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domenica 2 ottobre 2016

La Croce di Teodosio di Vrhpolje

In prossimità del villaggio di Vrhpolje, si erge uno strano monumento: una grande T, sorta di croce mutilata.
Questo monumento ricorda la battaglia del Frigido (ad Frigidum), combattuta il 5 e 6 settembre del 394 d.C., e che vide vittoriose le truppe di Teodosio I, imperatore romano d'Oriente, contro l'esercito di Flavio Eugenio, imperatore romano d'Occidente.

Frigidus è l'antico nome del fiume Vipacco; l'esercito di Teodosio, partito da Costantinopoli, aveva attraversato tutta la Pannonia senza incontrare resistenza, e stava scendendo lungo l'odierna valle del Vipacco per dirigersi verso Aquileia; e qui avvenne infine il decisivo scontro con l'esercito di Flavio Eugenio, anche se gli archeologi non sono ancora riusciti a determinarne il luogo preciso.


La Battaglia del Frigido in una stampa di Giovanni Valvasor

La battaglia del Frigido fu un evento importante, e determinante per tutta la successiva storia d'Europa: non si trattò infatti solo di uno dei tanti conflitti che accompagnarono la decadenza e la fine dell'Impero Romano, ma fu quella che decretò la definitiva vittoria del Cristianesimo sul Paganesimo.
L'imperatore Flavio Eugenio infatti, anche se cristiano, era favorevole alla conservazione e restaurazione del Paganesimo, ancora diffusissimo tra le genti d'occidente, ed il suo fu l'ultimo tentativo di resistenza alla diffusione del Cristianesimo nell'impero.




Viceversa Teodosio I, fervidamente cristiano, per perseguitare e reprimere i culti pagani aveva già emanato durissime leggi (note come decreti teodosiani); e la sua avversione per gli antichi culti fu tale da vietare perfino i Giochi Olimpici (che sarebbero poi ripresi solo nell'età moderna, nel 1896, ad Atene).

Fu quindi una vera guerra di religione, una battagli epica in cui gli antichi Dei per l'ultima volta scesero in campo a fianco delle truppe dell'Impero d'Occidente.
E non mancano le leggende, su questa battaglia, come quella secondo cui un violento vento di Bora accompagnò la battaglia, rendendo impreciso ed inefficace il tiro degli arcieri di Flavio Eugenio. Il provvidenziale intervento della Bora, che servì a rovesciare le sorti di una battaglia la cui sorte era altrimenti segnata, fu interpretato come un segno divino, e come tale fu successivamente celebrato nella leggenda cristiana.
Dopo la sconfitta, Flavio Eugenio fu messo a morte per decapitazione come traditore.



Questo monumento (progettato da Lucijan Lavrenčič ed opera di Vojko Možina) fu eretto nel 1994, in occasione dei 1600 anni della battaglia ad Frigidum, nel punto in cui (secondo un'altra leggenda) Teodosio I si fermò a pregare prima della battaglia.


lunedì 7 aprile 2014

la postazione del mortaio Skoda da 38cm alle pendici del Monte Hermada

Quasi due anni fa ho scritto un post monografico sul Mortaio Skoda da 38cm, promettendo vagamente una "seconda puntata".
Se ho atteso tanto, è perché speravo che durante l'inverno, con la vegetazione più rada, sarebbe stato possibile scattare foto migliori di una mia piccola scoperta... ma purtroppo ciò non è accaduto.

Procediamo con ordine: su tutto il monte Hermada si trovano i resti di moltissime fortificazioni e postazioni di artiglieria Austro-Ungarica. Resti di trincee, di bunker, di osservatori, di impianti militari si contano a centinaia, ed è impossibile camminare senza letteralmente inciampare in qualche testimonianza della prima guerra mondiale.
La "fortezza Hermada" fu lo scoglio su cui si infranse l'esercito italiano, ormai in vista di Trieste.
E, in termini di artiglieria, soprattutto nel 1917 fu munitissimo, con uno spiegamento di batterie di grosso calibro imponente: senz'altro una delle maggiori - se non la maggiore in assoluto - di tutta la prima guerra mondiale.

mappa con lo spiegamento delle postazioni di artiglieria
nella zona del Monte Hermada nel 1917
I simboli non rappresentano singole bocche da fuoco, ma batterie:
ciascuna batteria composta da più bocche da fuoco
(il numero di bocche da fuoco che componeva una batteria dipendeva  dal calibro)
tratto da: "L'Ultima Guerra dell'Austria-Ungheria"

Alle pendici del Monte Hermada, ad ovest di Ceroglie, si trovano dei resti di fortificazioni abbastanza singolari, che fino adesso erano vagamente riconosciute come "postazioni di artiglieria di grosso calibro" (1)
Singolari perché sono costituite da un grosso muro paraschegge semicircolare, che protegge un ampio spiazzo interno, all'interno del quale si trova uno scavo quadrangolare molto regolare e curato.
Altri muri paraschegge, costruiti con grosse pietre legate con calcestruzzo, si trovano nei dintorni.
Il complesso non acquista una sua logica, fino a che non lo si riconosca per quello che realmente è: una postazione completa per un mortaio Skoda da 38 cm e per tutti i relativi mezzi e carriaggi di allestimento.

particolare del carro porta-munizioni a servizio del mortaio Skoda da 38
Ben evidente il carrello della dacauville, usata per il trasporto dei proietti




Tutta l'area è imboschita, e quindi è impossibile scattare delle foto decenti che rendano l'idea delle costruzioni; tuttavia, in un sopralluogo si possono facilmente identificare molte caratteristiche strutture:

