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lunedì 2 novembre 2015

La leggenda del "Bunker n. 13"

Quella del leggendario (o fantomatico?) "Bunker n. 13" è una insistente e diffusa voce che circolava negli ambiente speleologici triestini fin dagli anni '50, e che solo da alcuni anni sembra esser stata coperta dall'oblio.

Secondo questa voce, si trattava di un grande (e segretissimo) bunker, allestito della Wehrmacht durante il periodo dell'Adriatisches Küstenland (settembre 1943 - maggio 1945)

In questo mitico bunker sarebbero state custodite armi (compresi carri armati), documenti e tesori sottratti agli ebrei; a maggio 1945 gli ingressi sarebbero stati sigillati ed occultati, e se ne sarebbe quindi persa la memoria.
Pare che questo mitico "Bunker 13" sia citato anche nei famosi diari di Diego de Henriquez.

Ma, a parte questo, nulla di certo si sa sull'effettiva esistenza e sull'ipotetica posizione di questo bunker, in merito al quale si è variamente favoleggiato.

Secondo alcune voci sarebbe accessibile da villa Necker (sede fino a pochi anni fa dell'ex Comando Truppe Trieste).
Questa ipotesi sarebbe corroborata da un curioso episodio accaduto durante la costruzione degli edifici di Viale Terza Armata n. 17: durante la posa delle fondazioni si aprì un vuoto, che gli operai cercarono di colmare con varie ed abbondanti colate di cemento.
Una successiva ispezione rivelò che era stata forata la volta di una sottostante galleria laterale del rifugio antiaereo di via Napoleone Bonaparte. Ma il fatto più sorprendente è che la colata di cemento aveva ormai definitivamente inglobato un "panzer" tedesco, ivi dimenticato fin dal 1945.
Un dettaglio curioso (e che alimenta quindi ulteriormente la leggenda) è che il rifugio antiaereo di via Napoleone Bonaparte fu ispezionato nel 1990 dalla Società Adriatica di Speleologia. L'ispezione ed il rilievo si limitò però solo alla parte iniziale in quanto, dopo 200 metri, la galleria era chiusa da un muro con una porta metallica che impediva la prosecuzione.
L'accesso a questa "galleria laterale" dovrebbe quindi trovarsi al di là di questo muro... ma questo ipotetico carro armato custoditovi non potrebbe esservi entrato dall'ingresso di via Napoleone Bonaparte in quanto questo (parzialmente chiuso da un possente muro paraschegge) non è sufficientemente largo.
Il rifugio antiaereo di via Napoleone Bonaparte (che era destinato alla popolazione civile) sarebbe quindi collegato ad altri complessi sotterranei, ad uso esclusivamente militare, dotati di propri ingressi autonomi nell'area di Villa Necker (come è avvenuto, per esempio, anche nel complesso sotterraneo denominato Kleine Berlin, in via Fabio Severo: il vasto complesso sotterraneo, ad uso esclusivamente militare, è tuttora collegato da delle gallerie "di servizio" alle adiacenti gallerie-rifugio antiaereo ad uso civile).
Attraverso quindi questi ipotetici (ma verosimili) ingressi da villa Necker, avrebbe potuto entrare questo famoso carro armato.
 
Secondo altre voci il "Bunker n. 13" si troverebbe invece sotto il Tempio Mariano di Monte Grisa, ivi costruito tra il 1963 ed il 1965 proprio per nasconderne l'ingresso e proteggerne il misterioso e prezioso contenuto.

Si tratta però solo di voci che, almeno ad oggi, non hanno mai trovato alcun reale riscontro, ed il "Bunker n. 13" continua ad essere solo un'affascinante leggenda.

Fonti:


domenica 5 luglio 2015

La Quercia di Napoleone

Sulla strada che, partendo da Gropada, attraversa il confine per poi congiungersi all'altra antica strada che conduce a Sezana, al centro di un incrocio troviamo una maestosa quercia, nota come "Quercia di Napoleone" ("Napoleonov Hrast").

la Quercia di Napoleone


Il nome pare derivare dal fatto che veniva usata dai soldati francesi per legarvi i cavalli (il che è perlomeno verosimile, considerando che l'albero è sicuramente plurisecolare).
Secondo un'altra leggenda, meno verosimile, alla sua ombra si fermò a riposare Napoleone Bonaparte stesso (ma nello scorso secolo in tutta Europa ci fu un'inflazione di case, alberghi, castelli e conventi nei quali si pretendeva che Napoleone si sarebbe fermato a dormire... un numero tanto elevato da essere inverosimile, e frutto probabilmente soprattutto solo di dicerie popolari).

 
I suoi rami contorti hanno certamente offerto tana e rifugio a moltissime generazioni di picchi, ghiri e scoiattoli.

L'incrocio di strade è, nella tradizione europea, un punto magico, destinato a catalizzare insondabili forze, per lo più legate a pratiche di guarigione, o dove sono possibili incontri con esseri e figure mitologiche.
Il trivio in cui si trova la "Quercia di Napoleone" non fa eccezione, ed esistono molte leggende sul miracoloso potere di guarigione di questa quercia.

Una volta, un vecchio di Gropada, sentendosi approssimare la propria fine, decise di andare a morire ai piedi di questa quercia.
Si congedò dagli amici e dai parenti, e si avviò lentamente lungo la strada: si sedette poi ai piedi della quercia, e qui rimase in attesa che si compisse il suo destino.
Calò la sera, ed il vecchio trascorse tutta la notte ai piedi della quercia.
Al mattino il vecchio si alzò, sentendosi straordinariamente bene: e tornò al paese, dove il suo ritorno destò meraviglia, anche perché sembrava ringiovanito di vent'anni. Ed tanto a lungo infatti il vecchio visse ancora ...

Ma la quercia non dispensava i suoi poteri magici solo agli abitanti di Gropada: anche quanti arrivavano da villaggi, anche lontani, in occasione del mercato del bestiame che si teneva tradizionalmente a Basovizza, presero l'abitudine di fermarsi a riposare ai piedi di questa quercia, sperando nella guarigione da malattie più o meno gravi; oppure di portarsi a casa foglie e ramoscelli, per combattere sfortuna e maledizioni.

Funzionerà ancora?
La "quercia di Napoleone" è sempre lì, paziente, che ci aspetta.
Sedersi ai suoi piedi, la schiena appoggiata al tronco, non è detto che sarà sufficiente a guarirci da un grave morbo... ma sicuramente ci donerà molta serenità.




 

sabato 14 febbraio 2015

La leggenda di San Leonardo

Le rovine della Chiesa di San Leonardo

San Leonardo di Noblac fu un abate francese, vissuto nel VI secolo.
Il suo culto si diffuse a seguito delle conquiste franche, di modo che a partire dal IX secolo gli vennero dedicate centinaia di chiese in tutta Europa, rendendolo uno dei santi più popolari. Popolarità che declinò poi nel XIV secolo, quando il ruolo di taumaturgo per antonomasia venne assunto da Sant'Antonio da Padova.

