Visualizzazione post con etichetta Duino. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Duino. Mostra tutti i post

martedì 8 ottobre 2013

La leggenda dell'eroe Zuino

friuli
il castello vecchio di Duino

Vi sono momenti in cui la storia si fa oscura, lasciando spazio quindi ad ipotesi che possono sfumare nella leggenda.
Ma spesso queste teorie, proprio per l'alone leggendario che le ammanta, risultano affascinanti: ed è giusto quindi proporle, ed elaborarle... sperando che un giorno la Storia possa confermarle.

Abbiamo visto che il Castel Pucino, o Palazzo d'Attila, in origine era una torre di avvistamento romana.
Questa torre faceva parte di un complesso, che percorreva e presidiava tutta la costa; ed ogni torre era costruita in modo da essere visibile da quelle contigue.
La prima torre era posta ove oggi sorge la Rocca di Monfalcone.
La seconda era appunto quella che sarebbe diventata Castel Pucino.
Le rovine della successiva sono oggi inglobate nel mastio del Castello di Duino. Di questa si ha notizia che Teodorico ne ordinò il restauro nel V secolo, e che un secolo dopo era presidio bizantino.
E l'ultima infine a Moncolano, l'attuale Contovello.

Ognuna di queste torri ebbe la sua storia, ed attorno a queste per secoli si incrociarono le umane vicende dei luoghi.
La torre di Castel Pucino si crede che trovò la sua fine nel X sec., in seguito ad una scorreria degli Ungari, durante la quale venne cinta d'assedio e distrutta.
Venne inviato a ricostruirla Zuino, vassallo di Aquileia, un condottiero originario dell'omonimo paese del Friuli meridionale. Ma Zuino, vedendo le rovine della torre, preferì edificare il proprio castello in un punto più difendibile, e precisamente sullo sperone di roccia antistante la torre romana più a sud (anch'essa ormai, probabilmente, ridotta ad un cumulo di rovine).
Sorse così quello che oggi chiamiamo "castelvecchio di Duino": un complesso piccolo, ma difeso in maniera formidabile, e praticamente inespugnabile.
E, secondo questa teoria, dalla storpiatura del nome del condottiero Zuino deriverebbe appunto il toponimo "Duino".
Quali i documenti a sostegno di questa affascinante teoria (esposta originariamente nel 1882 da Rodolfo Pichler nel suo "Il Castello di Duino: Memorie") ?

  • a Zuino fu rinvenuta una lapide risalente al IX o X secolo, con un'epigrafe dedicata all'eroe Zuino
  • in un documento del 1313 si riporta che i Duinati avevano proprietà in Zuino "da tempo antichissimo"


Oggi cerchereste invano "Zuino" sulla mappa del Friuli; il paese, che fino al 1940 conservava il nome di "Tor di Zuino", in seguito ai lavori di bonifica svolti nella zona fu ribattezzato con il (brutto) neotoponimo di Torviscosa.
Il toponimo originale sopravvive però nel nome attribuito ai suoi abitanti: gli abitanti di Torviscosa sono detti infatti "Torzuinesi".

lunedì 16 settembre 2013

le lumache viventi nelle rocce di Duino


Il barone Valvasor, importante storico del XVII sec., nonché studioso di tutte le curiosità della regione, riportò anche la curiosa notizia di "lumache viventi nelle rocce di Duino":

Negli scogli rocciosi sopra Tybein - che il popolino chiama Duin - si rinvengono lumache che vivono nel sasso, vicino al mare. Infatti colà si stendono grandi scogli rocciosi dai quali con pesanti martelli si staccano grossi pezzi, ed allora vi si trovano dentro grandi lumache nere, che sono veramente delicate da mangiare e così saporite come le ostriche. Esse sono grandi quanto un pugno; la pietra ove vivono è piuttosto fratturata e piena di piccoli forellini. Dovrebbe dunque esistere nell'interno degli scogli rocciosi una certa mucillaggine, dalla quale la natura fa nascere rane e lumache. E poiché la pietra ha molti forellini, l'aria non può mancare alle lumache ivi prigioniere

Queste "lumache delle rocce" altro non sono che il Dattero di Mare (Lithophaga lithophaga), caratteristico mollusco una volta ricercato per le sue carni, ma oggi intoccabile: visti i gravissimi danni procurati dalla pesca del Dattero di Mare, ne è vietatissima la pesca e la detenzione.
Data poi la lentissima crescita (per raggiungere i 5 cm può impiegare anche 20 anni), è economicamente improponibile anche qualsiasi forma di allevamento.


