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martedì 9 dicembre 2014

Gli strani utilizzi del Bagolàro



Il Bagolàro (o "bobolèr", ma noto anche come "Lodogno", "Spaccasassi" e "Albero dei Rosari") è un grande albero (Celtis Australis) molto diffuso sul Carso, sul cui terreno attecchisce molto bene.
Ha un caratteristico legno chiaro, duro, flessibile, tenace ed elastico e di grande durata; un tempo ricercato per mobili, manici, attrezzi agricoli e lavori al tornio. Oggi, al più, viene apprezzato come ottimo combustibile.

La diffusione del "bobolèr" in zona favorì nel corso dell'800 il prosperare a Trieste di due curiose industrie: la prima è quella delle bacchette per direttori d'orchestra, per le quali il legno di Bagolàro era insuperabile per le sue caratteristiche di resistenza, leggerezza e flessibilità. Umili rami nati tra il pietrame del Carso finirono quindi in mano ai più famosi direttori di tutte le maggiori orchestre d'Europa, a disegnare nell'aria il ritmo dei concerti.

L'altra curiosa industria diffusasi a Trieste per sfruttare questa preziosa materia prima fu quella dei manici da frusta di varie forme, prodotti a Trieste ed esportati poi in Germania ed in Italia. Il più noto fabbricante fu l'Officina Luppieri, che aveva sede in Piazza della Caserma (l'odierna Piazza Oberdan).

Un'altra industria legata al Bagolàro, minore ma molto curiosa, fu quella della produzione di rosari,  per i quali si utilizzava il nocciolo del frutto - una sorta di piccola bacca subsferica, bruno-nerastre a maturità, carnose e commestibili.
Fu questa l'origine del nome "albero dei rosari".

Karl Moser nel 1886 dedicò uno studio ai Bagolàri presenti nella dolina Ajša (in prossimità di Aurisina), nella zona prospiciente la Grotta del Pettirosso. Nella stessa zona è possibile individuare ancora oggi non solo i discendenti, ma anche alcuni degli esemplari originali studiati dal Moser quasi 130 anni fa (è un albero molto longevo, che può superare anche i 300 anni di età).

venerdì 16 maggio 2014

Il monumento perduto agli "Eroi dell'Isonzo Armee"



Questa foto è stata pubblicata su "La Grande Guerra in casa", sorta di catalogo fotografico dell'omonima mostra allestita nel 2012 dall'Associazione Hermada - Soldati e Civili.

Si tratta di un monumento eretto nel corso della Prima Guerra Mondiale nei pressi di Aurisina, dedicato agli "eroi dell'Armata dell'Isonzo" ("der Helden der Jsonzo-Armee"), presumibilmente distrutto dopo la "redenzione" di queste terre, e del quale pare essersi persa ogni memoria, anche tra i vecchi del paese.

Sorge allora la curiosità: dove si trovava esattamente? Ne esiste ancora qualche traccia, magari solo i ruderi del basamento?

Cominciamo questa ricerca che - avverto - non so dove ci condurrà. Prendetelo come un mio "ragionamento ad alta voce", al quale potete partecipare con le vostre osservazioni.

Esaminiamo la foto.

All'orizzonte, è evidente il viadotto ferroviario di Aurisina, visibile solo in parte (precisamente, dieci archi).

All'epoca il terreno era in gran parte brullo, alberi non ce n'erano, e quindi il viadotto era molto più visibile di quanto non sia oggi; per riuscire a vederlo, dobbiamo salire in alto, sopra agli alberi.
Ecco una foto recente (2009) del viadotto, scattata dalla vedetta Liburnia:



E cominciamo a porci le domande:

Il monumento si trovava a nord o a sud del viadotto?
Nella foto dalla vedetta Liburnia il viadotto è visto da sud; è praticamente simmetrico, quindi potrebbe sorgere lecito il dubbio che il monumento potesse trovarsi anche a nord del viadotto...
Ma non è così. Nella foto del monumento, all'orizzonte sulla sinistra si intravedono delle case.
Se osserviamo la mappa della zona:



 possiamo notare che, guardandolo da sud, effettivamente sulla sinistra ci sono delle costruzioni; viceversa, guardandolo da nord non c'è nessuna costruzione.
Quindi, la foto del monumento è scattata certamente a sud del viadotto.

Lo spigolo a destra del basamento del monumento coincide con il pilastro del decimo arco (riportato in mappa come "secondo pilastro maggiore" in quanto, se ci fate caso, sul viadotto ogni quattro pilastri ce n'è uno di dimensioni maggiori)

Il viadotto in foto non viene visto perpendicolarmente, ma dalle ombre degli archi si desume che viene visto con una certa inclinazione (difficile dire quanto... forse una decina di gradi).
Comunque, prudenzialmente, tracciamo una linea perpendicolare al viadotto (in rosso sulla mappa): il monumento si trovava a sinistra (ovvero a ovest) di questa linea.

Nella foto non si vede il campanile della Chiesa di Aurisina, quindi la stessa deve essere nascosta dietro al monumento.
Se tracciamo una linea dal decimo arco al campanile (in blu), abbiamo un'ulteriore elemento: il monumento si trovava a destra (est) di questa linea.

A questo punto abbiamo identificato una "fetta" di terreno abbastanza stretta... ragioniamo sulle quote:
  • in prossimità del viadotto, il piano di campagna ha quota circa 137 m; il viadotto invece ha quota 153 m
  • il punto di vista della fotografia sembra essere ad una quota più o meno corrispondente a quella del viadotto, e quindi attorno ai 153 m 
  • il piano della strada provinciale tra Aurisina e Santa Croce ha quota variabile tra 151 m (all'altezza dell'incrocio con San Pelagio) e 175 m (all'altezza dell'edificio della ex-scuola della Lega Nazionale)
  • il piano di campagna della vedetta Liburnia è di 179 m
Seleziono tra le due righe (rossa e blu) l'area che ha una quota "compatibile", ed il risultato è l'area segnata in grigio, all'interno della quale (SE i ragionamenti fatti sopra sono corretti), avrebbe dovuto trovarsi il monumento.
E' un'area oggi solo in parte edificata, e che comprende anche le primissime pendici del Monte Babica lungo la provinciale (senza allontanarsene troppo, perché dopo si sale troppo di quota). 

A questo proposito, c'è da fare una considerazione: 
- monumenti simili a questo venivano solitamente eretti nei cimiteri di guerra. 
- nella zona accanto a quella contrassegnata, pare che fossero stati allestiti i baraccamenti di un ospedale da campo
- e quasi sempre un ospedale da campo aveva in prossimità un cimitero di guerra

Il che renderebbe verosimile che il monumento sia stato eretto per un cimitero di guerra, e smantellato poi, nelle operazioni di "riordino" dei cimiteri di guerra (ad esempio, in prossimità di San Pelagio c'erano due altri cimiteri di guerra, le cui salme furono poi traslate in altri cimiteri).

SE le ipotesi che ho fatto sopra sono corrette (...e non è detto che lo siano), l'area così delimitata è circoscritta con sufficiente precisione (però, ad esempio, la quota del punto di presa della foto potrebbe anche essere più elevata, e sembrare equivalente a quella del viadotto solo per una questione di ottica).

Come proseguire le indagini?

Ovviamente "sul campo", battendo palmo a palmo il terreno di quell'area (sul quale nel frattempo non siano state costruiti edifici o tralicci...), e sperando di trovare ancora le tracce di quel basamento.
Se qualcuno decidesse di dedicare qualche ora alla raccolta di asparagi selvatici in quella zona, che ne approfitti per dare un'occhiata alle pietre che incontra...
    
Vi è poi il dettaglio delle case che si intravedono all'orizzonte, a sinistra: la foto non è sufficientemente nitida da poterle identificare con certezza, ma varrebbe la pena di fare un confronto con altre foto d'epoca per poter ravvisare delle somiglianze.


Ed infine, paziente lavoro d'archivio...

Se avete qualche osservazione, contributo, segnalazione di dati o fotografie, vi invito caldamente a portare il vostro contributo nei commenti!

mercoledì 25 dicembre 2013

L'incidente aereo sul "sentiero della Salvia"

Lungo il cosiddetto "Sentiero della Salvia", che porta da Santa Croce ad Aurisina correndo poco sopra la linea ferroviaria, si trova una lapide:


L'epigrafe è un po' laconica, e non fornisce molti indizi sull'evento commemorato:

Su questa roccia s'infransero le ali
dei piloti
Fiorano Ricco
Vittore Calzetta
27 marzo 1960
L'Aero Club Trieste a ricordo

La lapide ricorda un incidente capitato ad un piccolo aereo da turismo, uno Stinson L5 Sentinel (I-AEFR) (che non era propriamente un aereo da turismo, ma un aereo da ricognizione dell'USAF; tuttavia, per le sue caratteristiche e diffusione, all'epoca era comunemente usato come aereo da turismo).

Decollato dall'aereoporto di Merna, avrebbe dovuto sorvolare Miramare, per lanciare una corona in mare durante una cerimonia per commemorare l'anniversario della morte del Duca d'Aosta.