  • la postazione vera e propria è costruita al margine di una dolina, efficacemente protetta da imponenti muri di calcestruzzo e pietrame
  • in mezzo alla postazione, è evidentissimo uno scavo quadrangolare, con pareti consolidate in pietra, nel quale veniva posto il cassone che costituiva il basamento vero e proprio del mortaio
  • a fianco della postazione, due piccoli bunker scoperti, con ingresso a meandro; il loro scopo non era tanto offrire protezione in caso di bombardamento, quando servire da rifugio ai serventi al momento dello sparo, affinché non fossero assordati dallo stesso. Probabilmente, erano sommariamente coperti con lamiera o con altra copertura, oggi scomparsa
  • poco distante, un'altra massiccia costruzione, a "U" allungata, parte in pietrame a secco e parte in calcestruzzo.
    Si tratta del riparo per il carro porta-munizioni; è ben evidente anche il passaggio (realizzato in calcestruzzo) per la decauville di servizio (vedi foto sopra)
    Sono visibili gli scassi per una travatura (oggi scomparsa), che sosteneva una qualche copertura di protezione.
  • tra il riparo del carro porta-munizioni e la postazione vera e propria, è visibilissima la massicciata sulla quale era stata posta la decauville di servizio, che conduce in prossimità della piazzola di tiro
  • nella medesima dolina, poco distante, si intravede l'accesso di un bunker, ormai interrato, ma che sarebbe interessante disostruire.
  • nei dintorni si trovano diversi altri massicci muri paraschegge, edificati sempre in pietrame a secco e talvolta consolidati da calcestruzzo: si trattava di protezioni per gli altri veicoli a servizio del mortaio.
L'aspetto più sorprendente di questa postazione è il suo eccezionale stato di conservazione: a parte pochi cedimenti dei muri di pietrame, risulta praticamente intatta; e verrebbe da pensare che - in teoria - con pochi giorni di lavoro potrebbe tornare ad ospitare il possente mortaio da 38 per cui era stata realizzata.

Da considerare anche il fatto che con tutta probabilità di tratta dell'unica postazione del genere sopravvissuta oggi in tutta Europa.

rappresentazione del mortaio Skoda da 380 in batteria.
E' ben rappresentato il cassone quadrangolare che ne costituiva
il basamento, e che veniva completamente interrato.
Proprio la caratteristica presenza dello scavo per questo basamento
indica inequivocabilmente che la postazione sull'Hermada ha ospitato questo pezzo 

Dove si trova esattamente?

Raggiungerla è molto semplice: basta deviare di pochi metri dalla carrabile che, da Ceroglie, conduce sulla vetta dell'Hermada (la stessa che, durante la "guerra fredda", era percorsa quotidianamente dalle "Campagnole" dell'Esercito Italiano, per raggiungere una baracca/osservatorio)


Visualizza Carso segreto in una mappa di dimensioni maggiori

Alcune proposte

La più ovvia è che il luogo, adesso che si è compreso cosa rappresenta, diventa implicitamente uno dei più interessanti da visitare sul Monte Hermada (ma forse anche il più interessante in assoluto). Merita quindi di essere una "meta fissa" di qualsiasi escursione storica nella zona, e di essere incluso in qualsiasi circuito di visite che voglia esser realizzato.
Ad esempio, una "meta fissa" attuale è costituita dai resti poco distanti di una postazione di un mortaio Skoda da 305, il "fratellino minore" di quello da 380.
Di questa postazione del mortaio da 305, quasi tutto è lasciato alla fantasia ed all'intuito del visitatore, perché ben poco è rimasto di effettivamente visibile, e quel poco è ben occultato da una rigogliosa vegetazione.
Non vi sono quindi confronti (né in termini di "leggibilità" delle strutture, né di interesse storico) con questa postazione del mortaio da 380.

Ma meriterebbe di esser adeguatamente valorizzato, tutelato e conservato. Si tratta probabilmente dell'unico manufatto del genere oggi esistente, e quindi anche il suo valore storico, di "archeologia di industria militare" è inestimabile.
E' sopravvissuto in maniera sorprendente a quasi un secolo di abbandono ed incuria, ma qualche sia pur minimo lavoretto di consolidamento e restauro sarebbe urgente ed importante.
La più urgente è quella di una radicale pulizia dalla vegetazione infestante: non tanto perché la vegetazione ne pregiudica molto la visibilità, ma anche perché ne mina la struttura (alcuni cedimenti parziali sono già evidenti).
La pulizia permetterebbe poi di eseguire un rilievo preciso della zona, importante sia al fine di pianificare ogni successiva attività di restauro, ma anche a fini storici e documentaristici.
Sarebbero poi auspicabili altri lavori di consolidamento, tesi a mettere in sicurezza e conservare le strutture.  
Nel mondo dei sogni oggi irrealizzabili, l'ideale sarebbe porvi una replica del mortaio Skoda da 380 e dei relativi mezzi di servizio, rendendolo uno scenario unico per rievocazioni e per il "museo all'aperto" dell'Hermada.
Più realisticamente, in seguito alla pulizia ed al rilievo preciso della zona, sarebbe interessante la realizzazione di un diorama in scala (come base di partenza, esiste anche un kit in resina)

Di seguito, un po' di foto delle condizioni attuali della struttura; ma consiglio di recarcisi di persona perché, nonostante la vegetazione, la struttura è interessantissima e ben meritevole di una visita.

il bunker con l'ingresso a meandro, visto dall'alto
l'ingresso a meandro
la piazzola di tiro
sulla destra, il massiccio muro paraschegge
i resti dello scavo quadrangolare che ospitava il basamento del mortaio

il muro paraschegge che circonda la piazzola
come dappertutto sull'Hermada, anche qui è facile rinvenire grosse schegge,
a testimonianza dei massicci bombardamenti subiti dalla zona
la postazione, anche se imponente, si riesce a malapena ad intuire in mezzo alla vegetazione

l'ingresso del bunker interrato, poco distante
protezione del carro porta-munizioni: questo è il passaggio per la decauville di servizio

la struttura di protezione del carro porta-munizioni vista dall'interno
dettaglio del passaggio della dacauville
altre strutture paraschegge

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(1) così è descritta nella mappa allegata a "Ermada", di Dario Marini De Canedolo, Gruppo Speleologico Flondar, 2007

martedì 8 ottobre 2013

La leggenda dell'eroe Zuino

friuli
il castello vecchio di Duino

Vi sono momenti in cui la storia si fa oscura, lasciando spazio quindi ad ipotesi che possono sfumare nella leggenda.
Ma spesso queste teorie, proprio per l'alone leggendario che le ammanta, risultano affascinanti: ed è giusto quindi proporle, ed elaborarle... sperando che un giorno la Storia possa confermarle.