lunedì 7 maggio 2012

Seebataillon Triest: i marinai che combatterono sul Carso

Tra il 1914 ed il 1915, nel periodo precedente all'entrata in guerra dell'Italia, a Trieste si verificò una situazione quasi surreale.
Dopo la mobilitazione, nel luglio 1914, la “Brigata Trieste” venne in breve tempo dispiegata sul fronte russo; ciò lasciò del tutto sguarnita Trieste, che si ritrovò presidiata da undici (!!!) soldati di leva della difesa territoriale, e da una compagnia della Marina.
La situazione in Italia era però incerta: il confronto tra interventisti e neutralisti era acceso, e quindi il confine con l'Italia (nonchè tutta la costa dalmato-istriana) poteva rivelarsi un pericolosissimo punto debole, nel caso l'Italia fosse scesa in guerra.
L'ammiraglio Alfred von Koudelka, comandante del settore della Marina, ottenne fin dal settembre 1914 i rinforzi necessari ad imbastire la difesa necessaria: 300 uomini, 4 mitragliatrici e 4 cannoni da difesa costiera. Il distaccamento della Marina fu da quel momento chiamato  “battaglione da sbarco Trieste” (“Seebataillon Triest”, o anche "Seebaon Triest"), al comando del capitano di corvetta von Lang.
L'ammiraglio von Koudelka raccolse in seguito le proprie memorie nella autobiografia "Rotta su Trieste"; questo testo è ricco di dettagli ed episodi interessanti.
Nel gennaio 1915, su suggerimento del generale Chavanne, si decise di formare anche a Trieste un battaglione di fucilieri volontari, facendo ricorso ai giovani studenti cittadini. Nacque così l'”i.r. Corpo di giovani fucilieri di Trieste”, inquadrato come 3ª compagnia del “Seebataillon Triest”. Molti studenti triestini così, indossando l'uniforme della Marina, si salvarono dal tritacarne delle trincee della Galizia e, secondo la testimonianza di von Koudelka, “dimostrarono le loro buone qualità: erano intelligenti, ligi al dovere e coraggiosi. Operarono in modo eccellente, soprattutto come addetti alle trasmissioni ed ai servizi di collegamento. […] Un unico professore d'ispirazione ultratedesca, proveniente dalla scuola media formativa, creò dei problemi: egli non gradiva il fatto che gli studenti giungessero a scuola non solo in uniforme ma con tanto di fucile al fianco.
Via via che i rapporti con l'Italia precipitavano, von Koudelka ottenne sempre più truppe e dotazioni per presidiare il futuro secondo fronte; e la zona al suo comando fu estesa dalla costa (da Aurisina a Trieste), fino a Postumia ed al Quieto.
Dopo lo scoppio della guerra con l'Italia, che avvenne il 23 maggio 1915, le occasioni di combattimento per il “Seebataillon Triest” non mancarono, ma furono comunque episodiche: tutto sommato, il suo scopo principale era la difesa costiera, in funzione antisbarco, e per contrastare con duelli d'artiglieria le batterie italiane che sparavano da pontoni ancorati a Punta Sdobba; secondariamente, fungeva da riserva per le unità di fanteria al fronte, impegnate nelle estenuanti battaglie dell'Isonzo.
Curiosa la storia di un pezzo d'artiglieria da 12cm, requisito in Cina nel 1900 in occasione della rivolta dei boxers e che venne piazzato nella riserva di caccia di Duino (probabilmente in prossimità della grotta Fioravante).
Il 24 ottobre 1915 questo cannone da 120 duellò contro tre batterie pesanti italiane, dispiegate nelle lagune, mettendone una fuori uso e danneggiando gravemente una seconda.
Questa batteria d'artiglieria ebbe anche un episodio tragico.
Nel corso di un successivo bombardamento, il personale si ritirò nel rifugio. Le munizioni pronte per l'uso rimasero accatastate tra l'erba secca – purtroppo rivolti proprio verso il rifugio.
Una granata italiana diede fuoco all'erba, i proiettili esplosero e sterminarono quasi l'intera compagnia...
(E' possibile, se non addirittura probabile, che il rifugio di questa postazione fosse la Grotta Fioravante).

