasione di recuperare i suoi oggetti.
Un ripostiglio del genere fu scoperto per caso agli inizi degli anni '80, nascosto tra le pietre di un muretto tra il monte San Paolo ed il monte San Primo, tra Prosecco e Santa Croce.
Era composto da materiali eterogenei:
  • una zappa, alcune asce, delle falci, delle roncole, un punteruolo, chiodi ed una fibula.
  • alcuni oggetti in bronzo: fibbie, placche, una placca da cinturone (decorata con disegni geometrici disposti a quadrifoglio e sormontata da due cani accucciati sovrapposti).
  • Quattro monete romane, due delle quali forate per esser usate come ornamento
  • due pezzi di piombo
  • dei pezzi informi di ferro
  • una cote di pietra, usata per affilare le lame.
Sull'origine di questo "tesoretto", è lecita ogni ipotesi ed ogni illazione; gli archeologi propendono per attribuire gli attrezzi ad un artigiano del legno che praticava anche l'agricoltura, e datano il tesoretto tra la fine del IV sec. e gli inizi del V sec.
Se vogliamo dare un possibile quadro storico, basterà ricordare che nel corso del 400 d.C. Alarico , re dei Visigoti, lasciò l'Epiro e passando da Aemona (l'odierna Lubiana), nel 401 d.C. arrivò in Italia, attraversando proprio questa zona...
Possiamo quindi immaginare un artigiano, magari un legionario veterano (il che spiegherebbe la fibbia di tipo militare), all'avvicinarsi dei temuti barbari invasori decise di occultare tutto ciò che aveva di prezioso... per lo più utensili e metalli grezzi – le cose più preziose, in un'economia di sussistenza.
Dopodichè, avvenne qualcosa, che gli impedì il recupero... ed i suoi utensili sono rimasti dimenticati sotto i sassi di quel muretto per quasi 1600 anni.
Lo scenario non è tanto fantastico, se consideriamo che a quello stesso periodo risale un altro tesoro della nostra zona, trovato nella grotta Alessandra (419/366 VG): due gruppi di monete, sepolte separatamente a poca distanza uno dall'altro.
Anche qui: non scopriremo mai chi è stato ad occultarle... ma possiamo solo immaginare la paura e lo stato d'animo di chi, all'avvicinarsi del nemico, cercava di salvare i propri averi; mentre il destino volle che non gli fosse più possibile recuperarli.

per approfondire:
Dante Cannarella, "Itinerari Carsici: da Contovello a Santa Croce", ed. Italo Svevo, Trieste 1990

mercoledì 24 marzo 2010

il fantomatico Castelliere di Jurcovac - stato delle ricerche

Ogni tanto qualcuno mi chiede notizie sullo stato delle ricerche del castelliere di Jurkovac, citato da Richard Francis Burton.
Onde evitare di dover riscrivere sempre gli stessi fatti, li posto qui pubblicamente... chissà che qualcun altro non si appassioni nella ricerca.

Riassunto delle puntate precedenti:
Richard Francis Burton, in uno scritto sulla rivista Athenaeum, nel 1876 descrive un castelliere, che si troverebbe nella zona di Aurisina, ma che (in base alla descrizione) non sembra poter essere uno dei due castellieri di Slivia; tutti i dettagli nel mio post del 25 gennaio 2009

Nel post del 24 giugno 2009 ho fatto poi un po' il punto delle possibili ipotesi, su dove potesse trovarsi effettivamente il castelliere visitato da R. F. Burton

Stato attuale delle ricerche:
All'epoca di R.F. Burton, la vegetazione nella zona era MOLTO meno rigogliosa, e quindi individuare manufatti e castellieri sulle colline carsiche era MOLTO più semplice che non oggidì.
Durante l'estate, qualsiasi sopralluogo nelle zone è stato praticamente impossibile o, comunque, improduttivo.
Ho approfittato dell'inverno, e della vegetazione ridotta, per effettuare diversi sopralluoghi sulle colline circostanti, ed il risultato di questi sopralluoghi è stato il seguente:
  • monte Scozza
    E' un'altura che sorge in prossimità della "nuova" fornace da calce; la sommità è costituita da un ampio campo solcato, diviso da parecchi muretti carsici. Vi si trova altresì una piccola fortificazione circolare, del diametro di un paio di metri, costruita a secco, che si può far risalire al primo o al secondo conflitto mondiale (probabilmente, dato l'ottimo stato di conservazione, al secondo).
    Se il "castelliere di Jurcovac" si trovava sul monte Scozza, probabilmente dopo la visita di R.F. Burton è stato devastato per costruire i muretti a secco e la piccola fortificazione.
la piccola fortificazione sulla sommità del Monte Scozza