Abbiamo visto che il Castel Pucino, o Palazzo d'Attila, in origine era una torre di avvistamento romana.
Questa torre faceva parte di un complesso, che percorreva e presidiava tutta la costa; ed ogni torre era costruita in modo da essere visibile da quelle contigue.
La prima torre era posta ove oggi sorge la Rocca di Monfalcone.
La seconda era appunto quella che sarebbe diventata Castel Pucino.
Le rovine della successiva sono oggi inglobate nel mastio del Castello di Duino. Di questa si ha notizia che Teodorico ne ordinò il restauro nel V secolo, e che un secolo dopo era presidio bizantino.
E l'ultima infine a Moncolano, l'attuale Contovello.

Ognuna di queste torri ebbe la sua storia, ed attorno a queste per secoli si incrociarono le umane vicende dei luoghi.
La torre di Castel Pucino si crede che trovò la sua fine nel X sec., in seguito ad una scorreria degli Ungari, durante la quale venne cinta d'assedio e distrutta.
Venne inviato a ricostruirla Zuino, vassallo di Aquileia, un condottiero originario dell'omonimo paese del Friuli meridionale. Ma Zuino, vedendo le rovine della torre, preferì edificare il proprio castello in un punto più difendibile, e precisamente sullo sperone di roccia antistante la torre romana più a sud (anch'essa ormai, probabilmente, ridotta ad un cumulo di rovine).
Sorse così quello che oggi chiamiamo "castelvecchio di Duino": un complesso piccolo, ma difeso in maniera formidabile, e praticamente inespugnabile.
E, secondo questa teoria, dalla storpiatura del nome del condottiero Zuino deriverebbe appunto il toponimo "Duino".
Quali i documenti a sostegno di questa affascinante teoria (esposta originariamente nel 1882 da Rodolfo Pichler nel suo "Il Castello di Duino: Memorie") ?

  • a Zuino fu rinvenuta una lapide risalente al IX o X secolo, con un'epigrafe dedicata all'eroe Zuino
  • in un documento del 1313 si riporta che i Duinati avevano proprietà in Zuino "da tempo antichissimo"


Oggi cerchereste invano "Zuino" sulla mappa del Friuli; il paese, che fino al 1940 conservava il nome di "Tor di Zuino", in seguito ai lavori di bonifica svolti nella zona fu ribattezzato con il (brutto) neotoponimo di Torviscosa.
Il toponimo originale sopravvive però nel nome attribuito ai suoi abitanti: gli abitanti di Torviscosa sono detti infatti "Torzuinesi".

sabato 28 settembre 2013

il castello di Sistiana


E' quasi dimenticato il fatto che a Sistiana, in prossimità dell'attuale distributore di benzina, una volta si trovava un castello, costruito verso la fine del XV sec. per la difesa contro le scorrerie turche.
Nell'800 fu adibito a stazione di posta e, più tardi, ospitò uffici amministrativi e, in parte, abitazioni.
Danneggiato durante la prima guerra mondiale, fu demolito negli anni '20.

In questa foto, risalente alla prima guerra mondiale, possiamo notare alcuni militari (probabilmente appartenenti al Seebataillon Triest )

lunedì 16 settembre 2013

le lumache viventi nelle rocce di Duino


Il barone Valvasor, importante storico del XVII sec., nonché studioso di tutte le curiosità della regione, riportò anche la curiosa notizia di "lumache viventi nelle rocce di Duino":

Negli scogli rocciosi sopra Tybein - che il popolino chiama Duin - si rinvengono lumache che vivono nel sasso, vicino al mare. Infatti colà si stendono grandi scogli rocciosi dai quali con pesanti martelli si staccano grossi pezzi, ed allora vi si trovano dentro grandi lumache nere, che sono veramente delicate da mangiare e così saporite come le ostriche. Esse sono grandi quanto un pugno; la pietra ove vivono è piuttosto fratturata e piena di piccoli forellini. Dovrebbe dunque esistere nell'interno degli scogli rocciosi una certa mucillaggine, dalla quale la natura fa nascere rane e lumache. E poiché la pietra ha molti forellini, l'aria non può mancare alle lumache ivi prigioniere

Queste "lumache delle rocce" altro non sono che il Dattero di Mare (Lithophaga lithophaga), caratteristico mollusco una volta ricercato per le sue carni, ma oggi intoccabile: visti i gravissimi danni procurati dalla pesca del Dattero di Mare, ne è vietatissima la pesca e la detenzione.
Data poi la lentissima crescita (per raggiungere i 5 cm può impiegare anche 20 anni), è economicamente improponibile anche qualsiasi forma di allevamento.


lunedì 17 giugno 2013

il tesoro della Grotta delle Monete di Erpelle/Hrpelje

Nell'ottobre del 1921 nella grotta successivamente accatastata al numero 557, fu trovato il più classico dei tesori: alcune pentole conservavano oltre cinquemila monete, perlopiù d'argento e poche d'oro.
Il tesoro risaliva probabilmente agli inizi del 1400, perché comprendeva monete d'oro dei dogi Lorenzo Celsi, Marco Corner, Andrea Contarini e Antonio Venier. Le monete d'argento erano invece grossi, soldini e piccoli della Repubblica di Venezia, denari dei Patriarcati d'Aquileia, della zecca padovana dei Carraresi e di Luigi I d'Angiò, re di Ungheria, e risalgono a tempi che vanno dalla seconda metà del secolo XIV agli inizi del XV.
L'annuncio del ritrovamento fu dato dal prof. Sticotti, direttore del Museo Civico di Storia ed Arte di Trieste, presso il quale le monete furono portate (e dove presumibilmente si trovano tutt'oggi).
La grotta si trova a sud-ovest di Erpelle (precisamente: "m. 1190 O + 24° S da Erpelle"), ai margini di una dolina; non l'ho visitata ma l'esplorazione (una volta superato il primo pozzo di 3 metri) non dovrebbe essere particolarmente impegnativa.
In prossimità della stessa si trova una tabella turistica che ricorda il fatto.