Sempre leggendo le memorie dell'ammiraglio von Koudelka, scopriamo che:

  • nel giugno 1915, sul monte Babca (Babiza), sul costone fra Aurisina e Santa Croce, fu installata una stazione di segnalazione (numerosi manufatti militari, costruiti con pietre a secco, sono tutt'oggi visibili sul crinale del monte Babiza). (pag. 204)
  • l'artiglieria italiana faceva grande uso di granate da 305; tuttavia, quando colpivano la roccia spesso non detonavano. I pionieri della Marina A.u. allora le disinnescavano recuperandone l'esplosivo, che poi veniva utilizzato per lo scavo di rifugi in caverna. (pag. 206)
  • sopra la cava orientale fu piazzata una batteria da 9 cm; successivamente, due cannoni a tiro rapido L/44 da 47mm furono piazzati sopra la cava occidentale.
I "marinai che combatterono sul Carso" erano ricordati da un particolare monumento, eretto a Sistiana, proprio in prossimità dell'attuale inizio del Sentiero Rilke. Per inciso, tutti i bunker e le piazzole d'artiglieria di cui si scorgono i resti lungo il sentiero Rilke, furono proprio presidiati da questo particolare corpo di "fanteria di marina".

Anche la loro uniforme era particolare: si trattava della stessa divisa della fanteria, color "feldgrau", ma con il berretto da marinaio... anch'esso color "feldgrau", anziché blu.
E perfino le armi utilizzate erano inusuali: avevano infatti in dotazione il fucile Steyr "Repetiergewehr M14", che poi non era altro che una versione del più comune Gewehr 98 destinata al mercato sudamericano (soprattutto Messico, Cile e Colombia). Allo scoppio della guerra la Steyr aveva a disposizione una grossa dotazione di tali fucili, pronti per l'esportazione, che furono immediatamente requisiti dall'esercito.
La differenza principale rispetto al Gewehr 98 consisteva nel calibro (7mm anziché 7.92mm), e ciò lo rendeva inadatto alla distribuzione alle truppe combattenti in prima linea, poiché avrebbe provocato troppi problemi di logistica. Si decise quindi di distribuirlo alle milizie territoriali e, di conseguenza, anche al Seebataillon Triest.

soldati del Seebatailon Triest (riconoscibili per il berretto da marinaio),
 in una postazione sovrastante Sistiana

soldati del Seebatailon Triest con il caratteristico fucile Steyr "Repetiergewehr M14

mercoledì 24 marzo 2010

Fortezza Hermada 1915-1917


Sabato 27 marzo alle ore 12.00, nell'ambito della manifestazione "Primavera al Castello", presso il Castello di Duino avverrà la presentazione del volume "Fortezza Hermada", di Franco Todero.

L'Hermada costituì, durante la prima guerra mondiale, un insuperabile baluardo, contro il quale si infransero vanamente gli assalti dei soldati italiani.
L'esercito austro-ungarico lo aveva infatti trasformato in una agguerrita e munitissima fortezza, dotata di artiglierie impressionanti per numero e potenza. Gran parte di queste strutture, pur a distanza di un secolo e nonostante la rigogliosa vegetazione, sono tuttora identificabili.

Questo agile volume costituisce una validissima guida storico-escursionistica della zona dove, letteralmente, sotto ad ogni sasso e dietro ad ogni albero è possibile ritrovare piccole ed anonime testimonianze di quei tristi eventi.

venerdì 12 marzo 2010

L'abitato protostorico di Duino Stazione

abitato protostorico di Duino Stazione - ricostruzione ipotetica
(disegno di Guido Zanettini)

Meglio forse sarebbe scrivere "il PRESUNTO abitato protostorico di Duino Stazione", perchè l'area non è mai stata oggetto di scavi archeologici, e quindi non c'è la certezza che si tratti effettivamente di un abitato protostorico... anche se supporlo è ragionevole.
Tuttavia, potrebbe trattarsi di un accampamento temporaneo, o di un recinto per animali, o comunque di una struttura esterna, sussidiaria alla comunità che viveva in uno dei castellieri della zona.
Fino a quando non verranno effettuati studi più approfonditi, sarà impossibile pronunciarsi con certezza.