Forse il culto di San Leonardo venne introdotto nella nostra zona proprio dai Franchi, nel corso del IX e X secolo, ed a lui fu dedicata una piccola chiesa, le cui rovine sono ancora visibili sulla vetta del Monte San Leonardo.

Narra una leggenda che dei contadini, che vivevano alle pendici del Monte dei Tigli (1) erano preoccupati per l'approssimarsi di una tempesta. L'uva era matura, pronta per la vendemmia, ed una grandinata sarebbe stata disastrosa.
In quel mentre transitò lì a fianco un pellegrino, diretto verso il porto del Timavo.
I contadini gli offrirono riparo ed ospitalità, accogliendolo nella loro casa.
Nonostante fuori infuriasse la tempesta, i contadini resero onore all'ospite, dividendo con lui il loro pasto.
Nel frattempo, la tempesta portò la temuta grandine, ed i contadini cominciarono a disperarsi.
Il pellegrino uscì, levando una preghiera al cielo e benedicendo le vigne.
All'improvviso, come rispondendo alla preghiera, la grandine cessò, ed il cielo si schiarì.
I contadini allora, rincuorati da quel vero e proprio miracolo che aveva salvato le loro vigne, riconobbero nel viandante San Leonardo: e per gratitudine fecero voto di edificare in suo onore una chiesa: la medesima chiesa le cui rovine sulla sommità del colle, fino a pochi anni fa, erano meta di pellegrinaggio ogni 6 novembre.
 



(1) "Monte San Leonardo" è un toponimo recente; il nome più antico è "de Lipnich", ovvero "Monte dei Tigli"


lunedì 3 novembre 2014

La leggenda della strega Tescia

Tescia era una strega, che scorrazzava per il Carso a cavallo di un cinghiale.
Aveva i capelli verdi, e parlava in maniera sibillina, lanciando messaggi difficili da interpretare ma che sicuramente celavano importanti segreti.
Era molto suscettibile, e chi la contrariava incontrava sempre la sua vendetta: o attraverso le sue arti magiche, oppure, più semplicemente, a suon di sberle... pare infatti che fosse molto manesca, ma anche molto abile a questo riguardo...

 

martedì 8 ottobre 2013

La leggenda dell'eroe Zuino

friuli
il castello vecchio di Duino

Vi sono momenti in cui la storia si fa oscura, lasciando spazio quindi ad ipotesi che possono sfumare nella leggenda.
Ma spesso queste teorie, proprio per l'alone leggendario che le ammanta, risultano affascinanti: ed è giusto quindi proporle, ed elaborarle... sperando che un giorno la Storia possa confermarle.

Abbiamo visto che il Castel Pucino, o Palazzo d'Attila, in origine era una torre di avvistamento romana.
Questa torre faceva parte di un complesso, che percorreva e presidiava tutta la costa; ed ogni torre era costruita in modo da essere visibile da quelle contigue.
La prima torre era posta ove oggi sorge la Rocca di Monfalcone.
La seconda era appunto quella che sarebbe diventata Castel Pucino.
Le rovine della successiva sono oggi inglobate nel mastio del Castello di Duino. Di questa si ha notizia che Teodorico ne ordinò il restauro nel V secolo, e che un secolo dopo era presidio bizantino.
E l'ultima infine a Moncolano, l'attuale Contovello.

Ognuna di queste torri ebbe la sua storia, ed attorno a queste per secoli si incrociarono le umane vicende dei luoghi.
La torre di Castel Pucino si crede che trovò la sua fine nel X sec., in seguito ad una scorreria degli Ungari, durante la quale venne cinta d'assedio e distrutta.
Venne inviato a ricostruirla Zuino, vassallo di Aquileia, un condottiero originario dell'omonimo paese del Friuli meridionale. Ma Zuino, vedendo le rovine della torre, preferì edificare il proprio castello in un punto più difendibile, e precisamente sullo sperone di roccia antistante la torre romana più a sud (anch'essa ormai, probabilmente, ridotta ad un cumulo di rovine).
Sorse così quello che oggi chiamiamo "castelvecchio di Duino": un complesso piccolo, ma difeso in maniera formidabile, e praticamente inespugnabile.
E, secondo questa teoria, dalla storpiatura del nome del condottiero Zuino deriverebbe appunto il toponimo "Duino".
Quali i documenti a sostegno di questa affascinante teoria (esposta originariamente nel 1882 da Rodolfo Pichler nel suo "Il Castello di Duino: Memorie") ?

  • a Zuino fu rinvenuta una lapide risalente al IX o X secolo, con un'epigrafe dedicata all'eroe Zuino
  • in un documento del 1313 si riporta che i Duinati avevano proprietà in Zuino "da tempo antichissimo"


Oggi cerchereste invano "Zuino" sulla mappa del Friuli; il paese, che fino al 1940 conservava il nome di "Tor di Zuino", in seguito ai lavori di bonifica svolti nella zona fu ribattezzato con il (brutto) neotoponimo di Torviscosa.
Il toponimo originale sopravvive però nel nome attribuito ai suoi abitanti: gli abitanti di Torviscosa sono detti infatti "Torzuinesi".

lunedì 4 marzo 2013

la dolina celtica di Basovizza

La cosiddetta "dolina celtica" di Basovizza è non solo uno dei luoghi più affascinanti del Carso, ma anche uno dei più misteriosi; tanto da aver generato un vero florilegio di ipotesi sulla sua origine, ed una suggestiva leggenda.

La si trova nel bosco, a sinistra della strada sterrata che da Basovizza conduce a Sesana:


Visualizza Carso segreto in una mappa di dimensioni maggiori

La dolina, profonda circa 6 metri, ha una forma triangolare; lungo il lato sud un muro massiccio sostiene un ripiano artificiale, sotto il quale si apre una cavità, una cameretta circolare, a cui si accede per un corridoio con il soffitto di grandi lastre calcaree
Gli altri due lati della dolina sono costituiti da gradoni, costituiti da massi megalitici e con un riempimento caotico di pietrame. I gradoni verso nord-est sono meglio conservati, mentre gli altri (forse incompiuti) sono parzialmente crollati.
Un'altra stanza ipogea, dotata di due piccole finestre e con il soffitto a falsa cupola, si trova lungo una delle gradinate.
Un elemento curioso sono una serie di rozze steli, parzialmente scolpite: sorta di piccoli menhir, originariamente distribuiti lungo tutti i gradoni e sul ripiano artificiale; oggi molti sono crollati ed altri purtroppo, nel corso del tempo asportati. La sommità di queste steli è a forcella, come a servire da sostegno per una balaustra.
Fino agli inizi del '900 tutta la costruzione era circondata da un massiccio muro di pietra, dotato di un unico ingresso. Questo muro fu demolito per ricavarne materiale per le dighe foranee del Punto Franco Nuovo.
Certamente non si tratta di una delle normali doline, spietrate ed attrezzate con gradoni a fini agricoli: non pare che la dolina sia mai stata coltivata, e le ridotte dimensioni non avrebbero mai giustificato un tale lavoro (alcuni dei massi impiegati nella costruzione pesano più di 2 tonnellate!)
Saggi di scavi archeologici non hanno fornito risultati significativi: nell'ipogeo inferiore sono stati trovati alcuni cocci romani e protostorici, la cui origine non è però determinabile con certezza.
Questa costruzione viene citata per la prima volta nel 1630, in un documento (1) relativo alle confinazioni tra il territorio di Trieste e la contea di Schwarzenegg di Benvenuto Petazzi; tra i riferimenti di confine, viene citata una "vale o Dolina nella quale dicessi già stato un Cortile dei Misteri."
Quindi, già allora l'origine e la finalità di tale costruzione erano sconosciute... anche se il nome "Cortile dei Misteri" potrebbe darci un indizio.
Come prevedibile, una ridda di ipotesi sono state formulate per spiegare l'origine di questo complesso; andrò  qui ad elencarle sinteticamente, senza preoccuparmi di confutarle (anche perché, date le premesse, anche la più inverosimile di tali ipotesi è comunque legittima).