Bibliografia: "Duemila Grotte", pag. 284

rilievo originale della Grotta delle Monete del 1921

domenica 22 luglio 2012

la Grande Guerra in casa - mostra a Ternova Piccola fino al 16 settembre


Veramente notevole l'allestimento della mostra "La Grande Guerra in casa", al centro D'Arte Skerk (Ternova Piccola - Duino Aurisina)
Quattro sale allestite con testimonianze fotografiche e documentali sulla Prima Guerra Mondiale nei paesi della zona attorno al Monte Hermada, che affrontano vari aspetti:


  • Condizioni ottime di vita economica (industria marmifera ed alberghiero-turistica, agricoltura, pesca, collegamenti ferroviari e viari), attività finanziarie, culturali, sociali ecc. anteriori all’inizio del conflitto.
  • Inizio delle ostilità con bombardamenti delle artiglierie italiane e conseguente esodo coatto o volontario della popolazione verso il centro dell’Impero, relative dure condizioni di permanenza.
  • I rapporti tra militari e civili rimasti nelle retrovie.
  • La distruzione dei villaggi e di edifici, con diffusi pesanti danni alle infrastrutture ed al territorio, principalmente dalle opposte artiglierie e specialmente dai bombardamenti dei cannoni a lunga gittata della Regia Marina, posizionati a Punta Sdobba ed Isola Morosini.
  • Le linee del fronte: reticolati, trincee e rifugi scavati nella roccia carsica, vita dei soldati in estreme condizioni, armi individuali e collettive, uso del gas, lanciafiamme, armamento e disposizione di nidi di mitragliatrice, batterie di cannoni, obici, bombarde ed altri materiali di offesa e difesa.
  • Il ricupero dei feriti. I caduti singolarmente ed in massa, loro sepolture provvisorie e nei cimiteri.
  • Aerei italiani ed austroungarici a terra, in volo od abbattuti.
  • Disposizione sull’Ermada, relativi armamenti dei due eserciti all’inizio della undicesima offensiva italiana.
  • Il battaglione dimenticato di volontari minorenni denominato “Nabresina” o “ciclisti” dislocato, in funzione antisbarco, da Duino a Prosecco.
  • Uniformi, granate ed altri materiali bellici.
La mostra è stata allestita dalla Associazione Hermada - Soldati e Civili, e sarà visitabile con il seguente orario:
Dal 21 luglio al 26 agosto 2012: venerdì, sabato, domenica 10:00 - 12:30 e 18:30 - 21:30
Dal 31 agosto al 16 settembre 2012: venerdì, sabato, domenica 10:30 - 13:00 e 17:00 - 20:00

Per maggiori informazioni: 
Associazione HERMADA - SOLDATI E CIVILI
Ternova Piccola 15
34011 Duino-Aurisina (TS)

Tel. +39 331 7403604 o +39 345 6407888

venerdì 9 aprile 2010

il ripostiglio tardoromano del Monte San Primo

Per un archeologo, un "ripostiglio" è il parente povero di un tesoro.
Se il tesoro nascosto ce lo immaginiamo fatto di monete d'oro e pietre preziose, un ripostiglio è fatto di oggetti di uso quotidiano, o pezzi di metallo conservati per esser riutilizzati. Con il tesoro ha in comune la caratteristica di esser stato occultato, nascosto, sepolto... e poi dimenticato, probabilmente perchè chi lo fece non ebbe più l'occasione di recuperare i suoi oggetti.
Un ripostiglio del genere fu scoperto per caso agli inizi degli anni '80, nascosto tra le pietre di un muretto tra il monte San Paolo ed il monte San Primo, tra Prosecco e Santa Croce.
Era composto da materiali eterogenei:
  • una zappa, alcune asce, delle falci, delle roncole, un punteruolo, chiodi ed una fibula.
  • alcuni oggetti in bronzo: fibbie, placche, una placca da cinturone (decorata con disegni geometrici disposti a quadrifoglio e sormontata da due cani accucciati sovrapposti).
  • Quattro monete romane, due delle quali forate per esser usate come ornamento
  • due pezzi di piombo
  • dei pezzi informi di ferro
  • una cote di pietra, usata per affilare le lame.
Sull'origine di questo "tesoretto", è lecita ogni ipotesi ed ogni illazione; gli archeologi propendono per attribuire gli attrezzi ad un artigiano del legno che praticava anche l'agricoltura, e datano il tesoretto tra la fine del IV sec. e gli inizi del V sec.
Se vogliamo dare un possibile quadro storico, basterà ricordare che nel corso del 400 d.C. Alarico , re dei Visigoti, lasciò l'Epiro e passando da Aemona (l'odierna Lubiana), nel 401 d.C. arrivò in Italia, attraversando proprio questa zona...
Possiamo quindi immaginare un artigiano, magari un legionario veterano (il che spiegherebbe la fibbia di tipo militare), all'avvicinarsi dei temuti barbari invasori decise di occultare tutto ciò che aveva di prezioso... per lo più utensili e metalli grezzi – le cose più preziose, in un'economia di sussistenza.
Dopodichè, avvenne qualcosa, che gli impedì il recupero... ed i suoi utensili sono rimasti dimenticati sotto i sassi di quel muretto per quasi 1600 anni.
Lo scenario non è tanto fantastico, se consideriamo che a quello stesso periodo risale un altro tesoro della nostra zona, trovato nella grotta Alessandra (419/366 VG): due gruppi di monete, sepolte separatamente a poca distanza uno dall'altro.
Anche qui: non scopriremo mai chi è stato ad occultarle... ma possiamo solo immaginare la paura e lo stato d'animo di chi, all'avvicinarsi del nemico, cercava di salvare i propri averi; mentre il destino volle che non gli fosse più possibile recuperarli.