E' stato scoperto molto recentemente, nel 2004, da Federico Bernardini. E le circostanze di tale scoperta sono l'ennesima dimostrazione che in Carso i rinvenimenti, in genere, sono riservati, oltre che ai fortunati, a chi abbia "occhi per vedere".
Durante un sopralluogo, Federico Bernardini ha rinvenuto dei frammenti di pietra, che ha rinosciuto essere non dei normali "sassi", ma frammenti di una "macina a sella" (*) in trachite dei Colli Euganei.
Certamente, la differenza cromatica avrà aiutato... ma non si può far a meno di ammirare chi, in una pietraia carsica, è in grado di riconoscere in una pietra diversa dalle altre un frammento di macina.
Una volta rinvenuta questa macina, un'ispezione attenta dei dintorni ha portato ad individuare i probabili resti di una cinta in muratura protostorica, eretta con caratteristica tecnica "a sacco".
Anche qui, bisogna ammettere che riconoscere i resti di tali strutture non deve esser stato assolutamente semplice. Pur sapendo bene cosa e dove cercare, io ho personalmente faticato parecchio per riconoscerle.

Se quindi decidete di visitarlo, non aspettatevi di poterlo individuare facilmente ma, soprattutto, non aspettatevi grandi cose... oltre all'innegabile fascino che una struttura del genere conserva nel tempo.

Per raggiungerlo: partendo dalla vecchia stazione ferroviaria di Duino (oggi abbandonata), prendiamo il sentiero che porta in direzione dell'Hermada.
Poco dopo aver superato il sovrapasso ferroviario, là dove il sentiero curva decisamente a sinistra, sulla destra troveremo due sentieri che si dipartono. Sono stati oggetto di rcenti lavori di allargamento e sistemazione, e quindi sono oggi delle vere e proprie strade forestali.
Seguiamo quella più a destra per qualche centinaio di metri, fino a che non vedremo una evidente curva ad "S". Subito dopo dopo la curva, sulla destra, si può esservare un lungo ed evidente affioramento roccioso, pur parzialmente occultato dalla vegetazione.

Visualizza Carso segreto in una mappa di dimensioni maggiori

Sfruttando parte di questo affioramento roccioso è stato eretto un lato del recinto dell'abitato protostorico. Una volta individuatane una parte, seguendola sarà possibile percorrerne (sia pur con qualche difficoltà) tutto il perimetro.

Sembrano i resti di un normale muretto carsico.
Ma, facendo attenzione, si nota la inconsueta tessitura "a sacco".

L'area recintata è lunga complessivamente una quarantina di metri, e nel punto più largo misura una ventina di metri.
abitato protostorico di Duino Stazione - Planimetria del sito
(disegno di Guido Zanettini)

E' possibile riconoscere tre distinti ingressi; è interessante osservere che, attraverso ognuno, passa una traccia di sentiero... segno che, a tutt'oggi, vengono riconosciuti dagli animali come punti di passaggio privilegiato.
 Particolare dell'ingresso di nord-ovest, attraversato da una evidente traccia di sentiero

panoramica, dall'interno dell'abitato, da sud-est ad ovest.
Il muraglione più a destra è quello che delimita l'ingresso sud-est. Al centro della foto, i resti dell'ingresso a sud-ovest.
Alla destra della foto, i resti dell'ingresso di nord-ovest.


Proprio a fianco dell'ingresso di nord-ovest, su una roccia del solcato carsico si trova una evidente coppella.
Naturale o artificiale? Difficile dirlo...

Per approfondire:


(*) La "macina a sella" è uno strumento antico e primitivo, usato per macinare il grano e produrre quindi farina.
E' costituito da due parti: una pietra inferiore, più larga, detta "macina inferiore", ed una più piccola, detta "molinello". Impugnando il molinello con due mani e trascinandolo sulla macina inferiore, venive prodotta la farina.
Le caratteristiche della pietra utilizzata per produrre macina sono essenziali, in quanto deve essere dura e scabrosa.
La trachite dei Colli Euganei era particolarmente adatta, e quindi nella protostoria vennero fatti ampi commerci di questi manufatti. Tant'è che il rinvenimento di macine con queste caratteristiche in vari siti italiani, ed anche in alcuni castellieri del Carso e dell'Istria, è stata tutt'altro che episodica.
Questo genere di manufatti viene fatto risalire al periodo dal VII al V secolo a.C.

domenica 31 gennaio 2010

la leggenda della Grotta Fioravante

La Grotta Fioravante (catasto 411/939VG) è una delle tante cavità scomparse o distrutte in questi ultimi decenni.
Si trovava nell'ex Parco dei Cervi dei Principi di Torre e Tasso, sul fianco di una dolinetta.
Alcuni scavi, condotti dal Moser, furono molto promettenti; tuttavia nel corso della prima guerra mondiale venne pesantemente modificata a scopi militari, ed al termine del conflitto era già pesantemente compromessa. Fu definitivamente distrutta negli anni '50, allorchè venne utilizzata come discarica dai militari del Governo Militare Alleato che occupavano il Castello di Duino; pare che ad un certo punto la volta crollò, e della grotta non rimase più traccia.