  • Al di sopra della nuova fornace da calce si trova un'altra collina, a quanto ne so priva della dignità di un nome; tuttavia, anch'essa ottima candidata ad aver ospitato il castelliere.
    Purtroppo questa collina è stata in parte "mangiata" dalla cava che serviva la fornace; e se sulla sommità vi è mai stao un castelliere, le pietre che lo formavano saranno state le prime a finire in pasto alla fornace, ed oggidì nulla pare esser rimasto ad indicarlo.
  • Parimenti, dietro alla vecchia fornace da calce si trova un'altra collina, indicata sulle carte come Pitnij Vrh, sovrastante la Grotta Lesa (145/237 VG). Anche questa collina è stata in gran parte mangiata dalla cava a servizio della fornace, ma la sommità è ancora integra (anche se vale sempre la considerazione che, eventuali pietre usate per un piccolo castelliere saranno state le prime ad esser state usate per la fornace...)
    E' da segnalare che nella zona della cava si trova il Riparo delle Vipere (3573/5142 VG), anch'esso semidistrutto dalla cava, nel quale furono trovati frammenti di ceramica dell'epoca dei castellieri e (pare) un'ascia di pietra verde.
  • L'Ostri Vrh è una collina rocciosa, proprio di fronte alla vecchia Stazione di Aurisina.
    Durante la seconda guerra mondiale ospitò numerose postazioni contraeree, a difesa delle strutture ferroviarie, e quindi qualsiasi costruzione precedente è stata senz'altro devastata. Pare che alcune fortificazioni furono realizzate già dall'esercito austro-ungarico durante la prima guerra mondiale.
    Alcune di queste postazioni sono erette completamente a secco, mentre in alcune è presente del legante cementizio... il che le data incontrovertibilmente al XX secolo.
    Nei pressi dell'Ostri Vrh, ai margini di un campo solcato, si trovano però i resti di un muretto, eretto con tecnica "a sacco"... sarebbe interessante approfondire le ricerche su tale manufatto.
resti di postazioni militari sull'Ostri Vrh

i resti del muretto a sacco sull'Ostri Vrh

Miglior fortuna hanno avuto invece le ricerche documentali.
Uno degli indizi fornito da R.F. Burton diceva che "it lies to the north-west of the lands called Na-Jugelcah", ovvero che "giace a nord-ovest della località Na-Jugelcah".
Un toponimo "Jugelce" indica oggi le pendici del monte Scozza (ed è questo fatto che, in un primo momento, mi aveva indirizzato a concentrare le ricerche in questa zona). Tuttavia, recuperate le mappe dell'epoca del Catasto Franceschino, ho scoperto che la località  Na Jugelcah si trovava proprio di fronte alla vecchia stazione di Aurisina; ovvero, basta attraversare i binari in prossimità della vecchia stazione, e si è a "Na Jugelcah". Perciò, l'indicazione "a nordovest della località Na Jugelcah" ci porterebbe inevitabilmente in prossimità dell'Ostri Vrh.

Quindi, è in questa zona che bisogna concentrare le ricerche: se esistono ancora resti del castelliere di Jurkovac, si potranno trovare solo qui...

Se qualcuno vuole unire l'utile al dilettevole, e concentrare le sue prime ricerche di asparagi nella zona, chissà che non si imbatta in qualche resto di questo fantomatico castelliere...
Può sempre aiutarsi con questa mappa, dove ho riassunto la situazione:


Visualizza Ricerca del castelliere di Jurcovac - 2 in una mappa di dimensioni maggiori

domenica 14 marzo 2010

la pioggia di sesterzi

Le storie dei cercatesori raramente sono a lieto fine.
Ce ne sono tante, spesso affascinanti... ma ben poche si concludono con l'effettivo ritrovamento dell'agognato tesoro.
Capita invece che talvolta i tesori vengano ritrovati da chi non li sta cercando...