per approfondire:
Dante Cannarella, "Itinerari Carsici: da Contovello a Santa Croce", ed. Italo Svevo, Trieste 1990

mercoledì 23 dicembre 2009

il Mitreo di Duino

In prossimità di Duino si trova l'unico tempio mitriaico ipogeo rinvenuto in Europa, e probabilmente si tratta anche di uno dei più integri e completi.
Si trova in una caverna (catasto 1255/4204 VG  ) che venne scoperta nel 1965 da alcuni speleologi della Commissione Grotte Eugenio Boegan.
All’epoca era quasi completamente ostruita da detriti e pietrame; e poiché nei primi lavori di disostruzione furono rinvenuti dei frammenti di lapidi ed altro materiale di epoca romana, fu immediatamente allertata la Sovrintendenza.
Nel corso degli scavi successivamente eseguiti, oltre ai frammenti di lapidi e steli furono scoperti un ricco complesso di monete che andava dal II al IV secolo, lucerne e vasetti di ceramica nord-italica, frammenti di anfore, di tegole e tavelle.
L’insieme dei reperti permise di determinare che si trattava di un tempietto ipogeo dedicato al Dio Mitra, completo di un’ara sacrificale e di due panche longitudinali in pietra, oltre ad una serie di altre are e steli.
Furono realizzati dei calchi delle steli e delle are votive, ed il tempietto fu in parte ricostruito; oggi è quindi visitabile, sia pur con qualche difficoltà…
Trattandosi di un unicum storico e archeologico, ci si aspetterebbe una certa valorizzazione dello stesso, anche turistica… se invece volete visitarlo, armatevi di scarponi e gambe in spalla!
Per raggiungerlo: partendo dal parcheggio dell’ex mobilificio Arcobaleno, si segue un sentiero che si addentra per pochi metri, per sfociare in una larga carrareccia che seguiremo sulla sinistra.
Proseguiremo sulla carrareccia fino a raggiungere la linea ferroviaria, e poi costeggiandola e superando un ex casello (oggi trasformato in abitazione privata), e seguendo ancora per un po' a fianco della linea ferroviaria, fino a dove la carrareccia svolterà decisamente a destra per infilarsi in un sottopasso ferroviario.
Proprio in questo punto, osservando attentamente, troveremo un sentiero sulla sinistra (in realtà, poco più di una traccia) che, dopo poche decine di metri, ci porterà all’ingresso della recinzione che delimita il mitreo.

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Il tempio venne realizzato probabilmente nella seconda metà del I secolo d.C., e fu frequentato fino al IV secolo allorquando, con la diffusione del cristianesimo, in seguito agli Editti di Teodosio del 391 d.C. tutti i culti pagani furono banditi e si verificarono ovunque episodi di danneggiamento o distruzione degli antichi templi. E’ a quest’epoca quindi che possiamo far risalire la devastazione del mitreo, con un autodafé are e steli furono infrante e la grotta venne colmata di detriti…

Il tempio originario era un po’ diverso da come ci si presenta l’attuale, pur ottima, ricostruzione. La volta della grotta era più chiusa (in parte fu fatta brillare durante i lavori di sgombero, in quanto pericolante; in tal modo fu allargato l’accesso e tutta la cavità fu resa più luminosa). Inoltre, all’interno della grotta si trovava originariamente una piccola costruzione, con un tetto in coppi a due falde che copriva l’altare e le due panche.

Il culto di Mitra, o Mitraismo, ebbe la sua origine in medio oriente, e a partire dal I secolo d.C.
Si diffuse nell’impero romano per opera di legionari e mercanti (non è quindi un caso che in tale zona fosse attestata la XIII legione “Gemina”, di origine appunto orientale); tale diffusione avvenne quindi contemporaneamente (ed in “concorrenza”) al cristianesimo, e fu da quest’ultimo perseguitato.
Tuttavia, il cristianesimo deve molto al mitraismo: moltissimi rituali cristiani sono, in realtà, retaggi del mitraismo, successivamente sincretizzati nel cristianesimo.
I mitrei si trovavano quindi quasi esclusivamente in prossimità di grandi città portuali e di luoghi di guarigione.

Era un culto di tipo misterico, ovvero riservato ad iniziati, di sesso maschile, e che avevano superato delle prove (oggidì, non ci è dato di sapere in cosa consistessero queste prove).
Quindi, abbiamo poche e frammentarie informazioni sul culto e la sua ritualità – e queste poche informazioni ci arrivano dalle critiche degli antichi scrittori cristiani, o interpretando le steli rinvenute nei mitrei.
La celebrazione avveniva in ambienti sotterranei, artificiali o, più raramente, naturali; nel rituale avevano parte alcuni animali e personaggi che rappresentavano anche i sette gradi degli iniziati: il corvo (corax), un essere misterioso (gryphus), il soldato (miles), il leone (leo), il persiano (perses), il messaggero del sole (heliodromos) e infine il pater.
Nel Mitraismo l'acqua svolgeva un ruolo purificatorio importante, e spesso i mitrei sorgevano in prossimità di una sorgente naturale o artificiale - e poco distante dal mitreo di Duino troviamo le Foci del Timavo..
I mitrei erano diffusi in tutto l'impero romano; e tutt'oggi, resti di mitrei in muratura sono visibili a Roma, Napoli ed Ostia; tuttavia, come già detto, il mitreo di Duino è l'unico ricavato in una cavità ipogea. 