Al di là del suo interesse paleontologico (ahimé, non più verificabile), l'aspetto più curioso è quello del nome: Grotta Fioravante.
Si richiama all'eroe Fioravante, protagonista del romanzo medievale "I Reali di Francia", di Andrea da Barberino (più noto per esser l'autore de Il Guerrin Meschino). "I Reali di Francia" fu popolare per secoli, fino al XIX secolo.
L'eroe Fioravante venne rinchiuso dal re saraceno Balante in una prigione sotterranea. Ma con l'aiuto di Drusolina, figlia del re Balante, Fioravante riuscì a fuggire e, attraverso un sotterraneo lungo cinque miglia, a raggiungere il suo castello di Monfalcone.
Durante la fuga nel sotterraneo, a metà strada Fioravante trovò una statua bronzea di Carlo Magno che impugnava una spada, destinata al miglior cavaliere, e Fioravante ovviamente se ne impossessò.
Fu facile per il popolino identificare il vecchio castello di Duino con quello del re Balante, il castello di Monfalcone con l'omonima rocca, e la prigione di Fioravante con quella misteriosa grotta... che si guadagnò così il prestigioso nome.
Secondo la leggenda la favolosa spada di Fioravante è adesso sepolta sotto il vecchio castello di Duino; generazioni di cercatori di tesori non sono riusciti però a trovarla, come pure infruttuosa è stata la ricerca della galleria che collegherebbe Duino con Monfalcone.

Per chi volesse, "I Reali di Francia" è disponibile liberamente sul sito Liberliber.

mercoledì 23 dicembre 2009

il Mitreo di Duino

In prossimità di Duino si trova l'unico tempio mitriaico ipogeo rinvenuto in Europa, e probabilmente si tratta anche di uno dei più integri e completi.
Si trova in una caverna (catasto 1255/4204 VG  ) che venne scoperta nel 1965 da alcuni speleologi della Commissione Grotte Eugenio Boegan.
All’epoca era quasi completamente ostruita da detriti e pietrame; e poiché nei primi lavori di disostruzione furono rinvenuti dei frammenti di lapidi ed altro materiale di epoca romana, fu immediatamente allertata la Sovrintendenza.
Nel corso degli scavi successivamente eseguiti, oltre ai frammenti di lapidi e steli furono scoperti un ricco complesso di monete che andava dal II al IV secolo, lucerne e vasetti di ceramica nord-italica, frammenti di anfore, di tegole e tavelle.
L’insieme dei reperti permise di determinare che si trattava di un tempietto ipogeo dedicato al Dio Mitra, completo di un’ara sacrificale e di due panche longitudinali in pietra, oltre ad una serie di altre are e steli.
Furono realizzati dei calchi delle steli e delle are votive, ed il tempietto fu in parte ricostruito; oggi è quindi visitabile, sia pur con qualche difficoltà…
Trattandosi di un unicum storico e archeologico, ci si aspetterebbe una certa valorizzazione dello stesso, anche turistica… se invece volete visitarlo, armatevi di scarponi e gambe in spalla!
Per raggiungerlo: partendo dal parcheggio dell’ex mobilificio Arcobaleno, si segue un sentiero che si addentra per pochi metri, per sfociare in una larga carrareccia che seguiremo sulla sinistra.
Proseguiremo sulla carrareccia fino a raggiungere la linea ferroviaria, e poi costeggiandola e superando un ex casello (oggi trasformato in abitazione privata), e seguendo ancora per un po' a fianco della linea ferroviaria, fino a dove la carrareccia svolterà decisamente a destra per infilarsi in un sottopasso ferroviario.
Proprio in questo punto, osservando attentamente, troveremo un sentiero sulla sinistra (in realtà, poco più di una traccia) che, dopo poche decine di metri, ci porterà all’ingresso della recinzione che delimita il mitreo.