Tempio celtico al dio Cernunnos

Vi è chi vi vede un tempio celtico dedicato al dio celtico Cernunnos (in questa zona dal IV sec. a.C. erano insediati i Carni, una tribù di lingua e cultura celtica); effettivamente l'ipogeo sarebbe abbastanza simile alle tombe dolmeniche, se non fosse per la copertura a volta...

Tribunale celtico

Vi è chi, sempre rifacendosi alla cultura celtica, vi ha riconosciuto un tribunale; lascio che questa teoria venga esposta da Sergio in questo bel filmato, che presenta la "dolina celtica" nella suggestione invernale:



Sede dei Bogomili

E' detta anche "Dolina dei Bogomili", per delle similitudini architettoniche con siti archeologici della Bosnia-Erzegovina riconducibili all'eresia bogomila.
Il Bogomilismo fu una setta eretica cristiana, che nacque nel X secolo come derivazione dalla setta affine dei pauliciani; si sviluppò nel XIII secolo anche in Serbia e Bosnia, e successivamente influenzò la nascita del movimento dei catari.
Sono molto labili gli indizi che potrebbero legare questo dolina al bogomilismo; però non è inverosimile ipotizzare che, nella migrazione dalla Bosnia verso l'Occitania, un gruppo di Bogomili si sia fermato nelle nostre zone...

Teatro Istriota

La struttura della costruzione ricorda proprio quella di un teatro; inoltre nei pressi si trovava un serraglio, luogo di mercato del bestiame, e quindi tradizionale punto d'incontro.
Poiché questa teoria non riuscirebbe a dare una collocazione precisa nel tempo all'edificazione di questo teatro, e poiché lo stesso sembra del tutto alieno alla popolazione autoctona slovena, fu attribuito a genti istriane, che sarebbero giunte periodicamente nel luogo proprio per i commerci di bestiame.
Io peraltro osservo che l'ipotesi che si tratti d un teatro è suffragata anche dal nome "Cortile dei Misteri" attribuitogli nel 1630.  Infatti a partire dal XV sec. il "mistero" era una rappresentazione del teatro popolare a carattere religioso.

La leggenda di Sterpacevo

Secondo una leggenda, tutto il complesso fu eretto in pochi mesi da un contadino dalla forza erculea, per nascondere il tesoro del suo padrone.
Si tratta di una bellissima leggenda, che mi riservo di narrare con più dovizia di dettagli in un prossimo post.


Postazione di artiglieria austro-ungarica

Citerò per ultima l'ipotesi più inverosimile; e poiché, nella sua inverosimiglianza, è contemporaneamente anche quella formulata dalla fonte più autorevole, è l'unica che mi prenderò la briga di confutare.
Alla fine degli anni '70 la locale Sovrintendenza liquidò la costruzione classificandola come postazione di artiglieria dell'esercito Austro-Ungarico, costruita nel 1915 per iniziativa di un capitano ungherese, che avrebbe fatto trasportare il materiale necessario  fin dalle cave di Monrupino.
Perché inverosimile? Per diversi motivi...
Intanto, anche a non voler prestar fede al documento del 1630, esistono testimonianze della sua esistenza già nei primissimi anni del '900 (ricordo che il muro circostante proprio in quegli anni fu demolito per recuperare il materiale per la costruzione delle dighe foranee); quindi, non può esser stata costruita nel 1915.
Poi perché, con quella forma, non avrebbe potuto essere che una postazione per un mortaio di grosso calibro. La costruzione di queste postazioni non era casuale, ma dettata da ben rigorosi principi ingegneristici; di postazioni del genere ce ne sono diverse lungo le pendici dell'Hermada, alcune molto ben conservate; e chiunque si prenda la briga di confrontarle, non potrà non rendersi conto che sono del tutto differenti.
Intanto mancano alcune strutture indispensabili ad una postazione di artiglieria (ad esempio, il bunker con l'ingresso a meandro per proteggere i serventi durante lo sparo).
Poi, per la costruzione di queste postazioni veniva sempre fatto un certo uso di calcestruzzo - magari limitato (era un prodotto costoso e di limitata di disponibilità), ma ad esempio nelle file superiori dei conci veniva usato sempre, per solidarizzarli maggiormente. Il calcestruzzo è invece del tutto assente a Basovizza.
Non si comprende poi perché avrebbero dovuto far arrivare fin da Monrupino rocce di quella dimensione, quando il medesimo risultato si sarebbe potuto ottenere con pietrame di pezzatura ben inferiore (come peraltro, sempre dagli austro-ungarici, è stato fatto proprio alle pendici dell'Hermada).  
Pare mancare poi la rampa di accesso, indispensabile per porre in batteria un pezzo di artiglieria di grosso calibro.
Appare quindi veramente strano che la Sovrintendenza abbia voluto far propria un'ipotesi così bizzarra.


Per approfondire:
  • Dante Cannarella, "Leggende del Carso Triestino", Ed. Italo Svevo, Trieste 2004
  • Dario Marini, "Leggende, dicerie, miti e misteri del Carso", Gruppo Speleologico Flondar, Duino-Aurisina 2004
Note:

(1) - " Laudo per confini fra Trieste e Schwarzenegg", 1632







sabato 27 ottobre 2012

La leggenda del castelliere di Nivize

I resti del castelliere di Nivize sorgono su un colle isolato e suggestivo, oggi nascosto da una fitta boscaglia di roverelle, nel complesso delle alture del Monte Lanaro.
Nivize deriva da Njivize, "piccolo campo", ma il nome che la località aveva in passato era molto più evocativo (e significativo): Ajdovski Grad, "Castello dei pagani".