La stele principale, sulla quale compare la dedica:
D(eo) I(nvicto) M (Mithrae) AV (lus) TULLIVS PAVMNIANVS PRO SAL (ute) ET FRATER SVOR (um) TVLLI SECUNDI ET TVLLI SEVERINI
“All’invitto Dio Mitra Tullio Paumniano offre per la salvezza sua e dei suoi fratelli Tullio Secondo e Tullio Severino”
Oltre alla dedica, si possono individuare sul bassorilievo i seguenti elementi: il Sole, la Luna, Cautes con la fiaccola abbassata, Cautopates con fiaccola alzata, Mitra con il berretto frigio, il toro sacrificato con la coda terminante in spiga, lo scorpione, il serpente, il corvo, la roccia della grotta e gli Offerenti


L'interno del Mitreo ricostruito
In fondo, la stele principale; al fianco, le due panche in pietra su cui sedevano gli officianti; al centro, la "roccia della grotta" che fungeva da altare.

Per approfondire:
  • Dante Cannarella: "Guida del Carso triestino – Preistoria – Storia – Natura", Edizioni Italo Svevo – Trieste 1975
  • Dante Cannarella, in “Atti della Società per la Preistoria e Protostoria” della Regione Friuli Venezia Giulia vol. III, Arti Grafiche Pacini Mariotti – Pisa 1979
  • Donata Degrassi, "Le strade di Aquileia – Nuovi itinerari tra Friuli e Golfo Adriatico", Libreria Editrice Goriziana - Gorizia 2000

domenica 16 agosto 2009

Stazione di Aurisina - 16 agosto 1917

La Stazione di Aurisina (da non confondersi con la stazioncina di Bivio d'Aurisina) ha oggi l'aspetto melanconico di un'anziana nobildonna decaduta.
Fu eretta nel 1857 a servizio della Sudbahn, o I.R. Ferrovia Meridionale, che collegava Trieste con Lubiana, e per molti anni costituì uno dei principali nodi ferroviari della zona.
Oggi la cerchereste inutilmente sugli orari, anche del più sperduto treno locale: è stata completamente abbandonata come stazione, e viene usata solo come deposito di attrezzature per la manutenzione delle linee ferroviarie; pochi treni vi transitano, senza mai fermarsi.

Data la sua importanza, e data la vicinanza al fronte, durante la prima guerra mondiale fu più volte obiettivo di bombardamenti: sia d'artiglieria, che aerei.
Particolarmente devastante fu il bombardamento del 16 agosto 1917, eseguito dalle artiglierie italiane che sparavano da dei pontoni (o "monitori") a Punta Sdobba.
Precisamente, a sparare quel giorno pare che fu il monitore "Faà di Bruno", della Regia Marina, con i suoi pezzi binati da 381 mm.



A ricordare questo episodio, una piccola lapide con la data, posta sulla facciata, sopra a quello che sembra un fiore di ferro; ma che altro non è che il rottame della granata che la colpì:



Quel piccolo fiore di ferro, che pare piccola cosa, quasi gentile, non può far capire la distruzione che portò. Vediamo, in una foto d'epoca, i danni che causò:

giovedì 6 agosto 2009

Una strana storia di guerra...

Capita spesso che le cose più interessanti si scoprano mentre si sta (infruttuosamente) cercando tutt'altro...
Capita così spesso di ritrovare dimenticati cimeli di famiglia cercando gli addobbi natalizi in soffitta, oppure (più prosaicamente) di trovare il passaporto (che ormai si dava per disperso) mentre si sta cercando il contratto del proprio cellulare...

Così, mentre cercavo documenti e riscontri su tutt'altro (ed è ancora presto per dirvi l'oggetto delle mie ricerche... altrimenti vi rovino la sorpresa!) mi sono imbattuto in un curioso episodio di guerra, svoltosi nel Golfo di Trieste, ai piedi del Carso, nell'aprile del 1945.

Il 2 aprile 1945 il bombardiere B24 statunitense 44-41009, appartenente al 454th Bomb Group - 738th Bombardment Squadron stava rientrando alla base, al termine della propria missione. Giunto in prossimità di Trieste, scoppiò un incendio nel vano di carico delle bombe, e l'aereo fu costretto all'ammaraggio.
Un altro B-24 rimase a volare in circolo al di sopra del punto di ammaraggio, sia per difendere il gruppo di piloti superstiti, sia per favorire l'identificazione della posizione. Infine, giunse un idrovolante Catalina del 1st Emergency Rescue Squadron, ai comandi del cap. Milburn, che ammarò a fianco dei quattro superstiti e li recuperò. I corpi di due altri membri dell'equipaggio, deceduti, furono abbandonati e probabilmente recuperati in seguito.

il cap. Walter B. Milburn (fonte: www.1st-7therspby.org)

Riporto dal diario di guerra (ovviamente in inglese):

Capt. Milburn and crew picked up four airmen from the 738th Bombardment Squadron, 454th B-24 Bomb Group. The bomb bay of a huge B-24 caught fire just off Trieste, and was forced to ditch. Another B-24 circled overhead until the Catalina arrived to make a landing.

Sergeants Perry L. Owens, Raymond A. Monahan, Richard J. Schmid, and
Flight Officer Howard C. Horton were taken aboard the Catalina and flown to Foggia. Two bodies were left behind for an H.S.L. to pick up.

L'episodio ebbe probabilmente più di un testimone da Trieste o dal ciglione carsico, tant'è che girarono in città parecchie voci a questo proposito... voci via via sempre più vaghe, fino a sfumare quasi nella leggenda...
Oggi, grazie alla massa di archivi disponibili più o meno liberamente e più o meno agevolmente in internet, riusciamo a reinquadrare questa leggenda all'interno della storia, e perfino a dare un volto ad uno dei protagonisti...

mercoledì 1 luglio 2009

il monumento scomparso dell'Artiglieria A.U.