Tuttavia le condizioni meteo erano pessime, nella zona c'era una fitta nebbia, e dopo mezz'ora di volo l'aereo si schianto sulle rocce ove adesso è posta la lapide.
Al momento dello schianto, l'aereo stava seguendo una rotta in direzione nord: quindi, presumibilmente, dopo aver rinunciato a raggiungere Miramar, stava cercando di rientrare a Merna (o di raggiungere l'aeroporto di Prosecco).

Fiorano Ricco, nativo di Milano, aveva conseguito il brevetto di volo nel 1917 e lavorava a Trieste come dirigente in una ditta nel settore del caffè.
Vittore Calzetta era invece nato a Treviso, aveva conseguito il brevetto nel 1945 ed era impiegato come pilota collaudatore alla Lancia di Trieste.


Visualizza Carso segreto in una mappa di dimensioni maggiori

mercoledì 17 ottobre 2012

Lupi di confine (conferenza)

venerdì 19 ottobre alle 20:30, alla "Casa della Pietra Igo Gruden" ad Aurisina, si terrà un incontro organizzato dall'Associazione ASTORE FVG, durante il quale saranno fornite le informazioni più aggiornate sullo stato di conservazione del lupo nelle nostre zone, ma verranno anche approfondite le conoscenze delle sue abitudini e comportamenti sociali.
Verrà anche presentato lo straordinario viaggio di Salvc, che dopo aver abbandonato il suo branco d'origine ed aver percorso ben 850 km attraverso Slovenia ed Austria, adesso è giunto in Italia.



giovedì 6 settembre 2012

Contrada Foliauze

Contrada Foliauze” (detta anche “Contrada Foliavez” o “Contrada Foglia”) era un'area di terreno compreso tra Aurisina e Santa Croce.
E' un esempio molto interessante di come i toponimi siano cambiati nel corso del tempo, conservando una certa assonanza ma cambiando sensibilmente di grafia, anche in documenti tra di loro quasi contemporanei.
Il toponimo compare per la prima volta in un documento del 1459: “[…] vigna …. Aurisinis sive Foliauce” e successivamente, in documenti del '500, viene citata “Contrada Sclavonice detta Foliauci”, ma anche  “Contrada Folianiza” e “Contrada Folianaz”, mentre nel 1604 “Contrada Feliovetz” e nel 1610 “Contrada Fogliauze” e “Contrada Fogliouza”.
Il toponimo compare per l'ultima volta nel 1783, nella forma di “Contrada Foliavez”.
Era un'area di boschi di castagni e di vigne; dei castagni non è rimasta oggi più alcuna traccia (l'area nel XIX era ridotta ad una pietraia, e gli attuali boschi di pino nero sono il risultato della colossale opera di rimboschimento effettuata a cavallo tra XIX e XX sec.)

Il toponimo è scomparso, al pari dei castagni.
Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus.
ma in questo caso non c'è rimasto neppure il nome...

martedì 8 maggio 2012

il tesoro della grotta del Pettirosso

La grotta del Pettirosso (148/260VG) si trova in una delle doline più suggestive del Carso; con le pareti strapiombanti, folta di vegetazione, vi si accede solo attraverso un unico, comodo sentiero.
E' una zona straordinariamente amena e silenziosa. La superstrada corre in alto, a pochi metri di distanza, e cionostante i rumori vi giungono attutiti e distanti, mentre tutto sembra ispirare una tranquilla serenità.
E' comprensibile che questa caverna, con il relativamente ampio terreno coltivabile antistante sul fondo della dolina, sia servita da rifugio per l'uomo dalle epoche più remote.
Allorché Karl Moser la esplorò per la prima volta, nel 1892, vi rinvenne una rozza costruzione a forma di ferro di cavallo, che dedusse trattarsi di un ricovero o di un pozzo che raccoglieva l'acqua dallo stillicidio ed una enorme piastra calacarea, sotto la quale giaceva lo scheletro di un giovane, in seguito studiato dal Wirchow.
Durante gli scavi, vennero poi rinvenuti frammenti d'osso incisi, un pesce ricavato da un corno di cervo, ceramiche appartenenti alla cultura di Vucedol ed alcuni vasi del neolitico.
Successivi scavi condotti nel 1972 dal prof. Stacul nella dolina antistante produssero svariati reperti dell'età del ferro.
Altri scavi condootti invece dalla Soprintendenza all'interno della caverna diedero risultati abbastanza deludenti, permettendo di recuperare pochi reperti del neolitico e del mesolitico: il terreno era oramai sconvolto da numerosi scavi abusivi.

Ma a cosa fu dovuto questo accanimento degli scavatori abusivi?
Forse il loro obiettivo non furono i reperti archeologici; circolava infatti la voce che, all'epoca delle guerre francesi, in quella grotta fosse stata nascosta una barra d'oro, una croce pure d'oro e parecchie armi.
Furono quindi probailmente i cercatesori (che, sarei pronto a scommettere, rimasero comunque a becco asciutto) a devastare la grotta con i loro scavi, e non gli archeologi abusivi (anche se, tuttavia, probabilmente diedero anch'essi successivamente il loro contributo...)

Per approfondire:
I BAGOLARI (CELTIS AUSTRALIS) DEL DR. L. KARL MOSER NELLA GROTTA DEL PETTIROSSO (1 48/260 VG) PRESSO AURISINA

lunedì 7 maggio 2012

Seebataillon Triest: i marinai che combatterono sul Carso

Tra il 1914 ed il 1915, nel periodo precedente all'entrata in guerra dell'Italia, a Trieste si verificò una situazione quasi surreale.
Dopo la mobilitazione, nel luglio 1914, la “Brigata Trieste” venne in breve tempo dispiegata sul fronte russo; ciò lasciò del tutto sguarnita Trieste, che si ritrovò presidiata da undici (!!!) soldati di leva della difesa territoriale, e da una compagnia della Marina.
La situazione in Italia era però incerta: il confronto tra interventisti e neutralisti era acceso, e quindi il confine con l'Italia (nonchè tutta la costa dalmato-istriana) poteva rivelarsi un pericolosissimo punto debole, nel caso l'Italia fosse scesa in guerra.
L'ammiraglio Alfred von Koudelka, comandante del settore della Marina, ottenne fin dal settembre 1914 i rinforzi necessari ad imbastire la difesa necessaria: 300 uomini, 4 mitragliatrici e 4 cannoni da difesa costiera. Il distaccamento della Marina fu da quel momento chiamato  “battaglione da sbarco Trieste” (“Seebataillon Triest”, o anche "Seebaon Triest"), al comando del capitano di corvetta von Lang.
L'ammiraglio von Koudelka raccolse in seguito le proprie memorie nella autobiografia "Rotta su Trieste"; questo testo è ricco di dettagli ed episodi interessanti.
Nel gennaio 1915, su suggerimento del generale Chavanne, si decise di formare anche a Trieste un battaglione di fucilieri volontari, facendo ricorso ai giovani studenti cittadini. Nacque così l'”i.r. Corpo di giovani fucilieri di Trieste”, inquadrato come 3ª compagnia del “Seebataillon Triest”. Molti studenti triestini così, indossando l'uniforme della Marina, si salvarono dal tritacarne delle trincee della Galizia e, secondo la testimonianza di von Koudelka, “dimostrarono le loro buone qualità: erano intelligenti, ligi al dovere e coraggiosi. Operarono in modo eccellente, soprattutto come addetti alle trasmissioni ed ai servizi di collegamento. […] Un unico professore d'ispirazione ultratedesca, proveniente dalla scuola media formativa, creò dei problemi: egli non gradiva il fatto che gli studenti giungessero a scuola non solo in uniforme ma con tanto di fucile al fianco.
Via via che i rapporti con l'Italia precipitavano, von Koudelka ottenne sempre più truppe e dotazioni per presidiare il futuro secondo fronte; e la zona al suo comando fu estesa dalla costa (da Aurisina a Trieste), fino a Postumia ed al Quieto.
Dopo lo scoppio della guerra con l'Italia, che avvenne il 23 maggio 1915, le occasioni di combattimento per il “Seebataillon Triest” non mancarono, ma furono comunque episodiche: tutto sommato, il suo scopo principale era la difesa costiera, in funzione antisbarco, e per contrastare con duelli d'artiglieria le batterie italiane che sparavano da pontoni ancorati a Punta Sdobba; secondariamente, fungeva da riserva per le unità di fanteria al fronte, impegnate nelle estenuanti battaglie dell'Isonzo.
Curiosa la storia di un pezzo d'artiglieria da 12cm, requisito in Cina nel 1900 in occasione della rivolta dei boxers e che venne piazzato nella riserva di caccia di Duino (probabilmente in prossimità della grotta Fioravante).
Il 24 ottobre 1915 questo cannone da 120 duellò contro tre batterie pesanti italiane, dispiegate nelle lagune, mettendone una fuori uso e danneggiando gravemente una seconda.
Questa batteria d'artiglieria ebbe anche un episodio tragico.
Nel corso di un successivo bombardamento, il personale si ritirò nel rifugio. Le munizioni pronte per l'uso rimasero accatastate tra l'erba secca – purtroppo rivolti proprio verso il rifugio.
Una granata italiana diede fuoco all'erba, i proiettili esplosero e sterminarono quasi l'intera compagnia...
(E' possibile, se non addirittura probabile, che il rifugio di questa postazione fosse la Grotta Fioravante).