Secondo la leggenda, su questo colle si ergeva un tempo un maniero, covo di briganti che depredavano i viandanti lungo la strada.
I Conti di Duino reagirono alle rapine, cingendo d'assedio il castello dei briganti, che dopo un lungo assedio fu infine espugnato.
Tutti i difensori furono giustiziati, ed il castello raso al suolo, alla ricerca anche del tesoro accumulato dai briganti nelle loro ruberie. Di tale tesoro non si trovò traccia, e si ipotizzò che fosse stato nascosto in un profondo pozzo naturale, che si apriva all'interno del castello.
Ma nessuno ebbe il coraggio di calarsi in tale pozzo, sicura dimora del diavolo, e gli assedianti rimandarono quindi la ricerca del tesoro.
Però da allora il posto fu infestato dagli spiriti dei briganti, che anche dopo la loro morte difendevano il proprio tesoro, che quindi non fu mai più ritrovato...
Nel XIX secolo il parroco di Aurisina decise di por fine alla maledizione e, nel corso di più e più notti trascorse sul colle, praticò un vero e proprio esorcismo che, infine, ebbe ragione dei fantasmi che lo infestavano, che furono quindi scacciati.
A questo punto cominciarono sul colle le incursioni di anonimi cercatesori, che crivellarono il colle di scavi senza però mai trovare l'agognato tesoro dei briganti ma, al più, qualche coccio di terraglia...

Quel poco che sappiamo della realtà storica della zona è poco meno suggestivo della leggenda.
Quelli interpretati come le rovine del castello dei briganti sono in realtà i resti di un castelliere dell'età del bronzo, al cui interno di apre effettivamente una grotta ("Grotta sul castelliere di Nivize" - 4616VG) che cela più di un interrogativo.

Visualizza Castellieri del Carso in una mappa di dimensioni maggiori

L'ingresso è in parte ostruito da un macigno - il che la accumuna ad altre grotte grotte in prossimità o dentro la cinta di castellieri, quale ad es. la Grotta delle Mosche.


Il primo a scriverne fu Alberto Puschi, nel 1892:
in una piccola grotta di difficile accesso, che giace entro il recinto del castelliere di Nivize presso Repentabor, si rinvenne uno scheletro umano con appresso due bronzi mezzani di Alessandro Severo (222-235) con MARS ULTOR e di Giordano Pio (238-244) con VICTORIA AETERNA
Nel 1965 furono effettuati dalla Società Alpina delle Giulie degli scavi archeologici, nel corso dei quali furono compiuti dei lavori di disostruzione della grotta (come e perché era stata ostruita dopo l'esplorazione del Puschi?)
Durante tali lavori vennero rinvenuti in una nicchia una calotta cranica, un corno di cervo e vari frammenti di un vaso; mentre nel cono detritico alla base del pozzo di accesso furono rinvenuti i resti scheletrici di una ventina di individui, evidentemente gettati dall'alto. In entrambi i casi, i resti risalivano all'età del bronzo e del ferro, ma non venne effettuata nessuna analisi specifica sugli stessi per rispondere alle tante domande che un rinvenimento così singolare poneva: ad esempio, i corpi furono gettati nel pozzo tutti assieme, oppure in un arco di tempo più ampio, come nell'osservanza di un particolare rito di sepoltura.
E poi: quale fu la causa della morte di quegli individui? Si trattò di una sepoltura, di un sacrificio o dell'esecuzione di nemici?
Gli individui erano imparentati fra di loro?

Nel 1984 altri scavi archeologici furono compiuti dalla Associazione XXX Ottobre, che rinvenne questa volta soprattutto resti databili all'epoca romana: una moneta di Licinius Valerianus (253-260 d.C.), un  ago di bronzo, ed un misterioso manufatto: una pallina di terracotta con la superficie costellata di forellini, alla quale non si è riusciti ad assegnare alcuna funzione pratica e che quindi si ipotizza legata a qualche funzione magica.

Oggigiorno la zona è una delle più solitarie ed amene del Carso, degna meta di una bella passeggiata, durante la quale sarà ben difficile resistere alla suggestione creata da un tale intessersi di leggenda ed enigmi storici...

sabato 31 dicembre 2011

la leggenda della lampada di San Giuseppe della Chiusa

(foto di Eric Medvet)

Nella Chiesa di San Giuseppe della Chiusa (Ricmanje), si trova ancor oggi una lampada ad olio che, in passato, pare sia stata oggetto di un miracolo.

Nella primavera del 1749 avvenne che, durante dei lavori di restauro della Chiesa, la lampada votiva davanti all'altare si accese da sola, e tale restò per lungo tempo, pur senza essere rifornita d'olio.

Il fenomeno venne osservato dal parroco, che nel 1751 descrisse il fatto in un libello:
BREVE RACCONTO
DI UN NUOVO PRODIGIO
OPERATO DA DIO
IN ONORE DEL PATRIARCA
SAN GIUSEPPE
NEL DUCATO DI CRAGNO
DIOCESI DI TRIESTE, GIURISDIZIONE DI S. SERVOLO
PARROCCHIA DI DOLINA
VILLA DI RIZMIGNE
NELLA CHIESA DI SAN GIORGIO ALL'ALTARE
DI S. GIUSEPPE
Un picciolo quarto d'ora distante dalla strada regia
che conduce a Trieste
SCRITTO DA
GIO. ERNESTO LIB. BAR. DI RAUNOCH
SIGNORE DI SCHILLERTABOR E MUMIANO
DOTTORE DI SACRA TEOLOGIA, PARROCO DI DOLINA

Riporto brevemente:

Il giorno 18 Marzo 1749 essendo andato secondo il costume il sig. Don Gio: Antonio Ifsich mio cooperatore in detta villa di Rizmigne per cantar la compieta in onore del Santo sulla relazione di Michiel Comar uno de' Sindici, si propose di scieglier alquanti uomini di probità, da' quali fosse tenuta, e custodita la chiave della Chiesa.Li 23 marzo giorno di Domenica verso la sera chiamati dal Comar suddetto, e dal suo compagno Giovanni Curet ambidue Sindici, li villici Giuseppe Curet Decano della villa, Gregorio Pregarez, Andrea Pregarez, ed Ulderico Pregarez a vista di tutti estinse la lampada, e diligentemente è stata custodita la chiave.Nonostante tutta questa cautela nella notte susseguente circa le ore nove si vide dalla finestra riaccesa la lampada, e tale si mantenne sino li 26 del detto mese.
Il fenomeno si ripetè nei giorni successivi; e la cronaca dettagliata è riportata nel citato libello, ripubblicato poi nel 2005 e disponibile integralmente su http://documentiollivier.blogspot.com/2011/12/il-libretto-che-parla-del-miracolo.html

sabato 12 febbraio 2011

La Caverna del Cavalcante

I "cavalcanti" sono quegli uomini che, nella credenza popolare, entrano in connubio (e talvolta in intimità) con le streghe.
Alleandosi a queste, e partecipando anche ai loro riti e sabbah, acquisiscono anche il potere di cavalcare nell'aria: da ciò, il nome "cavalcanti".
I Cavalcanti si riconoscono perchè portano, impresso a fuoco sulla spalla sinistra, l'impronta di un ferro di cavallo.