Qualcosa del genere accadde nel secondo dopoguerra, durante la costruzione della strada che collega Fernetti con Zolla.
Per sbancare la roccia venivano usate delle mine.
Ed avvenne che, in seguito all'esplosione di una di queste mine, una grande quantità di monete romane fu scaraventata in aria e ricadde tutto attorno.
Evidentemente, la mina aveva brutalmente risvegliato dal suo sonno millenario un vero e proprio tesoro, occultato da chissà chi...
Vi fu una corsa all'accapparramento da parte di tutti i presenti, e ben poche di queste monete furono poi consegnate alla Sovrintendenza...

Il tutto, avvenne una cinquantina di metri ad est del ponte sopra alla ferrovia, in prossimità di Zolla.

venerdì 12 marzo 2010

L'abitato protostorico di Duino Stazione

abitato protostorico di Duino Stazione - ricostruzione ipotetica
(disegno di Guido Zanettini)

Meglio forse sarebbe scrivere "il PRESUNTO abitato protostorico di Duino Stazione", perchè l'area non è mai stata oggetto di scavi archeologici, e quindi non c'è la certezza che si tratti effettivamente di un abitato protostorico... anche se supporlo è ragionevole.
Tuttavia, potrebbe trattarsi di un accampamento temporaneo, o di un recinto per animali, o comunque di una struttura esterna, sussidiaria alla comunità che viveva in uno dei castellieri della zona.
Fino a quando non verranno effettuati studi più approfonditi, sarà impossibile pronunciarsi con certezza.

E' stato scoperto molto recentemente, nel 2004, da Federico Bernardini. E le circostanze di tale scoperta sono l'ennesima dimostrazione che in Carso i rinvenimenti, in genere, sono riservati, oltre che ai fortunati, a chi abbia "occhi per vedere".
Durante un sopralluogo, Federico Bernardini ha rinvenuto dei frammenti di pietra, che ha rinosciuto essere non dei normali "sassi", ma frammenti di una "macina a sella" (*) in trachite dei Colli Euganei.
Certamente, la differenza cromatica avrà aiutato... ma non si può far a meno di ammirare chi, in una pietraia carsica, è in grado di riconoscere in una pietra diversa dalle altre un frammento di macina.
Una volta rinvenuta questa macina, un'ispezione attenta dei dintorni ha portato ad individuare i probabili resti di una cinta in muratura protostorica, eretta con caratteristica tecnica "a sacco".
Anche qui, bisogna ammettere che riconoscere i resti di tali strutture non deve esser stato assolutamente semplice. Pur sapendo bene cosa e dove cercare, io ho personalmente faticato parecchio per riconoscerle.

Se quindi decidete di visitarlo, non aspettatevi di poterlo individuare facilmente ma, soprattutto, non aspettatevi grandi cose... oltre all'innegabile fascino che una struttura del genere conserva nel tempo.

Per raggiungerlo: partendo dalla vecchia stazione ferroviaria di Duino (oggi abbandonata), prendiamo il sentiero che porta in direzione dell'Hermada.
Poco dopo aver superato il sovrapasso ferroviario, là dove il sentiero curva decisamente a sinistra, sulla destra troveremo due sentieri che si dipartono. Sono stati oggetto di rcenti lavori di allargamento e sistemazione, e quindi sono oggi delle vere e proprie strade forestali.
Seguiamo quella più a destra per qualche centinaio di metri, fino a che non vedremo una evidente curva ad "S". Subito dopo dopo la curva, sulla destra, si può esservare un lungo ed evidente affioramento roccioso, pur parzialmente occultato dalla vegetazione.

Visualizza Carso segreto in una mappa di dimensioni maggiori

Sfruttando parte di questo affioramento roccioso è stato eretto un lato del recinto dell'abitato protostorico. Una volta individuatane una parte, seguendola sarà possibile percorrerne (sia pur con qualche difficoltà) tutto il perimetro.

Sembrano i resti di un normale muretto carsico.
Ma, facendo attenzione, si nota la inconsueta tessitura "a sacco".