Sempre leggendo le memorie dell'ammiraglio von Koudelka, scopriamo che:

  • nel giugno 1915, sul monte Babca (Babiza), sul costone fra Aurisina e Santa Croce, fu installata una stazione di segnalazione (numerosi manufatti militari, costruiti con pietre a secco, sono tutt'oggi visibili sul crinale del monte Babiza). (pag. 204)
  • l'artiglieria italiana faceva grande uso di granate da 305; tuttavia, quando colpivano la roccia spesso non detonavano. I pionieri della Marina A.u. allora le disinnescavano recuperandone l'esplosivo, che poi veniva utilizzato per lo scavo di rifugi in caverna. (pag. 206)
  • sopra la cava orientale fu piazzata una batteria da 9 cm; successivamente, due cannoni a tiro rapido L/44 da 47mm furono piazzati sopra la cava occidentale.
I "marinai che combatterono sul Carso" erano ricordati da un particolare monumento, eretto a Sistiana, proprio in prossimità dell'attuale inizio del Sentiero Rilke. Per inciso, tutti i bunker e le piazzole d'artiglieria di cui si scorgono i resti lungo il sentiero Rilke, furono proprio presidiati da questo particolare corpo di "fanteria di marina".

Anche la loro uniforme era particolare: si trattava della stessa divisa della fanteria, color "feldgrau", ma con il berretto da marinaio... anch'esso color "feldgrau", anziché blu.
E perfino le armi utilizzate erano inusuali: avevano infatti in dotazione il fucile Steyr "Repetiergewehr M14", che poi non era altro che una versione del più comune Gewehr 98 destinata al mercato sudamericano (soprattutto Messico, Cile e Colombia). Allo scoppio della guerra la Steyr aveva a disposizione una grossa dotazione di tali fucili, pronti per l'esportazione, che furono immediatamente requisiti dall'esercito.
La differenza principale rispetto al Gewehr 98 consisteva nel calibro (7mm anziché 7.92mm), e ciò lo rendeva inadatto alla distribuzione alle truppe combattenti in prima linea, poiché avrebbe provocato troppi problemi di logistica. Si decise quindi di distribuirlo alle milizie territoriali e, di conseguenza, anche al Seebataillon Triest.

soldati del Seebatailon Triest (riconoscibili per il berretto da marinaio),
 in una postazione sovrastante Sistiana

soldati del Seebatailon Triest con il caratteristico fucile Steyr "Repetiergewehr M14

martedì 27 luglio 2010

Gita archeologica a Nabresina – 26 gennaio 1908

Mi sono arrivate le riproduzioni di alcune pagine di appunti inediti di Alberto Puschi.
E chi è Alberto Puschi, chiederete voi?!
Alberto Puschi (Trieste, 13/2/1853 - 9/11/1922) fu dal 1884 al 1919 direttore dell'allora "Museo Civico d'Antichità" di Trieste.
Appassionato archeologo, consigliere della Società di Minerva, redattore de L'Archeografo Triestino, presidente della Società Alpina delle Giulie, consigliere della Società Istriana di Archeologia e Storia Patria...
Inizialmente si occupò di numismatica, ma presto allargò i suoi interessi all'archeologia, effettando scavi e ricerche in tutto il territorio circostante Trieste ed in Istria.
Svolse numerosi sopralluoghi su molti siti, curandone anche scavi di saggio, con l'intenzione di stendere una mappa archeologica che comprendesse anche tutta l'Istria. Poco si sa della (presumibilmente enorme) massa dei suoi appunti, che non furono mai integralmente pubblicati (B. Benussi ne pubblicò solo un breve sunto su L'Archeografo Triestino nel 1927-1928).
Queste fotocopie che mi sono giunte attarverso un amico sono quindi particolarmente interessanti, e degne di trascrizione.
Una nota: la storia che "con il pennino si scrive con miglior calligrafia" è una leggenda metropolitana. Gli appunti di Puschi (scritti appunto con il pennino, ma con pessima calligrafia) ne sono la riprova. Nella trascrizione vi sono quindi alcune incertezze, che segnalerò.
Comincio dal primo foglio, relativo al resoconto di un "gita archeologica a Nabresina" effettuata dal Puschi il 16 gennaio 1908:
A sin. della strada Nabresina-Sistiana (lungo la quale a detta della mia guida Ronzani (?), addetto alla cava Benvenuto, si trovarono a più riprese oggetti antichi e specialmente pile di pietra), precisamente un chilom. e mezzo circa dall'incrocio di questa colla strada Nabresina-Bivio, venne a luce un tratto di muro romano alto m. 1 e largo 9 (?) e grosso 0,5 a circa 8 m. di profondità dal piano della strada, in direzione circa est-ovest, presso il laboratorio della cava Leopoldo Pertot vicino alla cava Giuch (?). Il muro è fondato su massicciata di scaglie calcaree e di cemento, della quale però non si conosce l'altezza non essendosi continuato lo scavo fino in fondo. L'edificio (laboratorio o tettoia ad uso della cava romana) era circondato a levante e a mezzogiorno fin presso dai corsi della roccia. Il muro a ovest piegava ad angolo retto e continuava forse anche nella direzione di ponente.
Il muro è di buona costruzione solidissima, tanto che oggi sostiene verso nord una massa enorme di materiale.
In fondo, vicino al muro, si trovò la vera di pozzo A, che consiste di un monolite cilindrico, del diam. mass. di m. 0,95, dello spessore di 0,16 e dell'altezza di 0,54. E' alquanto corroso dall'uso, sicchè sarà precipitato coll'altro materiale anziché esser stato fabbricato laggiù per esser poi trasportato altrove.
Si raccolsero inoltre frammenti di fittili, una rozza pila di calcare e molti rottami di embrici romani (che appartenevano probab. al tetto dell'edificio), tra cui uno col bollo: MSICKM...
Nella biblioteca di Nabresina si conservano oltre a vari oggetti anche due frammenti epigrafici, di cui il maggiore trov. a Srednji, il minore in un campo verso Slivno. Ne ha cura il decoratore Enrico Höller.
Corredano gli appunti un paio di schizzi, relativi alla mappa della zona degli scavi ed i testi dei due frammenti epigrafici.

Note varie:
  • la località dello scavo, "un chilom. e mezzo circa dall'incrocio di questa colla strada Nabresina-Bivio", dovrebbe essere nella zona dell'incrocio dell'attuale provinciale con la strada che porta alla nuova zona artigianale, poco dopo il cavalcavia ferroviario.
    Non so quale sia stata l'ubicazione del "laboratorio Leopoldo Pertot"
  • la citata "Cava Giuch" potrebbe essere forse la cava di Jurcovez, che si trova però in prossimità del Castelliere 2 di Slivia (e quindi non è propriamente vicinissima alla strada provinciale)
  • una località Srednie pare trovarsi in prossimità della Strada Costiera, all'altezza della sovrastante Cava Romana.
Che fine avrà fatto questo muro? Dove si trovava esattamente? Esisterà ancora?
Ed i frammenti epigrafici citati... saranno al sicuro, magari all'Orto Lapidario, oppure saranno andati dispersi?
Quante domande...

mercoledì 24 marzo 2010

il fantomatico Castelliere di Jurcovac - stato delle ricerche

Ogni tanto qualcuno mi chiede notizie sullo stato delle ricerche del castelliere di Jurkovac, citato da Richard Francis Burton.
Onde evitare di dover riscrivere sempre gli stessi fatti, li posto qui pubblicamente... chissà che qualcun altro non si appassioni nella ricerca.