Dopo la vittoria di Caporetto, nella baia di Sistiana venne collocato un piccolo monumento, celebrativo dell’Imperial Regia Artiglieria Austro-Ungarica.
Si trattava di una pregevole riproduzione del mortaio da 15cm M80, probabilmente realizzata in pietra d’Aurisina.
Qui possiamo vedere com'era il mortaio M80 originale, preso a modello per il monumento:



(fonte: moesslang.net)

Tale manufatto, in un qualche momento successivo alla conclusione della Seconda Guerra Mondiale, finì nella collezione di Diego de Henriquez; tanto che, negli anni ’70, era visibile presso il deposito all’aperto che il famoso ed appassionato collezionista aveva a Padriciano.
Negli anni successivi alla misteriosa morte di de Henriquez, scomparve pure una parte rilevante della sua collezione, in maniera quasi mai limpida. Tale fu la sorte che toccò anche a questo pregevole mortaio in marmo, del quale oggi ci è rimasta soltanto una foto (scattata dal col. Abramo Schmid nel 1970 a Padriciano):

Probabilmente oggi questa scultura fa mostra di sé nell’indegna cornice di qualche giardino privato o dell’atrio di qualche villa…
Se quindi vi doveste ricordare di averlo visto da qualche parte... tirate fuori dalla naftalina il vostro senso civico, e segnalatelo alle autorità.
E' un piccolo pezzo della nostra storia, che sarebbe bello tornasse ad esser di tutti.

Aggiornamento del 9 aprile 2013:

Grazie agli appassionati del gruppo KuK i.r.97 - Freiherr von Waldstätten Triest . Trieste, sono state trovate due immagini del monumento originale. E c'è chi sta già pensando di ricostruirlo...

L'iscrizione recita:
"Den Gefallenen kameraden, k.k.lst art.reg n°4, ? marsch kompanie, batterien wildpark Sablici,1915 191?"

Questa immagine è probabilmente del dopoguerra: non vi compare l'aquila bicipite (presente invece nella foto precedente), probabilmente rimossa nel generale "repulisti" dei simboli Austro Ungarici.

giovedì 29 gennaio 2009

il tesoro di Santa Croce

In "Storia cronografica di Trieste", compilata alla fine del '600 da Vincenzo Scussa, troviamo una notizia curiosa.
Il 23 giugno 1642 "un putto della villa di Santa Croce, territorio e giurisdizione di Trieste, nella strada che conduce a santo Giovanni di Duino, seguitando una fuina, che si nascose in un mucchio di sassi, scavando quelli, ritrovò un deposito di denari, che ascendevano a ducati trecento. Credevasi però fosse la somma maggiore, non detta dalli contadini parenti per paura non gli fossero levati. Il soldo era: scudi, ongari, zecchini, ducatoni e doble. Non sia meraviglia di questo soldo, poichè anni dieci incirca d'innanzi arrivò Galera da Venezia a Capodistria con soldo per pagare soldatesca, ed altri officianti benemeriti, dato il caso che in quella città si celebravano solenni nozze, alle quali venne invitato il sopracomito di galera, e tutti gli altri comandanti. Avvedutisi li galeotti senza superiorità, fatta congiura tra loro, si scostarono dal lido e liberatisi l'un l'altro da'ceppi, postisi al remo, sicuri che niuno li seguitasse, investirono in terra la galera di qua di Grignano nelle arene di santo Canciano, e caricatisi di soldi li galeotti, se ne fuggirono per la montagna, parte de'quali stanchi e deboli, asconderono il soldo per le vigne, che poi trovossi, e credesi il ritrovato dal putto, come sopra, esser stato danaro di questo numero riposto tra quella petraglia con animo, chi sa? chi può dire? di ritornar a levarlo"

domenica 21 dicembre 2008

Cimitero militare austro-ungarico di Aurisina

Il cimitero militare austro-ungarico di Aurisina si trova in fondo ad una dolina, non distante dall'autostrada. Bisogna uscire dal paese seguendo il sentiero CAI n. 47, e subito dopo aver attraversato il sottopassaggio autostradale, attraversare il prato che si apre davanti, volgendosi un po' a sinistra.


Visualizzazione ingrandita della mappa

Vi sono custodite le spoglie di 1934 militari austriaci caduti tra il 1915 ed il 1917.
Il cimitero è in ottime condizioni, essendo stato periodicamente restaurato dai volontari della Croce Nera austriaca.

sabato 29 novembre 2008

casermetta del Nizza Cavalleria alle Sorgenti di Aurisina

Sembra che, verso la fine del 1942, sulla costiera triestina operò con funzioni antisbarco un "Gruppo squadroni appiedato" Nizza Cavalleria, costituito con personale richiamato dalle classi più anziane.
Se ciò è vero, una traccia se ne trova nella costruzione che si trova di fronte allo stabilimento delle pompe dell'acquedotto, sopra le sorgenti di Aurisina.
E' un piccolo edificio ormai fatiscente, che deve aver ospitato in tempi migliori una officina dell'ACEGA/ACEGAS/ACEGAT. Ma sui muri si ritrovano parecchie iscrizioni e graffiti che richiamano il Nizza Cavalleria, e chiari motti d'epoca ("Vincere", "Nell'assalto chi esita cade", spiritosamente corretto in un "Nell'assalto chi esita è Cadel"... chi sarà il Cadel che si è voluto prender di mira? Un operaio ACEGA? Può darsi...)
Casermetta Nizza Cavalleria alle Sorgenti di Aurisina

Se ne è parlato nel forum aTrieste, in questo thread (a proposito: grazie a Sbriso per le preziose informazioni!)

mercoledì 5 novembre 2008

il cimitero di guerra del monte Bitigonia - aggiornamento

Googlando e scartabellando, ho scoperto un po' di cose su questo fantomatico cimitero militare.
Intanto, il nome: si chiamerebbe "cimitero militare di San Pelagio", e non "del monte Bitigonia".
Ho poi scoperto che nei pressi si trova una grotta, la "CAVERNA DEL CIMITERO MILITARE (397/1492 VG)", che si apre con un pozzo profondo una quarantina di metri, e con una storia abbastanza truculenta. Sulla scheda del Catasto Grotte è riportato:

l'ampio imbocco si apre tra fitta vegetazione,a 300 metri dal quadrivio di San Pelagio, 10 metri a sinistra dalla strada in disuso che passa ad oriente del Monte Bitigonia e che si dirige verso il confine di stato.