Si narra che un tempo, in prossimità della Rocca di Monrupino, in una caverna detta appunto "del Cavalcante", viveva uno "strigo", uno stregone maligno.

Solo di giorno aveva forma umana: nessuno che lo abbia mai visto di notte è sopravvissuto tanto da descriverne le fattezze.
Di giorno si celava sotto un mantello nero ed un grosso cappellaccio dello stesso colore; ciononostante, gli spuntava dalla nuca un caratteristico codino di capelli, e dalla schiena sporgeva uno sperone d'osso, che il mantello riusciva solo malamente a nascondere.

Ma pare anche che portasse sulla spalla sinistra il caratteristico marchio a ferro di cavallo, impressogli dal diavolo stesso al momento della sua nascita.

Possiamo supporre (ma non c'è nessuna certezza) che la "Caverna del Cavalcante" sia quella nota oggi come la "Grotta sotto il Castelliere di Monrupino" (1973/4669 VG).
Questa grotta ha una storia affascinante, che rende verosimile l'ipotesi che si tratti proprio della "Caverna del Cavalcante".
Si trova nei pressi della strada che conduce alla Rocca di Monrupino, alla base del ripiano del castelliere, e nonostante fosse ostruita, la sua esistenza era ben nota ai vecchi del paese.
Dagli speleologi fu compiuto un faticoso lavoro di disostruzione per esplorarla, ma i risultati furono deludenti: si giunse solo ad un piccolo vano, di pochi metri.
E' ragionevole (o almeno affascinante) immaginare che, un tempo, sia stata proprio questa la dimora del Cavalcante; e magari alla sua morte venne ostruita dagli abitanti del villaggio, proprio per seppellire anche la memoria di questo essere malvagio.

giovedì 25 marzo 2010

Streghe, Orchi e Krivapete - reloaded

Lo scorso sabato 19 dicembre era prevista a Gorizia una tavola rotonda su "Streghe, Orchi e Krivapete - Le grotte tra miti e leggende" (che avevo anche annunciato sul blog).
Le condizioni meteo avevano poi portato all'annullamento della manifestazione ed il rinvio della stessa... a data da destinarsi (e, per quanto mi riguarda, è stata una fortuna... in quanto, indipendentemente dalle condizioni meteo, ero impossibilitato a partecipare).

Il "a data da destinarsi" è arrivato, e la Federazione Speleologica Isontina la ha fissata per il prossimo SABATO 24 APRILE, presso la Sala conferenze dei Musei Provinciali di Borgo Castello a Gorizia.
Non tutto il male viene per nuocere: nel frattempo, il programma si è arricchito ed è diventato ancor più interessante:

Per ricordare l’amico e studioso triestino EGIZIO FARAONE
LA FEDERAZIONE SPELEOLOGICA ISONTINA

Con il patrocinio della
PROVINCIA DI GORIZIA

ORGANIZZA

UNA GIORNATA DI STUDI DEDICATA
ALLE LEGGENDE LEGATE ALLE GROTTE DEL NOSTRO FRIULI
Programma:
Ore 9.30 - Saluto delle autorità e apertura dei lavori.
Ore 10.00 - Paolo Montina: Situazione degli studi sul folklore del mondo ipogeo negli ultimi anni.
Ore 10.30 - Pausa caffè
Ore 10.45- Anna Degenhardt: Simbologie magiche legate alle grotte e personaggi mitici delle tradizioni friulane.
Ore 11.15 - Franco Gherlizza: Miti e leggende ipogee del Friuli Venezia Giulia.
Ore 12.30 - Pausa pranzo.
Ore 14.00 - Maurizio Tavagnutti: Streghe, Krivapete e altri essere mitici delle grotte friulane.
Ore 14.30 - Franco Gherlizza: Comparazione con esseri fantastici, miti e leggende di altri Paesi.
Ore 15.00 - Pausa caffè.
Ore 15.15 - Adriano Vanin: Il “monte Amariana” nelle leggende carniche e dolomitiche.
Ore 15.45 - Roberto Iacovizzi: Sbilfs, folletti soprattutto carnici.
Ore 16.15 - Paolo Montina: Storia e leggenda della Grotta Doviza.
Ore 17.00 - Conclusione dei lavori.

Eventuali altri interventi non compresi nel presente programma, potranno essere presentati liberamente ed inseriti il giorno stesso (24/4) modificando la scaletta dei lavori.

IL MAGICO MONDO DELLE GROTTE
MITI E LEGGENDE DELLE GROTTE DEL NOSTRO FRIULI
I vari aspetti del fenomeno carsico - caverne, voragini, campi solcati, risorgenti - hanno sempre colpito la fantasia dell’uomo che vi collegava una volta presenze mitiche e soprannaturali.
Il progresso delle scienze e dei mezzi di informazione e soprattutto la scomparsa della chiusa società patriarcale per cui ogni borgo ed ogni vallata costituivano un universo a se stante, hanno contribuito nel nostro secolo alla distruzione di questo mondo di fiaba ora dolce, ora crudele, ma sempre poetico e spontaneo.
Questo processo irreversibile coinvolge con maggiore o minore velocità tutte le regioni italiane, non ultima quella friulana.
Anzi, in questa zona di confine, esso viene accelerato dalle conseguenze di due conflitti mondiali: spostamento di confini, migrazioni, ecc.
Per fortuna non mancano studiosi ed associazioni che hanno raccolto quanto resta del folklore friulano, e dalle pubblicazioni periodiche specializzate in materia abbiamo tratto una buona parte delle leggende che conosciamo e che andremmo ad illustrare in questa giornata di studi.

Per chi voglia confermare in anticipo la propria partecipazione, esiste anche una apposita pagina su Facebook.

domenica 31 gennaio 2010

la leggenda della Grotta Fioravante

La Grotta Fioravante (catasto 411/939VG) è una delle tante cavità scomparse o distrutte in questi ultimi decenni.
Si trovava nell'ex Parco dei Cervi dei Principi di Torre e Tasso, sul fianco di una dolinetta.
Alcuni scavi, condotti dal Moser, furono molto promettenti; tuttavia nel corso della prima guerra mondiale venne pesantemente modificata a scopi militari, ed al termine del conflitto era già pesantemente compromessa. Fu definitivamente distrutta negli anni '50, allorchè venne utilizzata come discarica dai militari del Governo Militare Alleato che occupavano il Castello di Duino; pare che ad un certo punto la volta crollò, e della grotta non rimase più traccia.