Riassunto delle puntate precedenti:
Richard Francis Burton, in uno scritto sulla rivista Athenaeum, nel 1876 descrive un castelliere, che si troverebbe nella zona di Aurisina, ma che (in base alla descrizione) non sembra poter essere uno dei due castellieri di Slivia; tutti i dettagli nel mio post del 25 gennaio 2009

Nel post del 24 giugno 2009 ho fatto poi un po' il punto delle possibili ipotesi, su dove potesse trovarsi effettivamente il castelliere visitato da R. F. Burton

Stato attuale delle ricerche:
All'epoca di R.F. Burton, la vegetazione nella zona era MOLTO meno rigogliosa, e quindi individuare manufatti e castellieri sulle colline carsiche era MOLTO più semplice che non oggidì.
Durante l'estate, qualsiasi sopralluogo nelle zone è stato praticamente impossibile o, comunque, improduttivo.
Ho approfittato dell'inverno, e della vegetazione ridotta, per effettuare diversi sopralluoghi sulle colline circostanti, ed il risultato di questi sopralluoghi è stato il seguente:
  • monte Scozza
    E' un'altura che sorge in prossimità della "nuova" fornace da calce; la sommità è costituita da un ampio campo solcato, diviso da parecchi muretti carsici. Vi si trova altresì una piccola fortificazione circolare, del diametro di un paio di metri, costruita a secco, che si può far risalire al primo o al secondo conflitto mondiale (probabilmente, dato l'ottimo stato di conservazione, al secondo).
    Se il "castelliere di Jurcovac" si trovava sul monte Scozza, probabilmente dopo la visita di R.F. Burton è stato devastato per costruire i muretti a secco e la piccola fortificazione.
la piccola fortificazione sulla sommità del Monte Scozza

  • Al di sopra della nuova fornace da calce si trova un'altra collina, a quanto ne so priva della dignità di un nome; tuttavia, anch'essa ottima candidata ad aver ospitato il castelliere.
    Purtroppo questa collina è stata in parte "mangiata" dalla cava che serviva la fornace; e se sulla sommità vi è mai stao un castelliere, le pietre che lo formavano saranno state le prime a finire in pasto alla fornace, ed oggidì nulla pare esser rimasto ad indicarlo.
  • Parimenti, dietro alla vecchia fornace da calce si trova un'altra collina, indicata sulle carte come Pitnij Vrh, sovrastante la Grotta Lesa (145/237 VG). Anche questa collina è stata in gran parte mangiata dalla cava a servizio della fornace, ma la sommità è ancora integra (anche se vale sempre la considerazione che, eventuali pietre usate per un piccolo castelliere saranno state le prime ad esser state usate per la fornace...)
    E' da segnalare che nella zona della cava si trova il Riparo delle Vipere (3573/5142 VG), anch'esso semidistrutto dalla cava, nel quale furono trovati frammenti di ceramica dell'epoca dei castellieri e (pare) un'ascia di pietra verde.
  • L'Ostri Vrh è una collina rocciosa, proprio di fronte alla vecchia Stazione di Aurisina.
    Durante la seconda guerra mondiale ospitò numerose postazioni contraeree, a difesa delle strutture ferroviarie, e quindi qualsiasi costruzione precedente è stata senz'altro devastata. Pare che alcune fortificazioni furono realizzate già dall'esercito austro-ungarico durante la prima guerra mondiale.
    Alcune di queste postazioni sono erette completamente a secco, mentre in alcune è presente del legante cementizio... il che le data incontrovertibilmente al XX secolo.
    Nei pressi dell'Ostri Vrh, ai margini di un campo solcato, si trovano però i resti di un muretto, eretto con tecnica "a sacco"... sarebbe interessante approfondire le ricerche su tale manufatto.
resti di postazioni militari sull'Ostri Vrh

i resti del muretto a sacco sull'Ostri Vrh

Miglior fortuna hanno avuto invece le ricerche documentali.
Uno degli indizi fornito da R.F. Burton diceva che "it lies to the north-west of the lands called Na-Jugelcah", ovvero che "giace a nord-ovest della località Na-Jugelcah".
Un toponimo "Jugelce" indica oggi le pendici del monte Scozza (ed è questo fatto che, in un primo momento, mi aveva indirizzato a concentrare le ricerche in questa zona). Tuttavia, recuperate le mappe dell'epoca del Catasto Franceschino, ho scoperto che la località  Na Jugelcah si trovava proprio di fronte alla vecchia stazione di Aurisina; ovvero, basta attraversare i binari in prossimità della vecchia stazione, e si è a "Na Jugelcah". Perciò, l'indicazione "a nordovest della località Na Jugelcah" ci porterebbe inevitabilmente in prossimità dell'Ostri Vrh.

Quindi, è in questa zona che bisogna concentrare le ricerche: se esistono ancora resti del castelliere di Jurkovac, si potranno trovare solo qui...

Se qualcuno vuole unire l'utile al dilettevole, e concentrare le sue prime ricerche di asparagi nella zona, chissà che non si imbatta in qualche resto di questo fantomatico castelliere...
Può sempre aiutarsi con questa mappa, dove ho riassunto la situazione:


Visualizza Ricerca del castelliere di Jurcovac - 2 in una mappa di dimensioni maggiori

martedì 8 dicembre 2009

La vedetta Liburnia



La vedetta Liburnia si trova ad Aurisina, sul ciglione, nella sella tra il monte Berciza ed il monte Babiza.

Si tratta di una ex "torre piezometrica", ovvero di una struttura tecnica a servizio dell'acquedotto, che ha la funzione di mantenere sufficientemente alta e regolare la pressione dell'acqua. In particolare, questa "torre piezometrica" era collegata ad un ramo d'acquedotto da 6 pollici che, partendo dalle Sorgenti di Aurisina, serviva la Stazione ferroviaria.
Fu eretta negli anni 1854/56, in quella che allora era una desolata landa carsica, nella quale la torre doveva spiccare come una torre medievale. Oggi è invece circondata da un fitto bosco di pini, che cominciano quasi ad insidiarne il primato dell'altezza.
Il progetto di tutto l'acquedotto (ed anche dell'attuale vedetta Liburnia) fu firmato dall'ingegnere viennese Carl Junker (1827-1882) - lo stesso del Castello di Miramare. Bei tempi, nei quali una struttura "tecnica" non doveva esser solo efficiente ma, se possibile, anche architettonicamente aggraziata... e nei quali un architetto di grido non trovava degradante utilizzare il suo talento anche per opere minori.

All'epoca della sua edificazione, fu motivo di una querelle con gli abitanti di Santa Croce; infatti la torre, e le relative tubature, si trovano su terreni di proprietà della Comunella di Santa Croce.
Il 9.9.1861 i delegati Antonio Cossutta e Giuseppe Bogatez presentarono un’istanza al Consiglio Municipale di Trieste per il ripristino del pieno diritto di proprietà degli abitanti di Santa Croce sul fondo n. tav. 3348 e n. cat. 454, occupato dalla Società Acquedotto Aurisina con le opere di canalizzazione ed il serbatoio. Ricordano come detti abitanti non furono preventivamente consultati ed alle loro proteste fu risposto, dal Presidente cav. Scrinzi e dall’ing. Junker, che per il bisogno della villa si sarebbe aperta una spina d’acqua perenne. Invece la popolazione, di oltre milleduecento anime, ha solo una cisterna. La cui acqua non basta nemmeno per quattro mesi all’anno, per cui bisogna recarsi “collo spendio di trequarti d’ora fra andata e ritorno ad una sorgente presso il mare e ciò per aspra strada o addirittura mandare i carri a San Giovanni di Duino”. All’istanza è allegata una “mappa censuaria della Comune di S.ta Croce nel Litorale, Territorio di Trieste”.
Appena nel marzo 1862 il Comune di Trieste informa della questione la Direzione dell’Acquedotto Aurisina, ricordando che “ripetute volte gli abitanti del villaggio hanno chiesto che fosse accordato uno sbocco d’acqua, ad essi stato promesso in compenso del fondo comunale occupato per l’acquedotto” ed invitandola perciò “a voler dichiararsi, in qual modo ritiene di venir incontro alla domanda dei medesimi”. La discussione si trascina negli anni seguenti, con un tentativo di coinvolgere anche la Società della Ferrovia Meridionale (Südbahn – Gesellscahaft), che però declina ogni responsabilità nel merito, in quanto la Direzione dell’Acquedotto Aurisina, all’epoca in cui aveva ceduto gli impianti (1858), si era assunta l’obbligo di definire tutte le pendenze relative all’occupazione dei fondi.
Gli abitanti di Santa Croce dovettero quindi attendere ancora a lungo, prima di ottenere finalmente l'acqua...
(fonte:  Egizio FARAONE - PROBLEMI AMMINISTRATIVI E FINANZIARI NELLA COSTRUZIONE DELL’ACQUEDOTTO DI AURISINA (1853-1860) )

Abbandonata nel secondo dopoguerra, fu riadattata ed attrezzata a vedetta nel 1985, a cura della sezione CAI di Fiume, per celebrare il proprio centenario.

I lavori (che consistettero nel riconsolidamento della struttura muraria, e nella costruzione all'interno di una struttura metallica con scale) fu eseguito dall'impresa Innocente e Stipanovich. A ricordarlo, una targa infissa all'esterno:



panorama verso nord
Anche se, come detto, si trova in una sella, la modesta altitudine delle alture che la coronano permette di spaziare con lo sguardo a 360°, e la rende probabilmente la più panoramica di tutte le vedette triestine.

La struttura interna con la scala metallica che, dopo un quarto di secolo, una mano di vernice anche se la meriterebbe...
E' stato conservato il grosso tubo che, originariamente, collegava il serbatoio con l'acquedotto.

un frammento della scala originale in pietra




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giovedì 5 novembre 2009

Vedette del Carso triestino

Le Vedette sono delle caratteristiche costruzioni in muratura, sparse lungo il territorio della Provincia di Trieste, in punti particolarmente panoramici.