DESCRIZIONE:
alla base del primo breve pozzo un ripiano detritico ne riduce la larghezza e si immerge in un secondo pozzo, dalla struttura irregolare e rivestito da concrezioni, in parte corrose da un velo d'acqua. Dopo un ripiano si apre una caverna, di forma allungata, che termina con alcuni vani adorni di concrezioni.
All'epoca della prima esplorazione, svoltasi nel 1924, gli abitanti di Prepotto riferirono che durante la guerra in questo pozzo erano state scaricate le salme dei caduti che non si era fatto tempo a seppellire dopo le battaglie più cruente. Tra i corpi, che venivano portati con dei camion, vi erano anche soldati che, pur avendo subito gravi mutilazioni, erano ancora vivi. La gendarmeria austriaca, avvertita del fatto, fece cessare l'orrenda pratica.
Molti anni prima, nel pozzo, che allora sarebbe stato ben più profondo, fu calato un contadino, il quale narrò che sul fondo scorreva un ruscello.

Inoltre ho scoperto che il 30 settembre 2007 tale grotta è stata pulita nell'ambito dell'iniziativa "Puliamo il buio"; durante tale pulizia sono emersi dettagli ancor più inquietanti...

Cito dal sito del Gruppo Speleologico San Giusto:

Questa cavità, profonda 45 metri, era stata oggetto negli anni ‘70 e ‘80 di un consistente inquinamento (elettrodomestici, materiali domestici desueti, parti d’auto, materiali di cantiere edile, le immancabili gomme e vestiario di vario genere) valutato ad opera finita attorno ai quattro metri cubi.
All’iniziativa hanno partecipato 23 speleologi appartenenti a varie associazioni della provincia di Trieste.
L’operazione di pulizia si è presentata da subito molto impegnativa per gli speleologi addetti al recupero esterno; poiché il pozzo è caratterizzato in più punti da strozzature che impedivano il sollevamento del materiale ingombrante. Proprio per questo già sabato 29 cinque attrezzisti hanno “armato” il pozzo con dei “deviatori” per obbligare i carichi sollevati a spostarsi dalla verticale ed evitare di farli incastrare sulle rocce.
È stata stesa anche una linea telefonica per poter agevolmente comunicare con il fondo della cavità durante le operazioni di recupero.
Durante la Prima Grande Guerra Mondiale, questa cavità si trovava nelle vicinanze di alcuni cimiteri militari ed era pertanto presumibile pensare che al suo interno si potessero rinvenire dei resti di soldati austriaci.
La pulizia ha interessato solamente la parte superficiale del fondo della cavità e di fatto, fra le pietre, sono emerse scatolette di viveri americane (nella Seconda Guerra a pochi metri c’era un campo militare degli alleati) e subito dopo, in una sorta di sequenza stratigrafica, scatolette austriache.
Mentre si svolgevano le lente operazioni di recupero si è avvicinato, incuriosito, un abitante del vicino paese di San Pelagio, che ha riportato notizie di una donna che, alla fine dell’ultimo conflitto, sarebbe stata gettata in questa grotta.
E purtroppo, differenziando i rifiuti, fra le molteplici ossa di animali (cavalli e molti cani) è emerso un frammento osseo probabilmente appartenente a una calotta cranica umana (molto verosimilmente di giovane donna).

L'articolo rimanda anche a due articoli de "Il Piccolo" del 30 settembre e del 14 ottobre 2007, e propone anche due album fotografici: qui e qui.

lunedì 3 novembre 2008

il cimitero di guerra del monte Bitigonia

Quante giornate passate sul Carso a cercare...
A cercare cosa? Grotte, cippi, doline, sentieri... si parte da indizi spesso vaghi (carte topografiche vecchie di trent'anni ed a scale improponibili, o libri ancor più vecchi e più confusi), e ci si ritrova spesso a vagare attraverso una macchia impenetrabile, fatta di rovi ed acacie spinose... ed alla fine della ricerca, spesso, si sono raccolti solo una bella dose di graffi.

L'esempio di oggi è il "cimitero di guerra" del monte Bitigonia.
Per chi non lo sapesse, il "monte" Bitigonia (in realtà, un insignificante collinozzo, della quota di 250 metri...) si "eleva" dalle parti di Ternova Piccola, sulla destra della strada che conduce al confine di stato.

Sulla vecchia tavoletta 1:25000 dell'IGM. a sud-est del "monte Bitigonia" è indicato, laconicamente, un "cimitero militare" (presumibilmente, vista la zona, Austro-Ungarico).
Sulla carta topografica per escursionisti 1:25000 del Carso Triestino tale cimitero è nuovamente riportato (il che lascia supporre che qualche traccia ci sia ancora...)
Sulla carta tecnica regionale 1:5000 non ce n'è traccia, e parimenti su google maps nulla lascia intuire un qualche cimitero.
Indizi sufficientemente vaghi ed imporecisi per gettarsi a capofitto nella ricerca.
E quindi via, ovviamente sottovalutando il problema, lasciando a casa il GPS e la carta 1:5000, ad affrontare quella che, sulla carta, sembra solo una passeggiata alla ricerca di uno spiazzo...
Nella realtà, la zona è piena di doline e depressioni, muretti a secco in pessime condizioni, vegetazione che non viene pulita da anni e che ha ormai formato un muro quasi impenetrabile.
Ed in un'ora di ricerca in una zona grande un ettaro non sono riuscito a venirne a capo. Quindi, dovrò tornarci... magari col GPS e con una cartografia più adeguata.
Nel frattempo: qualcuno ne sa qualcosa, di questo fantomatico "cimitero di guerra"?