Al di là del suo interesse paleontologico (ahimé, non più verificabile), l'aspetto più curioso è quello del nome: Grotta Fioravante.
Si richiama all'eroe Fioravante, protagonista del romanzo medievale "I Reali di Francia", di Andrea da Barberino (più noto per esser l'autore de Il Guerrin Meschino). "I Reali di Francia" fu popolare per secoli, fino al XIX secolo.
L'eroe Fioravante venne rinchiuso dal re saraceno Balante in una prigione sotterranea. Ma con l'aiuto di Drusolina, figlia del re Balante, Fioravante riuscì a fuggire e, attraverso un sotterraneo lungo cinque miglia, a raggiungere il suo castello di Monfalcone.
Durante la fuga nel sotterraneo, a metà strada Fioravante trovò una statua bronzea di Carlo Magno che impugnava una spada, destinata al miglior cavaliere, e Fioravante ovviamente se ne impossessò.
Fu facile per il popolino identificare il vecchio castello di Duino con quello del re Balante, il castello di Monfalcone con l'omonima rocca, e la prigione di Fioravante con quella misteriosa grotta... che si guadagnò così il prestigioso nome.
Secondo la leggenda la favolosa spada di Fioravante è adesso sepolta sotto il vecchio castello di Duino; generazioni di cercatori di tesori non sono riusciti però a trovarla, come pure infruttuosa è stata la ricerca della galleria che collegherebbe Duino con Monfalcone.

Per chi volesse, "I Reali di Francia" è disponibile liberamente sul sito Liberliber.

sabato 19 dicembre 2009

la leggenda della Grotta del Diavolo Zoppo

Fino a tempi non troppo remoti esisteva in prossimità delle foci del Timavo una grotta, detta “del Diavolo Zoppo” (catasto 39/225VG ), alle falde del colle detto “Monte Sant’Antonio”.
Era piccolina (lunga 34 metri, profonda 9) e, dopo la prima guerra mondiale, una cava a servizio di un cementificio si “mangiò” tutto il Monte Sant’Antonio e, con esso, la “Grotta del Diàul Zot”.
L’aspetto più interessante di questa grotta è costituito dalle leggende che si sono formate attorno ad essa.
Lo stesso nome deriva da una suggestiva leggenda, raccolta da Giacomo Pocar:

...in tempi remotissimi sul monticello di Sant’Antonio, quand’esso era ancora un’isola, vi fu la continuazione di una grande guerra incominciata in terraferma.
Quand’era sulle mosse per partire col suo tesoro, una freccia nemica lo colpì ed il guerriero cadde moribondo al suolo.
Vedendosi prossimo a morire, testò le sue ricchezze a favore dei poveri, pensando così di placare l’ira di Dio che tremenda gli sovrastava, per punirlo delle ruberie e degli assassini commessi.
Appena morto quel tristo, ecco comparire presso il cadavere un angelo sfolgorante di luce ed un orribile demonio. Il primo sosteneva che, in base al testamento del defunto, il tesoro apparteneva ai poveri e ch’egli era incaricato della distribuzione; l’altro intendeva che quelle ricchezze fossero roba sua, perché,carpite con saccheggi ed uccisioni.
Dalle parole vennero ai fatti, e dopo un’accanita lotta, vinse il demonio.
Ma questi, nella fretta di fuggire, tutto fuori di sé per la riportata vittoria,correndo precipitò in questa grotta trascinandosi dietro il cassone, che gli si rovesciò addosso rompendogli una gamba.
Il demonio divenne quindi zoppo, e da ciò ”la grotta del Diavolo Zoppo”
Per questo accidente non potè proseguire il viaggio fino all’inferno e dovette decidersi a fermar qui la sua dimora, se voleva custodire il tesoro.

Quando ci sono voci del genere, si sa, i ricercatori di tesori si scatenano…
Ma fu una ricerca che giocò brutti scherzi ai novelli Indiana Jones.
Pare infatti che intorno al 1730 quattro villici, accompagnati da un oste della zona, si avventurarono nella grotta, con la speranza di arricchirsi...
E fosse suggestione, fosse il volo di uccelli notturni o pipistrelli che nella grotta avevano trovato rifugio, i cinque malcapitati subirono un gravissimo spavento… tant’è che quattro di loro, nei giorni successivi, morirono per causa oscura.
Stessa misteriosa sorte toccò, poco tempo dopo, a due preti che, in compagnia di una donna, tentarono la medesima impresa.
Nel suo "Ragguaglio geografico storico del territorio di Monfalcone", pubblicato a Udine nel 1741, lo storico  Basilio Asquini ci racconta:

... è fama, che in questa grotta da più secoli stia nascosto un tesoro, dall’avidità di posseder il quale spinti quattro Carsolini, che colà erano stati mandati ad appianare la prossima già mentovata strada, uniti ad Antonio Sborzo Oste de’Bagni, deliberarono di introdursi in detta Grotta, e di non uscirvi, che molto ricchi.
Munitosi perciò ciascuno di loro di una torcia a vento, di quelle, che sogliono i contadini adoperare in quelle parti, chiamate da loro Falle, animosamente un dopo l’altro calarono nella medesima.
Internatisi alquanto in essa sentirono eccitarsi un grandissimo strepitio, che non di poco terrore fu loro cagione.
Tuttavia fattisi tra se coraggio, avvanzonsi ancora alcuni passi; ma venutili incontro alcuni grandi uccelli, li quali essi presero per Diavoli alati che coll’ale smorzarono loro le torcie, e che contro i medesimi grandi strida gittarono; senza più inoltrarsi, risolsero, come fecero, di ritornarsene addietro. Lo spavento, che per ciò concepirono, talmente loro nacque, che posti tutti cinque a letto, i quattro Carsolini in termine di pochi giorni tutti morirono, e l’Oste se non dopo una lunga infermità potè ristabilirsi in salute.
Ciò saputo avendo due Preti, i cui nomi stimiamo ben fatto tacere, giovani, e molto animosi, stimolati anch’essi dalla stessa fame dell’oro, che fa parere ogni pericolo picciolo, ed ogni fatica leggiera; figurandosi forse di avere più coraggio de’ prefati Carsolini, vollero anch’essi tentare di questo tesoro l’acquisto.
Scieltasi adunque una notte molto burrascosa, ed oscura per non essere veduti da’ Veneti , da’ quali temevano dover essi venire sturbati, per esser Arciducali, si posero in cammino in questa Grotta insieme con una donna, che conducevano seco, acciochè servisse al trasporto dell’ambita ricchezza.
Giunti, che furono col beneficio di una lanterna accesa, che ognuna di loro portava, scesero in quella: ed aggiratisi per vari seni della medesima, alla fine giunsero ad un passo stretto, frammentato da un pezzo di macigno, che una colonna sembrava.
Mentre preparavansi un dietro l’altro passarlo, si fe loro incontro un grande uccello, il quale avventateli contro col rostro, ed artigli, e strettamente gracchiando gli empi’ di tali orrori, e spavento, che potendosi appena reggere in piedi sen’unscironoo da quella Spelonca.
Ritornati a casa molto languidi, e mesti, si posero anch’essi a letto, e nello spazio di pochi giorni, tutti e tre parimenti sen passarono all’altra vita.
Dopo questi non si sa, che ad altri sia venuto il prurito di andare in cerca di questo tesoro…

Nel 1890 alcuni notabili di Monfalcone intrapresero un’accurata esplorazione, e la grotta fu frugata invano in ogni dove: nessun tesoro fu trovato. In compenso, furono rinvenuti un teschio ed altri frammenti ossei, coperti da grosse incrostazioni calcaree, e quindi evidentemente antichi. Forse anche la vista di queste ossa aveva contribuito a spaventare a morte i primi esploratori….