Da nord a sud, le vedette attualmente esistenti sono le seguenti:
  • Vedetta d’Italia - (Prosecco, sul ciglione soprastante la Strada Napoleonica, in prossimità di Monte Grisa)
    Con nome di "vedetta del Giubileo", fu costruita nei primi anni del '900 ed inaugurata nel 1908; fu realizzata dal Club Touristi Triestini, che la dedicò a Francesco Giuseppe in occasione del suo Giubileo dei 50 anni di regno. Era una torre in pietra carsica, alta 11 metri.
    Nel 1922, dopo la Prima Guerra Mondiale, passò alla Società Alpina delle Giulie che la ribattezzò "Vedetta Italia" o "Vedetta d'Italia".
    Fu poi demolita dall'esercito tedesco nel 1944 in quanto costituiva un pericoloso punto di riferimento.
    La vedetta attuale fu infine riedificata dalla Società Alpina delle Giulie nel secondo dopoguerra.
  • Vedetta Alice - (Padriciano, in prossimità dell’Area di Ricerca - m. 452 s.l.m.)
    Originariamente, la Vedetta Alice fu eretta nel 1897, tra il Valico di Trebiciano ed il Monte Calvo. Venne realizzata traslando la torre di un fontanone che si trovava in Piazza Dogana. Per la precisione, inaugurata il 29 giugno 1897, ed il nome di Alice le fu dato in onore della consorte del vicepresidente della società avvocato Giuseppe Luzzatto.
    Fu demolita nel 1915 dall'esercito austriaco.
    La nuova vedetta fu costruita sul Monte Calvo nel 1957 dall'Ente per il Turismo di Trieste.
  • Vedetta di San Lorenzo - (Val Rosandra, sopra la pista ciclabile ricavata dall’ex-ferrovia Trieste-Erpelle - m. 370 s.l.m.)
  • Vedetta di Moccò - (sull'omonimo colle, in prossimità delle rovine dell'antico castello di Moccò - m. 200 s.l.m.)
  • Vedetta di Crogole - (Val Rosandra, sul Monte Carso - m. 210 s.l.m.)

Un lungo sentiero, che attraversa tutta la provincia, è dedicato a Julius Kugy e tocca tutte le vedette.

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Sulla vetta del Monte San Leonardo vi è una vedetta, incompiuta: all'epoca della costruzione (anni '60), la zona era militarmente molto importante, tanto da esser costantemente presidiata dall'esercito. Il completamento della costruzione fu impedito quindi dalle autorità militari, in quanto avrebbe potuto costituire un pericoloso punto di riferimento per le artiglierie nemiche nel caso di un (allora non tanto) ipotetico conflitto.
Oggi, che questi problemi fortunatamente non sussistono più, si potrebbe anche completarla...

Molte vedette, dall'architettura anche pregevole, sono oggi scomparse. Ad esempio, la Vedetta Ortensia o Vedetta di Opicina - (Opicina, zona Obelisco) - costruita dall'Alpina delle Giulie nel 1890.
Un'altra vedetta, oggi sommersa dalle vegetazione, si trova in prossimità del Ferdinandeo.
Particolarmente pregevole, tra le vedette scomparse, la Vedetta del Giubileo (o Vecchia Vedetta Italia)

domenica 18 ottobre 2009

le colonne di Aurisina



Sulla strada provinciale, tra Aurisina e Santa Croce, si trovano due grandi colonne di marmo, sovrastate dall’Alabarda.
Le colonne furono erette in onore dell’imperatore Francesco I d’Austria, che il 30 aprile 1816 transitò per Aurisina, nel suo viaggio da Gorizia e diretto a Trieste.
Su una delle colonne era iscritta un’epigrafe, oggi scomparsa:
IMPERATORI.ET.REGI.F.I.
TERGESTE.DIE.XX.M.APRIL.
A.MDCCCXVI
ADVENTVRO
CIVITAS.SVAM.IN.EVM.DEVOTIONEM
TESTARE.ANHELANS
AD.TERRITORY.LIMEN
MONUMENTUM.ISTUD
POSTERIS.TAM.FAVSTVM.DIEM
ENARRATVRVM
POSVIT
(evidentemente, la visita dell’imperatore avvenne con dieci giorni di ritardo rispetto alla data prevista…)

Nel secondo dopoguerra, a cura dei militari alleati, una colonna fu spostata per permettere l’allargamento della strada.

Nel 2003 le alabarde sovrastanti le colonne furono restaurate a cura dei Civici Musei di Storia ed Arte di Trieste.

Pochi sanno che, poiché il confine tra i comuni di Trieste ed Aurisina corre lungo la strada provinciale, accade che la colonna di sinistra (per chi proviene da Santa Croce) appartiene al Comune di Trieste, mentre quella di destra appartiene invece al Comune di Duino Aurisina.

Il 18 dicembre 2006, in seguito ad un incidente stradale, venne abbattuta la colonna di sinistra (ovvero quella di proprietà del Comune di Trieste). Nei giorni successivi vi fu un tentativo di furto del “melone”, ovvero della grossa sfera di marmo che sovrastava la colonna rovinata, e che giaceva a terra assieme agli altri resti della colonna. La sfera di marmo fu però fortunatamente ritrovata poco distante, occultata sotto rami e foglie. Venne quindi recuperata con un mezzo della Protezione Civile di Duino Aurisina, e custodita fino al restauro, che si concluse appena nel settembre 2007.

Il colpo d’occhio delle due colonne è oggi rovinato da un lampione, infelicemente posizionato proprio a ridosso delle stesse.

Aggiornamento di gennaio 2010: è stato installato un nuovo impianto di lluminazione delle colonne, che le valorizza sensibilmente. Avvicinandosi di notte ad Aurisina lungo la strada provinciale, il colpo d'occhio è notevole...
(fonte: Il Piccolo 14/1/2010)

mercoledì 16 settembre 2009

Le bombe a mano (racconto)

Il Carso è terra di uomini, e quindi è anche terra di Storie.
E vi sono Storie grandi e Storie piccole; e quelle che si tramandano, e magari si studiano a scuola, sono le Storie grandi; ma per ogni Storia grande ci sono cento, mille piccole Storie; e non è detto che non valgano la pena di esser raccontate.
Questa è una piccola Storia. E, come tutte le piccole Storie (ma anche qualcuna delle grandi) è nata, è corsa di bocca in bocca, ed è sopravvissuta solo nella memoria di qualcuno. Quindi, non sappiamo se è andata proprio così... ma potrebbe, e tanto ci basta.

Negli anni '60 e '70 il Carso era molto frequentato da piccoli gruppi di speleologi (o “grottisti”, come amavano definirsi): esperti, meno esperti, giovani cani sciolti, esploravano e riesploravano grotte note, si arrampicavano alla ricerca di rami nascosti, scavavano e si infilavano in stretti budelli alla ricerca di nuove cavità. Raramente muniti di attrezzature adeguate, quasi sempre dotati di attrezzi artigianali (se non addirittura improvvisati), quello che animava quei giovani era lo spirito dei pionieri. Ed erano tanti che, armati di corda e lampada a carburo, riscoprivano così il fascino dell'avventura alle porte di casa.
Un'estate accadde che un gruppo di giovani speleologi, esplorando una grotta nei dintorni di Aurisina, fece una scoperta in quegli anni invero abbastanza frequente: vi trovò due bombe a mano, residuati bellici; si trattava di bombe a mano tedesche, le “Stielhandgranate”, ma comunemente chiamate “schiacciapatate” per il caratteristico manico in legno.
Possiamo immaginare l'eccitazione che tale scoperta causò nei giovani: chi avrebbe voluto portarsele a casa, chi suggeriva di provare a tirarle “per vedere se funzionavano ancora” (e perché non avrebbero dovuto? Erano in ottime condizioni...), chi nasconderle nuovamente, quasi fossero un piccolo tesoro...
Ma quelli erano ancora gli anni in cui, ogni primavera, venivano affissi tristissimi manifesti, che ritraevano bambini orrendamente mutilati, e che ammonivano a non toccare i residuati bellici. Quindi il ragazzo più grande della compagnia (forse solo un po' meno incosciente degli altri), prese la decisione più saggia: avvertire i carabinieri.
Gli altri ragazzi si dileguarono alla chetichella; lui invece si avviò di buon passo alla caserma dei carabinieri di Aurisina, che distava pochi chilometri. (Eh si: anche se parliamo di poco più di trent'anni fa, all'epoca il mezzo più diffuso per muoversi in Carso erano ancora i piedi; ed una passeggiata di pochi chilometri non spaventava nessuno).
Giuntovi, si presentò al militare di guardia, spiegandogli di aver rinvenuto due bombe a mano in una grotta nelle vicinanze.
Il militare lo accompagnò in una stanza, ove sedette ad una scrivania, rovistò in un cassetto, e vi estrasse la carta topografica della zona, che dispiegò cerimoniosamente sul tavolo.
Dunque, lei avrebbe trovato due bombe a mano in una grotta... e dove sarebbe questa grotta?
Il ragazzo si chinò sulla carta per studiarla, e quindi indicò un punto:
Ecco, vicino a questo incrocio parte un sentiero... seguendolo, dopo questa curva bisogna superare un muretto, e nella seconda dolina si trova la grotta...
Il militare guardò la mappa poco convinto:
Ma lì non è segnata nessuna grotta!
E grazie! Se pensa di trovare sulla sua carta tutte le grotte del Carso, stiamo freschi! Sono più di duemila, ed a segnarle tutte sulla sua mappa ne verrebbe fuori una macchia unica! Lì ne trova segnate poche, solo le più importanti...
Il militare lo guardò di sottecchi, infastidito dalla lezione non richiesta.
Ed in questa grotta allora ci sarebbero due bombe a mano...
Ah no, non più” - lo interruppe il ragazzo - “le bombe a mano sono qui!
E così dicendo le estrasse dal tascapane, e le posò al centro del tavolo, proprio sopra la carta topografica.
Il militare strabuzzò gli occhi, sorpreso e spaventato, e si buttò istintivamente all'indietro. Ma così facendo perse l'equilibrio e, mulinando le braccia cercando di riguadagnarlo, si afferrò alla mappa. Un attimo dopo era a terra assieme alla sedia, alla carta e ad una delle due bombe...
L'ufficiale che accorse, richiamato dal frastuono (oltre che dalle imprecazioni urlate dal militare), si divertì molto alle spiegazioni dell'accaduto, e congedò il ragazzo con una risata ed una stretta di mano.
Le bombe a mano, infine, furono fatte brillare dagli artificieri parecchio tempo dopo, assieme ad altri residuati rinvenuti sul Carso nel frattempo.
Molte altre, purtroppo, non fecero la stessa fine; ed in alcuni casi resero reali le immagini da incubo dei manifesti che ammonivano: “NON RACCOGLIETELE!