L'area recintata è lunga complessivamente una quarantina di metri, e nel punto più largo misura una ventina di metri.
abitato protostorico di Duino Stazione - Planimetria del sito
(disegno di Guido Zanettini)

E' possibile riconoscere tre distinti ingressi; è interessante osservere che, attraverso ognuno, passa una traccia di sentiero... segno che, a tutt'oggi, vengono riconosciuti dagli animali come punti di passaggio privilegiato.
 Particolare dell'ingresso di nord-ovest, attraversato da una evidente traccia di sentiero

panoramica, dall'interno dell'abitato, da sud-est ad ovest.
Il muraglione più a destra è quello che delimita l'ingresso sud-est. Al centro della foto, i resti dell'ingresso a sud-ovest.
Alla destra della foto, i resti dell'ingresso di nord-ovest.


Proprio a fianco dell'ingresso di nord-ovest, su una roccia del solcato carsico si trova una evidente coppella.
Naturale o artificiale? Difficile dirlo...

Per approfondire:


(*) La "macina a sella" è uno strumento antico e primitivo, usato per macinare il grano e produrre quindi farina.
E' costituito da due parti: una pietra inferiore, più larga, detta "macina inferiore", ed una più piccola, detta "molinello". Impugnando il molinello con due mani e trascinandolo sulla macina inferiore, venive prodotta la farina.
Le caratteristiche della pietra utilizzata per produrre macina sono essenziali, in quanto deve essere dura e scabrosa.
La trachite dei Colli Euganei era particolarmente adatta, e quindi nella protostoria vennero fatti ampi commerci di questi manufatti. Tant'è che il rinvenimento di macine con queste caratteristiche in vari siti italiani, ed anche in alcuni castellieri del Carso e dell'Istria, è stata tutt'altro che episodica.
Questo genere di manufatti viene fatto risalire al periodo dal VII al V secolo a.C.

martedì 2 febbraio 2010

il castelliere di Elleri

Il castelliere di Elleri si trova sulla sommità del Monte Castellier, a cavallo del confine italo-sloveno.
Vi si accede attraverso un comodo sentiero, ben tracciato e ben segnalato, dalla frazione di Santa Barbara (Muggia).

Visualizza Carso segreto in una mappa di dimensioni maggiori
Si distingue dai castellieri carsici per esser stato edificato totalmente in arenaria, e non in calcare.
Del diametro di un centinaio di metri, tagliato in due dal confine di stato, nella parte italiana furono effettuati massicci scavi archeologici, che sono stati recentemente valorizzati con una serie di cartelli e passerelle di legno che li illustrano e permettono di comprendere pienamente nel corso della visita la struttura completa del castelliere.
La sua importanza risiede nel fatto di esser stato uno dei castellieri caratterizzato da una frequentazione molto ampia, che copre praticamente tutta l'epoca del bronzo e prosegue anche nell'epoca romana.
Fu quindi studiato dapprima dal Kandler, poi da Karl Moser, poi dal Marchesetti, ed infine da Benedetto Lonza.
Ma furono gli scavi svolti dalla Società per la Preistoria e Protostoria del Friuli Venezia Giulia tra il 1976 ed il 1981 che diedero i risultati più interessanti, evidenziando tutta una serie di strutture murarie, un forno, oltre al rinvenimento di innumerevoli reperti.
Di tali scavi, condotti da Dante Cannarella, conservo un ricordo personale.
Allora adolescente, diedi un piccolo contributo all'immane lavoro di ricostruzione e riordino dei reperti raccolti durante gli scavi.
I reperti erano frammenti di cocci, che erano stati raccolti separatamente per zone e strati, ed infine stipati in sacchetti, a loro volta conservati in fustini da detersivo. Un sacchetto alla volta veniva aperto ed il contenuto sparso su un grande tavolo... e cominciava la caccia al tesoro. Si partiva da un pezzo, lo si studiava, si cercava qualche pezzo che, per grana e colore, potesse appartenere allo stesso manufatto, si tentava di far coincidere i pezzi in qualche maniera... e si procedeva in tal modo alla ricostruzione, almeno parziale, dei reperti.
Immaginate un gigantesco gioco di pazienza, realizzato mescolando i pezzi di centinaia di puzzle differenti, e sottraendone però anche una buona metà... un lavoro certosino, che richiedeva ore ed ore di impegno ed attenzione, e svolto (ovviamente) rigorosamente gratis.
Alla fine, ci si ritrovava spesso con un vasetto rabberciato in maniera precaria con colla Vinavil, a cui mancavano una metà dei pezzi... ma se il profilo era completo, tanto bastava perchè si potesse ricostruirne graficamente la forma completa o, se ne valeva la pena, effettuarne un restauro ricostruendo le parti mancanti.
Si raccoglievano poi le parti avanzate, che non erano state utilizzate per alcuna ricostruzione, e si riponevano nuovamente in sacchetti... e si passava ad un altro fustino, mentre lo sguardo cadeva sulla stanza a fianco, che conservava innumerevoli altri fustini in attesa di esser a loro volta aperti e riordinati.
Capitava anche che, all'apertura di un sacchetto, ci si ritrovasse con uno o più pezzi dall'aria familiare... si tornava quindi a recuperere e riaprire uno dei sacchetti già esaminati e nuovamente richiusi, per ritrovare talvolta qualche pezzo gemello... o più spesso inutilmente, perchè la sensazione di "già visto" che ci dava il reperto era in realtà fallace.
Lavoro pesante, impegnativo... ma senz'altro appagante. La soddisfazione di ricostruire, anche solo parzialmente, un manufatto protostorico è una sensazione unica ed impossibile da descrivere, che ripagava ampiamente le ore di impegno necessarie.