Il Kandler, quando la esplorò, commentò laconicamente:

Io stetti lungamente fra quei stalattiti, che hanno invero forme da scaldare l’immaginazione.
Ma il Diavolo non c’era, o si finse assente, e gli lasciai la mia carta…

martedì 1 dicembre 2009

Streghe, Orchi e Krivapete - Le grotte tra miti e leggende

Sono passate poche ore dal mio post sullo Škrat, e quasi per caso ho scoperto su Scintilena di un interessante convegno, organizzato per sabato 19 dicembre dalla Federazione Speleologica Isontina: una tavola rotonda sulle leggende legate alle grotte del Friuli Venezia Giulia.
La tavola rotonda si intitolerà: Streghe, Orchi e Krivapete - Le grotte tra miti e leggende. Si svolgerà presso la Sala Consigliare della Provincia di Gorizia - Corso Italia, 55 a Gorizia a partire dalle ore 9.00.

PROGRAMMA:
Ore 9.00 - Saluto delle autorità e apertura dei lavori
Ore 9.30 - Paolo Montina Situazione degli studi sul folklore del mondo ipogeo negli ultimi anni.
Ore 10.00 - Pausa caffè.
Ore 10.30 - Anna Degenhardt - Simbologie magiche legate alle grotte e personaggi mitici delle tradizioni friulane.
Ore 11.30 - Franco Gherlizza - Miti e leggende ipogee del Friuli Venezia Giulia.
Ore 12.30 - Pausa pranzo.
Ore 14.00 - Maurizio Tavagnutti - Streghe, Krivapete e altri esseri mitici delle grotte friulane.
Ore 15.00 - Franco Gherlizza - Comparazione con esseri fantastici, miti e leggende di altri paesi.
Ore 16.00 - Proiezione del filmato “Malifice”.
Ore 17.00 - Conclusione dei lavori.

(fonte: Scintilena)

lunedì 30 novembre 2009

Lo Škrat

Sembra che molte grotte del Carso abbiano un curioso abitante: lo "Škrat".
E' uno gnomo burlone, vestito con una giacca verde ed un berretto rosso a punta.
Per mangiare, si serve di una scodella di coccio. E per questo motivo non bisogna mai buttare sassi nelle grotte: se, disgraziatamente, si dovesse colpire la scodella dello Škrat, questo si adirerà, e rapirà il colpevole, del quale non si saprà mai più nulla.
Se invece si lancia un sasso in una grotta e non se ne sente il tonfo, è perchè lo Škrat lo ha raccolto al volo.

Lo Škrat è molto vicino ad analoghe figure mitologiche presenti in Austria e nella Germania meridionale, dal nome quasi identico: Schrat, Schraz, Schrate. Ma anche in Polonia (Skrzat), Norvegia, Repubblica Ceca... ed appartiene a quella vasta schiera di folletti-spiriti della natura, presenti in tutta Europa, spesso legati al mondo sotterraneo, in cui troviamo anche i Lepricauni, i Coboldi, i Troll, i Goblin, gli Gnomi...

Se si vuole far la conoscenza di qualche esponente di questa numerosa famiglia, non occorre andar quindi molto lontani: basta scegliere la grotta giusta, tra le tante a disposizione in Carso...
Un indizio della presenza dello Škrat?
E' un burlone, ed uno dei suoi scherzi preferiti è quello di spegnere la lanterna degli incauti esploratori delle grotte. Se ad uno speleologo capita che si spenga la lampada a carburo... attenzione! Nei pressi potrebbe esserci uno Škrat che se la sta ridendo!

lunedì 26 ottobre 2009

La Dolina dei Druidi di Fernetti

La Dolina dei Druidi di Fernetti... alias Valle della Luna, alias Dolina delle Streghe, alias Tempio del Sole (ma anche Tempio della Luna), e ancora la Dolina delle Streghe, o, prosaicamente, la Dolina Rossoni.

Uno degli angoli più chiacchierati del Carso, per il velo di mistero che circonda le sue bizzarre costruzioni, ormai in rovina...

Andiamo con ordine.

La Dolina... come la vogliamo chiamare? Per me, è sempre stata la Valle della Luna, e così mi piacerebbe continuare a chiamarla.... ma poichè ho scoperto che il suo vero nome sarebbe "Dolina dei Druidi", chiamiamola così, in rispetto del suo edificatore.

La Dolina dei Druidi si trova a poche decine di metri dall'autoporto di Fernetti. Per raggiungerla, bisogna seguire la strada che, da Fernetti, conduce verso Monrupino. Una volta superato il cavalcavia sopra all'autoporto, sulla sinistra c'è una piazzola di parcheggio.

Da lì, una strada sterrata corre parallelalmente al cavalcavia, verso l'autoporto, e poi piega a destra continuando a costeggiarlo. Dobbiamo seguirla (scavalcando i cumuli di immondizia scaricati dal soprastante autoporto... ah, la civiltà e l'educazione dei camionisti!) e, al termine di un'ampia curva, abbandoneremo (finalmente) l'autoporto seguendo un sentiero.

Un'immagine val più di mille parole. Quindi, seguite la mappa:

Visualizza Carso segreto in una mappa di dimensioni maggiori

Pochi metri, e sul bordo del sentiero cominciano le sorprese: tre grandi archi in pietra, seminascosti dalla vegetazione, ci indicano la porta verso un mondo suggestivo e mosterioso:
Da Dolina dei Druidi di Fernetti

Più avanti, scendendo nella dolina lungo una strada che la percorre a spirale, intravediamo i resti di costruzioni dall'aspetto fantastico: archi, guglie, finestre che occhieggiano sul nulla, e steli in gran parte abbattute che sembrano sentinelle...
Sul fondo, i resti infranti di un grande tavolo di pietra, che un tempo era circondato da lunghe file di scranni e sedili, e da un trono maestoso.

Dolina dei Druidi di Fernetti

Le rovine ci lasciano intuire un passato ancor più suggestivo; ed infatti in giro per la rete, troviamo immagini spettacolari:

La Dolina dei Druidi così come si presentava alla fine degli anni '60
(foto di Rofizal - forum Atrieste)


Tanto si è scritto in questi ultimi tempi su questa dolina che, abbandonata e dimenticata nel mondo reale, sembra esser stata di recente riscoperta nel mondo virtuale di internet... la descrizione più struggente e suggestiva lo troviamo nel blog Spifferi di Trieste, nel post Dolina Dolens... ma c'è anche un gruppo in Facebook che si chiede chi sia stato a costruirla... e la stessa domanda anche nel Forum ATrieste...