domenica 16 agosto 2009

Stazione di Aurisina - 16 agosto 1917

La Stazione di Aurisina (da non confondersi con la stazioncina di Bivio d'Aurisina) ha oggi l'aspetto melanconico di un'anziana nobildonna decaduta.
Fu eretta nel 1857 a servizio della Sudbahn, o I.R. Ferrovia Meridionale, che collegava Trieste con Lubiana, e per molti anni costituì uno dei principali nodi ferroviari della zona.
Oggi la cerchereste inutilmente sugli orari, anche del più sperduto treno locale: è stata completamente abbandonata come stazione, e viene usata solo come deposito di attrezzature per la manutenzione delle linee ferroviarie; pochi treni vi transitano, senza mai fermarsi.

Data la sua importanza, e data la vicinanza al fronte, durante la prima guerra mondiale fu più volte obiettivo di bombardamenti: sia d'artiglieria, che aerei.
Particolarmente devastante fu il bombardamento del 16 agosto 1917, eseguito dalle artiglierie italiane che sparavano da dei pontoni (o "monitori") a Punta Sdobba.
Precisamente, a sparare quel giorno pare che fu il monitore "Faà di Bruno", della Regia Marina, con i suoi pezzi binati da 381 mm.



A ricordare questo episodio, una piccola lapide con la data, posta sulla facciata, sopra a quello che sembra un fiore di ferro; ma che altro non è che il rottame della granata che la colpì:



Quel piccolo fiore di ferro, che pare piccola cosa, quasi gentile, non può far capire la distruzione che portò. Vediamo, in una foto d'epoca, i danni che causò:

mercoledì 22 luglio 2009

Canovella de' zoppoli

Sulla costa ai piedi del Carso, proprio sotto all'abitato di Aurisina, si trova il porticciolo con l'altisonante nome di "Canovella de' zoppoli".
E' un porticciolo piccolo e pittoresco, sovrastato da terrazzamenti coltivati a vite.

Visualizzazione ingrandita della mappa
Il nome deriva da un non spiegato toponimo, "Conouella" che compare già nel XVI sec. (se non prima). E gli zoppoli... cosa sono gli zoppoli?
Lo zoppolo, o "Čupa", è un'antica imbarcazione, semplice ai limiti del primitivo.
E' costituita da un unico tronco di Pino Rosso o di Pino marittimo, scavato con l'accetta in modo da ricavarne uno scafo. Le misure "tradizionali" dello zoppolo sono: lunghezza 7 m, largezza 70 cm, altezza 60 cm, spessore 5-8 cm.
Su questo scafo veniva montata una larga traversa per gli scalmi, che sostenevano due remi lunghi 6 metri.
Le origini dello zoppolo sono ovviamente antichissime, e volendo si potrebbero far risalire anche alla più remota preistoria... Limitandosi alla storia, le menzioni più antiche degli zoppoli si hanno in Dalmazia già dal 1272, mentre nella nostra zona viene menzionato per la prima volta nel 1621, allorchè il Conte di Duino ne confiscò uno ai pescatori di Santa Croce, che avevano pescato abusivamente nelle sue acque.
Lo zoppolo rimase in uso presso i pescatori della zona fino a tempi molto recenti: l'uso era ancora diffuso nel periodo tra le due guerre.
Oggi ne sopravvivono solo tre esemplari:
- lo zoppolo "Maria", costruito ad Aurisina nel 1890, ed esposto al museo etnografico di Lubiana
- lo zoppolo "Lisa". costruito anch'esso ad Aurisina ma nel 1882, conservato nella Collezione de Henriquez
- ed infine uno zoppolo, di costruzione recente, è conservato nella sede di Sistiana dello Yacht Club Čupa (che ne prende, appunto, il nome)
Gli zoppoli venivano custoditi appunto nella zona di Canovella, ma non nel porticciolo che vediamo oggi e che è di costruzione recente (fu costruito dal Governo Militare Alleato nel 1953). Gli zoppoli venivano tirati in secca e conservati su alcuni gradoni, visibili ancor oggi, chiamati "fasalli".
A fianco dell'attuale porticciolo si vedono i resti dell'antico porticciolo romano; resti dell'epoca romana furono rinvenuti anche sul pianoro sovrastante. Si trattava probabilmente di una stazione in qualche maniera collegata con le cave, ed in questo porticciolo venivano imbarcati i blocchi di pietra di Aurisina estratti dalle cave.

mercoledì 24 giugno 2009

ancora sul fantomatico Castelliere di Jurkovac

Del fantomatico castelliere di Jurkovac avevo già scritto tempo fa (precisamente qui).

Non ho smesso di cercare dove si potesse trovare questo "castelliere di Jurkovac"... dando per scontato che, per svariati motivi, non può essere uno dei due castellieri di Slivia (sono entrambi troppo grandi, rispetto alla descrizione del Burton, non sono visibili dalla stazione di Aurisina, ed il percorso che descrive il Burton per raggiungerlo non è compatibile).
Avevo anche scartato che potesse essere l'Ostri Vrh, il modesto rilievo che si trova tra la stazione di Aurisina e San Pelagio... ma quest'ultima ipotesi dovrò adesso rivalutarla seriamente.

Ho infatti trovato nella Guida dei dintorni di Trieste, Società Alpina delle Giulie, 1909 (pag. 96), la seguente nota:
"Al sud del monte S. Leonardo sorge il castelliere della villa di Samatorizza e verso occidente, su un colle il castelliere di S. Pelagio chiamato Gradisce."

Osservo che la posizione dell'Ostri Vrh è perfettamente compatibile con questa descrizione, e che il Burton indicava il toponimo "Grad"...


Visualizza Ostri Vrh in una mappa di dimensioni maggiori

Una doverosa nota sul toponimo “Grad” (e derivati Gradec, Gradisce ecc.), che è è molto diffuso in Carso: si chiama “Gradec” la cava in prossimità del castelliere di Slivia II, “Gradec” è uno dei nomi del monte Coste, “Gradisce” si trova in prossimità della Grotta Ternovizza, ed una “Gradensce” a nord di Gabrovizza…
Ma anche “Ostri Vrh” è diffuso a pioggia: lo troviamo a sud-est del monte San Leonardo, un altro a sud di Monrupino, un altro ancora a nord di San Daniele del Carso.

A questo punto si riaprono le indagini sull'Ostri Vrh, come possibile candidato ad aver ospitato in passato il piccolo castelliere di San Pelagio...
La zona è stata devastata nel corso della prima e della seconda guerra mondiale (durante la prima, ospitava delle fortificazioni austro-ungariche di retrovia; durante la seconda, delle postazioni contraeree, probabilmente prima italiane e tedesche dopo, a protezione della vicina stazione ferroviaria). La zona è stata quindi fortissimamente rimaneggiata, e non sarebbe da meravigliarsi che delle strutture del castelliere sia rimasto poco o nulla...

martedì 14 aprile 2009

I cumuli sul ciglione di Aurisina

Per andare dal parcheggio all’inizio del Sentiero dei Pescatori fino alla vedetta Tiziana Weiss, oltre al sentiero nel bosco (di cui parlavo qui) abbiamo un’altra possibilità: percorrere il sentiero lungo il ciglione.
Si tratta di uno dei sentieri più panoramici e suggestivi e, per certi versi, inquietanti del Carso: si marcia su uno stretto battuto, con il ciglio del precipizio subito a fianco, e poche o nessuna protezione… decisamente sconsigliato quindi a chi soffra di vertigini.
Per trovarlo: dal parcheggio dobbiamo incamminarci sul Sentiero dei Pescatori, scavalcare la linea ferroviaria sul ponte in pietra, seguire il sentiero per il primo tratto. Dopo poche decine di metri incontreremo una biforcazione (con segnavia CAI); seguendo il ramo a destra, ci troveremo sul sentiero giusto.
Poche decine di metri più avanti incontreremo, sulla destra, sommerso dalla vegetazione, i resti di una sorto di largo pozzo murato (una ghiacciaia? O i resti di una qualche fortificazione della prima guerra mondiale?)
Poco più avanti usciremo dal bosco e ci ritroveremo ai piedi dei misteriosi cumuli sul ciglione di Aurisina.
E dico “misteriosi” perché non sono riuscito a trovare alcuna spiegazione logica alla loro presenza.
Si tratta di alcuni cumuli di pietrame, alti alcuni metri e disposti lungo il ciglione per la lunghezza di alcune decine di metri. Complessivamente, svariate centinaia di metri cubi di roccia (forse anche più di un migliaio di metri cubi).
Le mie pur scarse cognizioni di geologia mi portano ad escludere che si tratti di una formazione geologica naturale: sono di ammassi di pietre, di media dimensione, che nessuna legge fisica può aver naturalmente convinto ad ammucchiarsi in quel posto.
Quindi, l’origine antropica è garantita.
Ma chi li ha fatti, e perché?