Continuando il breve excursus sul castelliere di Elleri: tra i vari reperti, venne rinvenuta anche una stele in arenaria, di epoca romana, con la scritta:
HAEC LEX LATA
EST FERSIMO QVEM SI QVIS VOLET
Altri reperti di epoca romana hanno permesso di determinare la presenza nell'area di un tempio mitraico, oggidì probabilmente completamente distrutto.
Gli scavi nel prato poco distante hanno restituito una trentina di tombe con copertura in arenaria, risalenti all'età del ferro, completi dei relativi corredi funebri: si tratta dell'unica necropoli protostorica individuata nel nostro territorio.

mercoledì 23 dicembre 2009

il Mitreo di Duino

In prossimità di Duino si trova l'unico tempio mitriaico ipogeo rinvenuto in Europa, e probabilmente si tratta anche di uno dei più integri e completi.
Si trova in una caverna (catasto 1255/4204 VG  ) che venne scoperta nel 1965 da alcuni speleologi della Commissione Grotte Eugenio Boegan.
All’epoca era quasi completamente ostruita da detriti e pietrame; e poiché nei primi lavori di disostruzione furono rinvenuti dei frammenti di lapidi ed altro materiale di epoca romana, fu immediatamente allertata la Sovrintendenza.
Nel corso degli scavi successivamente eseguiti, oltre ai frammenti di lapidi e steli furono scoperti un ricco complesso di monete che andava dal II al IV secolo, lucerne e vasetti di ceramica nord-italica, frammenti di anfore, di tegole e tavelle.
L’insieme dei reperti permise di determinare che si trattava di un tempietto ipogeo dedicato al Dio Mitra, completo di un’ara sacrificale e di due panche longitudinali in pietra, oltre ad una serie di altre are e steli.
Furono realizzati dei calchi delle steli e delle are votive, ed il tempietto fu in parte ricostruito; oggi è quindi visitabile, sia pur con qualche difficoltà…
Trattandosi di un unicum storico e archeologico, ci si aspetterebbe una certa valorizzazione dello stesso, anche turistica… se invece volete visitarlo, armatevi di scarponi e gambe in spalla!
Per raggiungerlo: partendo dal parcheggio dell’ex mobilificio Arcobaleno, si segue un sentiero che si addentra per pochi metri, per sfociare in una larga carrareccia che seguiremo sulla sinistra.
Proseguiremo sulla carrareccia fino a raggiungere la linea ferroviaria, e poi costeggiandola e superando un ex casello (oggi trasformato in abitazione privata), e seguendo ancora per un po' a fianco della linea ferroviaria, fino a dove la carrareccia svolterà decisamente a destra per infilarsi in un sottopasso ferroviario.
Proprio in questo punto, osservando attentamente, troveremo un sentiero sulla sinistra (in realtà, poco più di una traccia) che, dopo poche decine di metri, ci porterà all’ingresso della recinzione che delimita il mitreo.