Le ipotesi che sono girate nel corso degli anni sono le più varie e folli: scenografia per un film, tempio per messe nere, tempio nazista... beh, nulla di tutto ciò.
Effettivamente, delle messe nere vi furono senz'altro celebrate: il rinvenimento sia pur sporadico di resti di candele nere, carcasse di polli e parafernalia vari lascia poco spazio a dubbi in proposito... ma non era certo nelle intenzioni del costruttore.
Come pure la dolina fu sede di moltissimi likoff: anche qui, il rinvenimento tutt'altro che sporadico di lattine di birra, di resti di falò e pantagrueliche grigliate non lascia proprio alcun spazio ad eventuali dubbi. Ma anche questo, penso, non era nelle intenzioni del costruttore.

E quindi?
La spiegazione certa sulla sua origine ce la dà Dante Cannarella, in "Leggende del Carso Triestino" (ed. Italo Svevo, 2004). Dante Cannarella ci racconta che negli anni '50 un "commerciante triestino" acquistò un vasto appezzamento di terreno (quasi un centinaio di ettari), e fece edificare da un contadino del luogo le bizzarre costruzioni.

Il commerciante riteneva quel luogo abitato dall'antico popolo dei Druidi, guidati da un saggio re. Gli obelischi eretti lungo la strada erano i suoi guerrieri, trasformati in pietra. Il popolo dei Druidi si era nascosto nelle grotte, in attesa del giorno in cui gli uomini avranno finito di distruggersi a vicenda...
Quando il sognatore artefice di tutto ciò morì, la struttura finì in abbandono, e pochi anni dopo fu sfiorata dal cantiere del nuovo autoporto, che la risparmiò per pochi metri...

Di solito, scoprire il fondamento di verità che sta alle basi di una leggenda significa smitizzarla e distruggerla. In questo caso non è così: la Dolina dei Druidi fu costruita da un romantico sognatore, e fu la realizzazione di un sogno... fu realizzata con passione e con amore, inseguendo un mito tra le aspre rocce del Carso.
Averne scoperto quindi la vera storia non la smitizza affatto, ma anzi, le dona un fascino nuovo, più completo, superiore a quello che le dava la sola l'incertezza della sua origine...
Perchè, scoprendone la vera storia perdiamo i "si dice"... ma la meraviglia resta.

Oggi gran parte del terreno circostante è coperto dall'asfalto dell'autoporto, i sentieri ingombri di immondizia... il popolo dei Druidi si sarà nascosto ancor più profondamente, per fuggire a tale scempio. Ma non si nasconderà di certo a chi ha occhi per vederlo.
Quindi noi possiamo ancora sederci sui resti degli scranni, ascoltare il vento... e sognare.

giovedì 10 settembre 2009

La leggenda delle due sorelle

Tutti conoscono la leggenda della Dama Bianca, legata al bianco scoglio sotto al castello di Duino; pochi invece conoscono la suggestiva (ed altrettanto triste) leggenda delle due sorelle, legata a due scogli gemelli che si trovano sulla costa rocciosa, tra Canovella de' Zoppoli e la Baia di Sistiana.

Secondo questa leggenda due sorelle, che percorrevano il sentiero lungo la costa, un giorno di tempesta sarebbero state fatte precipitare in mare da un'onda gigantesca; e quindi si sarebbero trasformate nella caratteristica coppia di scogli.

La leggenda fu narrata in una poesia dalla Principessa Teresa Maria Beatrice della Torre-Hofer-Valsassina (1817-1893), castellana di Duino. Riscopriamola quindi nei suoi versi:

Dell'alta costa - al piè giacenti,
In nivea tinta, - qual per incanto,
Quasi fantasmi - dal mar sporgenti,
Vedi due massi - l'un l'altro accanto
Sbattuti e rosi - dall'onde felle;
Sono due scogli - e fur sorelle.

Antica voce - narra, che a sera
Ognor tornando, - due giovanette
Lievi moveano - sulla riviera,
Il mar fissando - mute e solette.
Eran sì bianche - eran sì belle!
Né mai disgiunte; - eran sorelle.

Qual fu la speme, - quale il desio
Sempre deluso - che in lor ardea?
Che avvinte insieme - su quel pendio
All'orlo estremo - ahi, le traea?
Noto al mar forse - ed alle stelle
Era il mistero - delle sorelle.

Ma un dì che furo - all'irta sponda,
Sempre aspettando - chi non venia,
Un nembo surse - e giù nell'onda
Insiem travolte - se le rapia!
Giacquero immote - le poverelle
Unite sempre - perché sorelle.

Ed ora, quando - il firmamento
Pallido fassi - e il sol s'adima,
Nel mar tuffandosi - già sonnolento,
Delle due rupi - sull'ardua cima
Brillan cerulee - doppie fiammelle;
Sono gli spiriti - delle sorelle.

Deposto il remo - il pio nocchiero,
Con gli occhi fisi - e ai lumi intenti,
Volge pietoso - il suo pensiero
Alla memoria - delle innocenti,
Pace pregando - alle sorelle;
In vita e in morte - sempre gemelle.

mercoledì 24 dicembre 2008

Pantere, puma e fiere varie...

Nei giorni scorsi mi è capitato di trovare i resti di un capriolo, sbranato in una maniera particolare, e che fa pensare che sia stato vittima di un animale abbastanza grosso e robusto - probabilmente una lince.

(Per chi ha stomaco, ho scattato un paio di foto, necessariamente "splatter": qui, qui e qui. Astenersi donne incinte, bambini e deboli di stomaco)

Tuttavia non si può fare a meno di pensare alle svariate leggende metropolitane sulla presenza di pantere, puma, tigri e quant'altro...

Google in due minuti mi ha tirato fuori questa notizia, risalente al 1978:

"La Stampa" del 22 agosto 1978 segnala che un animale di colore marrone scuro, con una coda molto lunga e un muso simile ad un felino, forse un puma, è stato visto da molte persone in un bosco nei pressi di Aurisina, sull'altipiano triestino. I Carabinieri di Aurisina hanno perlustrato una vasta zona con esito negativo"

Ma anche in tempi molto più recenti persone affidabili mi hanno riferito di aver visto un grosso felino nero sul Carso... e la cosa si potrebbe anche in questo caso liquidare come leggenda metropolitana, se non fosse che erano in tanti, non erano ubriachi, e che infine è stata trovata nella stessa zona anche una grossa ed inquietante orma (orma che anche fotografai... dove sarà finita la foto? Ho solo una dozzina di CD in cui cercarla...)

Leggende metropolitane? Probabile. Ma nelle leggende c'è sempre un fondo di verità...
Aggiornamento del 2 febbraio 2009:
Ho scartabellato nei CD, ed ho recuperato la foto dell'impronta:


La foto risale al marzo del 2004. E no, dove l'ho scattata esattamente non ve lo dico... diciamo, "da qualche parte in carso".
E' inutile che le cerchiate, segni di unghie non ce ne sono: quindi, a lasciare quell'orma è stato inequivocabilmente un felino.
Quanti felini conoscete che lascino impronte lunghe più di 10cm?