La prima ipotesi che viene alla mente (ovvero quella dei tumuli preistorici) dovrebbe esser l’ultima ad esser presa in considerazione (ed è questo il motivo per cui li chiamo “cumuli” e non “tumuli”).
Sul Carso le segnalazioni di tumuli preistorici sono infinite: è sufficiente girare un po' per imbattersi in qualcosa che, senza neanche troppa fantasia, risponde alla definizione di "tumulo". Ciononostante, fino ad ad oggi sono stati identificati due soli tumuli preistorici: sul Monte Orsario e sul Monte Concusso.
Quindi, proporre un qualcosa come "tumulo" è sempre probabilmente avventato...

La seconda ipotesi è quella dell'ammasso di scarti di cava. Possibile, ma difficile, visto che non ci sono cave nelle immediate vicinanze (e che anche le cave vicine hanno molti altri luoghi più vicini in cui ammassare gli scarti).

Un'altra ipotesi è che si tratti della maceria derivante dallo scavo del trincerone e della galleria ferroviaria, che corrono proprio in quei pressi. Tuttavia, non appare molto logico aver ammassato lì la maceria, anche perchè tale ammasso è più in alto rispetto alla galleria ed al trincerone - e lo scavo è stato fatto nell'800, ovvero in un epoca in cui la principale forza motrice era data da asini e forza di braccia. Depositare un migliaio di metri cubi di roccia dieci metri più in basso o più in alto faceva MOLTA differenza...
Inoltre, all'epoca una maceria calcarea come quella che costituisce questi cumuli era preziosa materia prima: veniva usata per le massicciate ferroviarie (esistevano apposite cave che venivano sfruttate solo a questo scopo), oppure per la produzione di calce.
La tecnica di scavo di una trincea ferroviaria avrebbe recuperato la maceria trasportandola sulla stessa linea ferroviaria che veniva posata...

Una costruzione a fini militari, risalente alla prima guerra mondiale? La zona è ricca di fortificazioni che (fortunatamente) non videro mai combattimenti, poichè che il fronte non arrivò mai fin qui. Tuttavia, non si riesce a vedere una possibile logica per la costruzione così titanica. Dal punto di vista militare, lo stesso risultato si sarebbe potuto ottenere con uno sforzo ben minore, sfruttando l'orografia naturale.

Altre ipotesi? Fatevi avanti, la gara a trovare una spiegazione logica e ragionevole è aperta...

Se volete vedere questi cumuli, una bella foto aerea è disponibile attraverso Microsoft Maps.

Una bella vista si ha anche da Google Maps:

Visualizzazione ingrandita della mappa

E qui un po' di foto:

giovedì 5 febbraio 2009

la vedetta Tiziana Weiss ed il "NASCO" di Gladio

Trovare la vedetta Tiziana Weiss è facile: è riportata su tutte le mappe.
Comunque, per chi non lo sapesse:
  • da Aurisina, si parte dal piazzale del parcheggio sotto la scuola media (quello all'inizio del "sentiero della Salvia" e del "sentiero dei pescatori"
  • si segue il sentiero che segue il crinale verso nord, fiancheggiando una serie di nuove vileltte a schiera e attraversando la linea ferroviaria su un ponte
  • si prosegue nel bosco, fino a quando non si raggiunge la zona della nuova area artigianale
  • a questo punto un sentierino sulla sinistra ci porterà in un paio di minuti sulla vedetta
Insomma, qui:


Visualizzazione ingrandita della mappa

Si tratta di una costruzione semplice e suggestiva, una sorta di "terrazza a mare" naturale che non ha bisogno di sopraelevarsi per favorire lo sguardo, trovandosi naturalmente in uno dei punti più panoramici del ciglione.
E' intitolato all'alpinista triestina Tiziana Weiss, vittima nel 1978 (a soli 26 anni) di un incidente in parete, sulle Pale di San Martino.
Sono in molti (ma non moltissimi...) a conoscere questa vedetta, essendo meta naturale di gite e passeggiate.
Pochi però avranno notato che tale vedetta è costruita sui resti di un bunker (che, sinceramente, non so se far risalire alla prima o alla seconda guerra mondiale). E pochissimi sapranno che tale bunker (erroneamente definito "grotta") assurse anni fa agli onori delle cronache nazionali, allorchè fu individuato come un "nasco" dell'organizzazione Gladio.
Cos'era un "nasco"? Nulla più che un "nasco-ndiglio" per armi ed esplosivi, occultativi da personale militare in preparazione di una ipotetica resistenza nel caso di invasione dall'est, e ciò avvenne negli anni tra il 1963 ed il 1970.
Ed in tale bunker vennero quindi sepolti (in casse metalliche, scatole di plastica e sacchi catramati) svariati materiali. E questo era il "Nasco 203". Orbene, in quegli anni tra i giovani triestini era diffuso un hobby particolare: la collezione di cimeli militari, per lo più raccolti da improvvisati scavi in trincee e bunker. Quindi, al "Nasco 203" accadde infine ciò che era ragionevolissimo accadesse: il 24 febbraio 1972 fu casualmente scoperto da due ragazzini quattordicenni della zona. I due ragazzini un po' giocarono con il materiale rinvenuto (anche se non si trattava propriamente di giocattoli: vedi più avanti l'inventario, stilato dai Carabinieri), un po' lo dispersero buttandolo nella sottostante scarpata. Il materiale trovato dai due ragazzi, in cinque contenitori, era il seguente:
  • 15 Kg. di esplosivo plastico suddiviso in 24 pacchi;
  • 5 Kg. di cariche esplosive di dinamite;
  • 200 metri di miccia detonante;
  • 80 detonatori;
  • 90 matite esplosive a tempo;
  • 20 accenditori a pressione;
  • 20 accendimicce di strappo;
  • 50 trappole esplosive;
  • una pistola automatica spagnola Star con 50 cartucce;
  • una pistola americana Histandard cal. 22 con silenziatore e 50 proiettili;
  • numeroso altro materiale esplosivo;
  • 6 granate incediarie.
Qualche giorno dopo uno dei due (che, per inciso, era figlio del comandante della locale stazione dei carabinieri), rivelò la scoperta al padre. A questo punto gli avvenimenti successivi si fanno confusi e contraddittori, perchè furono oggetto di indagini giudiziarie e di depistaggi da parte dei Servizi. Comunque pare che:
  • i Carabinieri recuperarono il materiale trovato dai ragazzi (anche quello disperso nella scarpata)
  • nei giorni successivi, il 3 marzo 1972, gli stessi carabinieri di Aurisina, perlustrando la zona per vedere di individuare altre armi ed esplosivo, rinvennero “sepolto in una grotta naturale” ad "almeno mezzo km di distanza" un altro scatolone metallico ermeticamente chiuso e un contenitore di plastica, contenenti altri armi ed esplosivi.
  • a questo punto cominciò un "balletto" tra i Carabinieri ed i Servizi, che tentarono di depistare i Carabinieri per non far capir che il materiale era loro.
  • il materiale fu distrutto nei giorni successivi, ed i verbali stilati dai carabinieri non sono sufficienti a stabilire incontrovertibilmente né se dal nasco mancasse del materiale (rispetto a quanto originariamente depositatovi dal SID), né se vi fosse del materiale estraneo (depositato quindi da terzi in un secondo momento)
  • La storia fu oggetto di controverse vicende giudiziarie, in quanto fu compresa nell'indagine del giudice Casson per la strage di Peteano; e vi furono le più svariate interpretazioni e letture dei fatti, facilitate dalla "cortina fumogena" sollevata dal SID sui fatti
  • le indagini infine parvero stabilire che tale Nasco fosse noto agli attentatori ben prima della scoperta dello stesso da parte dei ragazzi; e che quindi gli attentatori abbiano potuto attingere a tale materiale (che sarebbe stato poi utilizzato per la strage di Peteano), ed anche utilizzare il Nasco come deposito per altro materiale.
  • la conclusione fu che la scoperta del Nasco di Aurisina portò comunque, nei mesi successivi, allo smantellamento di tutta la rete esistente dei Nasco, per evitare altri possibili “rinvenimenti fortuiti”.
A chi voglia approfondire, consiglio i seguenti link:

http://www.gladio.webdomini.com/htm/gladio_doc.htm
Gladio: non tornano i conti sui nasco (Repubblica)
http://www.uonna.it/salvin33.htm
http://www.nuovaalabarda.org/leggi-dossier-1972/4/
oppure vedete un po' cosa ha da offrirvi Google al riguardo...