Visualizza Carso segreto in una mappa di dimensioni maggiori

Il tempio venne realizzato probabilmente nella seconda metà del I secolo d.C., e fu frequentato fino al IV secolo allorquando, con la diffusione del cristianesimo, in seguito agli Editti di Teodosio del 391 d.C. tutti i culti pagani furono banditi e si verificarono ovunque episodi di danneggiamento o distruzione degli antichi templi. E’ a quest’epoca quindi che possiamo far risalire la devastazione del mitreo, con un autodafé are e steli furono infrante e la grotta venne colmata di detriti…

Il tempio originario era un po’ diverso da come ci si presenta l’attuale, pur ottima, ricostruzione. La volta della grotta era più chiusa (in parte fu fatta brillare durante i lavori di sgombero, in quanto pericolante; in tal modo fu allargato l’accesso e tutta la cavità fu resa più luminosa). Inoltre, all’interno della grotta si trovava originariamente una piccola costruzione, con un tetto in coppi a due falde che copriva l’altare e le due panche.

Il culto di Mitra, o Mitraismo, ebbe la sua origine in medio oriente, e a partire dal I secolo d.C.
Si diffuse nell’impero romano per opera di legionari e mercanti (non è quindi un caso che in tale zona fosse attestata la XIII legione “Gemina”, di origine appunto orientale); tale diffusione avvenne quindi contemporaneamente (ed in “concorrenza”) al cristianesimo, e fu da quest’ultimo perseguitato.
Tuttavia, il cristianesimo deve molto al mitraismo: moltissimi rituali cristiani sono, in realtà, retaggi del mitraismo, successivamente sincretizzati nel cristianesimo.
I mitrei si trovavano quindi quasi esclusivamente in prossimità di grandi città portuali e di luoghi di guarigione.

Era un culto di tipo misterico, ovvero riservato ad iniziati, di sesso maschile, e che avevano superato delle prove (oggidì, non ci è dato di sapere in cosa consistessero queste prove).
Quindi, abbiamo poche e frammentarie informazioni sul culto e la sua ritualità – e queste poche informazioni ci arrivano dalle critiche degli antichi scrittori cristiani, o interpretando le steli rinvenute nei mitrei.
La celebrazione avveniva in ambienti sotterranei, artificiali o, più raramente, naturali; nel rituale avevano parte alcuni animali e personaggi che rappresentavano anche i sette gradi degli iniziati: il corvo (corax), un essere misterioso (gryphus), il soldato (miles), il leone (leo), il persiano (perses), il messaggero del sole (heliodromos) e infine il pater.
Nel Mitraismo l'acqua svolgeva un ruolo purificatorio importante, e spesso i mitrei sorgevano in prossimità di una sorgente naturale o artificiale - e poco distante dal mitreo di Duino troviamo le Foci del Timavo..
I mitrei erano diffusi in tutto l'impero romano; e tutt'oggi, resti di mitrei in muratura sono visibili a Roma, Napoli ed Ostia; tuttavia, come già detto, il mitreo di Duino è l'unico ricavato in una cavità ipogea. 


La stele principale, sulla quale compare la dedica:
D(eo) I(nvicto) M (Mithrae) AV (lus) TULLIVS PAVMNIANVS PRO SAL (ute) ET FRATER SVOR (um) TVLLI SECUNDI ET TVLLI SEVERINI
“All’invitto Dio Mitra Tullio Paumniano offre per la salvezza sua e dei suoi fratelli Tullio Secondo e Tullio Severino”
Oltre alla dedica, si possono individuare sul bassorilievo i seguenti elementi: il Sole, la Luna, Cautes con la fiaccola abbassata, Cautopates con fiaccola alzata, Mitra con il berretto frigio, il toro sacrificato con la coda terminante in spiga, lo scorpione, il serpente, il corvo, la roccia della grotta e gli Offerenti


L'interno del Mitreo ricostruito
In fondo, la stele principale; al fianco, le due panche in pietra su cui sedevano gli officianti; al centro, la "roccia della grotta" che fungeva da altare.

Per approfondire:
  • Dante Cannarella: "Guida del Carso triestino – Preistoria – Storia – Natura", Edizioni Italo Svevo – Trieste 1975
  • Dante Cannarella, in “Atti della Società per la Preistoria e Protostoria” della Regione Friuli Venezia Giulia vol. III, Arti Grafiche Pacini Mariotti – Pisa 1979
  • Donata Degrassi, "Le strade di Aquileia – Nuovi itinerari tra Friuli e Golfo Adriatico", Libreria Editrice Goriziana - Gorizia 2000

lunedì 9 novembre 2009

Mappa dei castellieri del Carso Triestino

In questa mappa di Google Maps ho voluto raccogliere le posizioni dei principali castellieri del Carso Triestino.
Vale la pena di giocare un po' con Google Maps, zoomando sui singoli castellieri: alcuni, nella foto satellitare, saranno praticamente invisibili, mentre altri appariranno evidentissimi...
La mappa non è completa, ma è mia intenzione integrarla e completarla nel tempo...
Se qualcuno vuol collaborare, o anche solo inviare una segnalazione, si faccia avanti...

Visualizza Castellieri del Carso in una mappa di dimensioni maggiori

venerdì 28 agosto 2009

stelle e castellieri...

Il Castelliere di Elleri al chiaro di luna, tra astri e archeologia. Sarà possibile visitarlo, in questa insolita veste, lunedì prossimo, nel corso di una particolare iniziativa: una passeggiata notturna, aperta al pubblico, destinata alla lettura della volta celeste e inserita nell'ambito delle iniziative dell'Anno internazionale dell'astronomia.
Ad organizzarla è il Comune di Muggia in collaborazione con l'Inaf (Istituto nazionale di astrofisica) e l'Osservatorio astronomico di Trieste, con la partecipazione di Divulgando, che per questo evento hanno scelto il Castelliere e il suo percorso turistico-didattico.
Inaugurato lo scorso 16 giugno, il percorso, a partire dalle 21 di luned’ sarà la meta di una passeggiata che permetterà - grazie all'intervento dell'archeologa Chiara Boscarol e dell'astronomo Mauro Messerotti - di ”leggere” l'antico insediamento in cui sono riconoscibili più fasi, dall'età del bronzo all'epoca romana, e il cielo stellato, immaginandolo anche come poteva apparire nell'antichità.
Dopo una prima spiegazione dell'origine del castelliere e della sua contestualizzazione nel territorio, del quale rimase per quasi 2.000 anni un essenziale punto nevralgico, si esploreranno le vestigia più antiche fino ad arrivare a quelle di epoca romana.
Spente le torce, verranno individuati a occhio nudo stelle e pianeti del nostro emisfero. Lasciando alle spalle il sito archeologico, nel corso della discesa lo sguardo dei partecipanti potrà spaziare su un orizzonte più vasto, permettendo di individuare ulteriori costellazioni.
Il ritrovo è fissato per le 21 presso la chiesetta di Santa Barbara. E' consigliato un abbigliamento sportivo, ma soprattutto si raccomanda di portare con sè una torcia personale.
Per ulteriori informazioni ci si può rivolgere all’Ufficio cultura e promozione del Comune di Muggia (tel. 0403360340, ufficio.cultura@comunedimuggia.ts.it).

(fonte: informaTrieste!)

sabato 20 giugno 2009

il castelliere di Samatorza

Al Castelliere di Samatorza avevo già accennato qui. Avevo scritto di non averlo mai visto, e di sapere soltanto che si trovava in prossimità della Grotta Azzurra...
Un primo sopralluogo non mi aveva permesso di individuarlo. Ma poi, mettendosi di buzzo buono con Google Earth, infine sono riuscito a trovarlo.

Eccolo, in tutto il suo splendore:


Visualizzazione ingrandita della mappa

Il motivo per cui non lo avevo trovato nel primo sopralluogo è semplice: non si trova "nei pressi" della Grotta Azzurra, si trova proprio SOPRA alla Grotta Azzurra...

Al momento, lo si vede più chiaramente nella foto satellitare che non dal vivo, sul terreno: troppa vegetazione, in questa stagione...
Per qualche foto decente "dal vivo" ne riparliamo quest'inverno...

mercoledì 13 maggio 2009

scuola di fai-da-te preistorico

Vi segnalo una bella iniziativa, che si terrà i giorni 22-26 maggio presso la Grotta Nera (Basovizza). La manifestazione, organizzata dal Gruppo Speleologico San Giusto e dal Dipartimento di Scienze Archeologiche dell'Università di Pisa, è un laboratorio didattico-sperimentale sulle tecniche artigianali preistoriche; ovvero, attraverso un rigoroso studio archeologico, verrnno illustrata, e fatte provare dal vivo, le tecniche di produzione dei manufatti utilizzati dagli uomini preistorici nei periodi del Paleolitico inferiore - medio, Mesolitico e Neolitico.
Si tratta di un esempio di quella che viene definita "archeologia sperimentale" (e che, tutto sommato, è un ottimo modo per rendere interessante l'altrimenti noiosissimo studio della storia...)