I lati oscuri di questa vicenda, a tutt'oggi, non mancano.

Questa storia ha solleticato la vostra curiosità, e volete visitare questo luogo, legato ad uno dei misteri più tenebrosi d’Italia? Seguite le indicazioni:
- dalla vedetta Weiss, prendete il sentiero che vi riporta verso Aurisina

- dopo pochi metri, vedrete una traccia sulla sinistra, che curvando a sinistra vi porterà proprio al di sotto della vedetta; lì troverete l’ingresso del bunker

- si tratta di una struttura piccola e semplice, con un unico corridoio che, girando a destra, porta ad un ampio finestrone scavato nella roccia (oggi la vista è fermata dalla vegetazione, ma una volta doveva esser molto panoramico, e permetteva di controllare tutto l’ingresso la baia di Sistiana); sulla sinistra, subito dopo l’ingresso, si apre un piccolo corridoio cieco (probabilmente, originariamente, una riservetta di munizioni).

La prima volta che visitai il bunker della vedetta Weiss, circa vent'anni fa, le tracce di scavo erano ancora evidenti (precisamente nel sopra citato corridoio cieco). Oggidì non sono più visibili, coperte da sassi e rocce franate nell'ingresso.


Vedetta Tiziana Weiss e "Nasco" di Gladio

domenica 25 gennaio 2009

il fantomatico castelliere di Jurkovac

Avevo citato che, tra gli innumerevoli scritti di Richard Francis Burton, vi è anche un articolo del 1876: `The Castelliere of Jurkovac’ (Athenaeum,1876-11-04, p. 598)

Questo articolo merita di esser riportato:

Trieste, October 16, 1876
Among the many strangers that hurry through Trieste, there are a few archeologists who may take an interest in the Castelliere, or proto-historic dwelling-places of the Kunstenland and the peninsula of Histria. My friend, Dr. (LL.D.) Antonio Scampicchio, of Albona, and I have lately surveyed one of these most interesting sites, lying within a few yards of the Nabresina Station, where the Sud-Bahn, or Great Southern, branches off to Italy. Its saucers-shaped outline, with a bush-grown rock protruding from the centre, and the debris of fawn-coloured nummulitic limestone disposed at the natural angle, must for years have attracted every observing eye; and yet, curious to say, it is not noticed either in the list or in the map of the late Dr. Kandler, a learned antiquary who did much to illustrate the remains of his fatherland.
The traveller had better take a carriage at Trieste and drive (an hour and half) to Nabresina (the Roman Aurisina?) - the village, not the station - where he will find the innkeeper, Giuseppe Tanei, an adeguate guide. Ascending the slope he will note that the diameter of the saucer's base is about 120 feet, whilst the oval enceinte measures 33 from north to south and 46 from east to west (Cadrastal Map of Austria). Amongst the stones which represent the outer wall, he will pick up frangments of broken pottery, thicker, coarser, and heavier than the usual yield of such places. I have collected about half-a-dozen different types, and Col. A. Lane Fox is preparing to have them analyzed. The interior has evidently been divided into two compartments by a party-wall, intended probably to separate the cattle from their owners. Yhe characteristic black earth, the decay of animal and vegetable matter, has been removed or buried by the furious Bora winds which sweep this section of the "Carso", or limestone plateau, extendig from north-north-west to south-east of Trieste; but the cotti are to be met in the crevices of the highest rock.
The site is known to the people as the Grad, or Castello di Jurkovac, the district extending between it and the sea; it lies to the north-west of the lands called Na-Jugelcah (pronounced Yugeltsakh), meaning in the Wend or Slovene dialect, "upon the southern (Jug) slopes". I hope presently to publish a translation of Slovene proverbs and songs collected by the learned professor, W. Urbas, and to introduce this charmingly naive branch of thhe great Slav family to the notice of the English public.

Il castelliere di Jurkovac doveva proprio aver colpito Burton, perchè ne parla anche in un altro scritto:

At an easy walk from the station, and lying below the white-steepled village San Pelai (Pelagius), lies the protohistoric ruin, the Castelliere of Jurkovac, which I described in yhe Athenaeum (Nov. 4, 1876). Seen from afar, it is a giant ring-fence of dry stone, a truncated cone of dove-coloured calcaire, roughly-piled blocks that have now assumed the natural angle of the hill-side. Around the central head of rock an industrious peasant is planting onions; and the whole is surrounded by Carso vegetation - elm scrub, mountain ash (frassino), nut bushes, and dwarf oak, slowly growing, but hard and durable. Here and there we note the wild Marasca cherry which is the basis of Maraschino. The ruin is worth visiting; it shows the usual remains of rude pottery, the "black malm" produced by animal and vegetable decay, and the double division of the area; this, I suppose, was intended to separate bipeds and their quadrupeds. Of the thousand thousand English-men who have passed through Nabresina, how many have noticed its Castelliere?

Quale sarà questo misterioso "castelliere di Jurkovac"?

Vediamo di fare un po' il punto:
  • si trova a "poche yarde" dalla stazione di Aurisina; una yarda è meno di un metro (precisamente, 91 cm), quindi deve trovarsi proprio in prossimità della stazione
  • alla base misura 120 piedi, ovvero circa 36 metri
  • la cerchia ovale misura 33 piedi (10 metri) in direzione nord-sud e 46 piedi (14 metri) in direzione est-ovest
  • si trova "ai piedi di San Pelagio"
  • si trova a nordovest della zona denominata "Na-Jugelcah"; il che non ci è di aiuto, perchè oggi questo toponimo sembra esser sconosciuto. Nè è di alcun aiuto il toponimo "Grad", in quanto questo sembra esser utilizzato in Carso ovunque vi sia un castelliere (io ne ho contati almeno mezza dossina...).
    Per quanto riguarda infine il toponimo "Jurkovac", esiste una ex-cava Jurcovac in prossimità dei castellieri di Slivia.
Il problema è curioso, perchè in quella zona non mi risulta nessun castelliere...

Quali sono le possibilità?
  1. Si tratta di uno dei due castellieri di Slivia
    Improbabile, se non impossibile: sono troppo lontani (altro che "poche yarde" dalla stazione!), e sono entrambi molto più grandi
  2. Si tratta del castelliere di Samatorza
    Possibile, da verificare; la posizione non è propriamente "ai piedi di San Pelagio" (il castelliere di Samatorza si trova in prossimità della Grotta Azzurra), ma indubbiamente non è lontano dalla stazione.
    Non ho mai visto il castelliere di Samatorza, nè ho visto alcun rilievo. L'unica nota che ho trovato in rete (sul sito arcipelagoadriatico) è la seguente: "su questo castelliere esistono dubbi di autenticità. L'assenza di strati di reperti archeologici, nonché il fatto che questa zona venne ampiamente utilizzata dagli austriaci, lasciano perplessità se si tratti davvero di un castelliere carsico."
    Interessante: se si dovesse trovare conferma che è questo il castelliere visto dal Burton, si avrebbe la prova che si tratta effettivamente di un castelliere - visto che il Burton lo visitò ben prima che fosse rimaneggiato dai militari austriaci, e vi rinvenne dei reperti.
  3. Si trova da qualche parte nel triangolo Slivia-San Pelagio-Stazione
    Possibile, e da verificare; la zona è ricca di doline, ma non di rilievi, ed è stata pesantemente modificata dall'esercito austriaco nella prima guerra mondiale (era nelle immediate retrovie dell'Hermada); inoltre la zona adesso è coperta da una folta vegetazione, che non la rende molto "leggibile".
    L'ho in parte ispezionata, nella parte più vicina alla strada provinciale che va dalla stazione a San Pelagio, perchè vi erano (sulla carta) due rilievi che parevano promettenti; ma non hanno mantenuto le loro promesse (uno dei due però è molto panoramico, e conserva tracce di interessanti impianti militari risalenti alle due guerre mondiali: probabilmente, postazioni contraeree a protezione della stazione ferroviaria).
  4. Si trova da qualche parte a destra della strada provinciale che va dalla stazione a San Pelagio
    Questa ipotesi comprende, in una certa misura, la numero 2. Bisogna considerare che in questa zona ci sono diversi altri rilievi che avrebbero potuto ospitare castellieri... ed altre ce n'erano. Perchè, purtroppo, sono stati "mangiati" da delle cave. Se così fosse, del nostro "castelliere di Jurcovac" non vi sarebbe più traccia.

E la zona (arricchita da qualche mia annotazione) è questa:


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