E' disponibile on-line il volantino illustrativo dell'iniziativa (completo di mappa per chi non sappia dov'è la Grotta Nera).

Il programma completo della manifestazione è il seguente:

Venerdì 22 maggio 2009
  • Ore 10.00 - presso il Centro Didattico Naturalistico (via Gruden, 34 Basovizza)
    Presentazione della manifestazione
    Saluto delle autorità intervenute
    Introduzione all’incontro
  • Ore 11.30 - Trasferimento al Centro di Educazione Ambientale “Eliseo Osvualdini” Bosco Bazzoni.
    Visita alla struttura didattica e ai siti dimostrativi con le autorità e gli intervenuti.
  • Ore 12.00 - Coffee break offerto dal Gruppo Speleologico San Giusto

Sabato 23 maggio 2009
  • Dalle ore 09.00 alle 13.00 visite riservate alle scuole
  • Dalle ore 15.00 alle 18.00 la struttura è aperta dal pubblico

Domenica 24 maggio 2009
  • Dalle ore 10.00 alle 12.00 e dalle ore 14.00 alle 17.00 la struttura è aperta al pubblico
Lunedì 25 maggio 2009
  • Dalle ore 09.00 alle 13.00 visite riservate alle scuole
  • Dalle ore 15.00 alle 18.00 la struttura è aperta al pubblico
Martedì 26 maggio 2009
  • Dalle ore 09.00 alle 13.00 visite riservate alle scuole

martedì 5 maggio 2009

il tumulo preistorico del Monte Concusso

Mi chiedono di indicare dove sia il tumulo preistorico del Monte Concusso (o Monte Cocusso, o Kokos) a cui accennavo in un post precedente.

Il modo migliore per farlo è, come sempre, indicarlo su google maps:


Visualizza Monte Concusso in una mappa di dimensioni maggiori

Una bella vista aerea potete averla da Live Maps.

Per arrivarci:
Partite da Basovizza, in direzione del confine di Pese
Poco prima del confine, dove c'è il bivio che a sinistra conduce a Grozzana, imboccate la strada sterrata che si inerpica sul Monte Concusso.
Seguitela fino in fondo, ed arriverete al tumulo.

E' un tumulo funerario che risale all'età del bronzo.
Sembra che nelle immediate vicinanze, attorno alla vetta del Concusso, vi siano i resti di un castelliere... ma io non sono riuscito ad individuare nulla di significativo.
Non mi risulta che sia mai stato scavato (ma è danneggiato perchè modificato per piazzarci un punto trigonometrico dell'IGM).
Godetevi la vista; si tratta di uno dei punti più panoramici del carso, che permette di spaziare dall'Istria fino alle Alpi Giulie.

Foto digitali da postare non ne ho... prometto che alla prima occasione ci ritorno e scatterò un po' di foto. Se qualcuno mi precede e vuol girarmi le foto, sarà il benvenuto...

lunedì 29 dicembre 2008

presenze romane sul Carso

Qualche giorno fa (precisamente qui) scrivevo che la casa romana di Sistiana è l'unica sul Carso triestino.
Beh, non è vero. Io l'ho scritto basandomi sulla vecchia (ma valida) "guida del Carso Triestino" di Dante Cannarella; però nel frattempo il mondo è andato avanti, e ci sono state diverse nuove scoperte.
Ho trovato qui una bellissima guida al proposito: ed i resti sono numerosi:
  • la "villa di Aurisina", scoperta nel 1976, scavata, rilevata, e successivamente reinterrata (quindi, oggidì c'è ben poco da vedere...)
  • la "villa del Randaccio", a San Giovanni di Duino, scoperto nel 1977, e che sembra possa essere la famosa Fons Timavi riportata sulla Tabula Peutingeriana
  • "Casa Pahor", a Villaggio del Pescatore
  • la "Casa del Locavaz" (beh, ci stiamo allontanando un po'... ma siamo ancora ai confini del Carso triestino)
... ed altre ancora.
E c'è anche un bel rilievo della casa di Sistiana.
Ce n' è di materiale per gite, vero?