Visualizza Carso segreto in una mappa di dimensioni maggiori

Il tempio venne realizzato probabilmente nella seconda metà del I secolo d.C., e fu frequentato fino al IV secolo allorquando, con la diffusione del cristianesimo, in seguito agli Editti di Teodosio del 391 d.C. tutti i culti pagani furono banditi e si verificarono ovunque episodi di danneggiamento o distruzione degli antichi templi. E’ a quest’epoca quindi che possiamo far risalire la devastazione del mitreo, con un autodafé are e steli furono infrante e la grotta venne colmata di detriti…

Il tempio originario era un po’ diverso da come ci si presenta l’attuale, pur ottima, ricostruzione. La volta della grotta era più chiusa (in parte fu fatta brillare durante i lavori di sgombero, in quanto pericolante; in tal modo fu allargato l’accesso e tutta la cavità fu resa più luminosa). Inoltre, all’interno della grotta si trovava originariamente una piccola costruzione, con un tetto in coppi a due falde che copriva l’altare e le due panche.

Il culto di Mitra, o Mitraismo, ebbe la sua origine in medio oriente, e a partire dal I secolo d.C.
Si diffuse nell’impero romano per opera di legionari e mercanti (non è quindi un caso che in tale zona fosse attestata la XIII legione “Gemina”, di origine appunto orientale); tale diffusione avvenne quindi contemporaneamente (ed in “concorrenza”) al cristianesimo, e fu da quest’ultimo perseguitato.
Tuttavia, il cristianesimo deve molto al mitraismo: moltissimi rituali cristiani sono, in realtà, retaggi del mitraismo, successivamente sincretizzati nel cristianesimo.
I mitrei si trovavano quindi quasi esclusivamente in prossimità di grandi città portuali e di luoghi di guarigione.

Era un culto di tipo misterico, ovvero riservato ad iniziati, di sesso maschile, e che avevano superato delle prove (oggidì, non ci è dato di sapere in cosa consistessero queste prove).
Quindi, abbiamo poche e frammentarie informazioni sul culto e la sua ritualità – e queste poche informazioni ci arrivano dalle critiche degli antichi scrittori cristiani, o interpretando le steli rinvenute nei mitrei.
La celebrazione avveniva in ambienti sotterranei, artificiali o, più raramente, naturali; nel rituale avevano parte alcuni animali e personaggi che rappresentavano anche i sette gradi degli iniziati: il corvo (corax), un essere misterioso (gryphus), il soldato (miles), il leone (leo), il persiano (perses), il messaggero del sole (heliodromos) e infine il pater.
Nel Mitraismo l'acqua svolgeva un ruolo purificatorio importante, e spesso i mitrei sorgevano in prossimità di una sorgente naturale o artificiale - e poco distante dal mitreo di Duino troviamo le Foci del Timavo..
I mitrei erano diffusi in tutto l'impero romano; e tutt'oggi, resti di mitrei in muratura sono visibili a Roma, Napoli ed Ostia; tuttavia, come già detto, il mitreo di Duino è l'unico ricavato in una cavità ipogea. 


La stele principale, sulla quale compare la dedica:
D(eo) I(nvicto) M (Mithrae) AV (lus) TULLIVS PAVMNIANVS PRO SAL (ute) ET FRATER SVOR (um) TVLLI SECUNDI ET TVLLI SEVERINI
“All’invitto Dio Mitra Tullio Paumniano offre per la salvezza sua e dei suoi fratelli Tullio Secondo e Tullio Severino”
Oltre alla dedica, si possono individuare sul bassorilievo i seguenti elementi: il Sole, la Luna, Cautes con la fiaccola abbassata, Cautopates con fiaccola alzata, Mitra con il berretto frigio, il toro sacrificato con la coda terminante in spiga, lo scorpione, il serpente, il corvo, la roccia della grotta e gli Offerenti


L'interno del Mitreo ricostruito
In fondo, la stele principale; al fianco, le due panche in pietra su cui sedevano gli officianti; al centro, la "roccia della grotta" che fungeva da altare.

Per approfondire:
  • Dante Cannarella: "Guida del Carso triestino – Preistoria – Storia – Natura", Edizioni Italo Svevo – Trieste 1975
  • Dante Cannarella, in “Atti della Società per la Preistoria e Protostoria” della Regione Friuli Venezia Giulia vol. III, Arti Grafiche Pacini Mariotti – Pisa 1979
  • Donata Degrassi, "Le strade di Aquileia – Nuovi itinerari tra Friuli e Golfo Adriatico", Libreria Editrice Goriziana - Gorizia 2000

giovedì 10 settembre 2009

La leggenda delle due sorelle

Tutti conoscono la leggenda della Dama Bianca, legata al bianco scoglio sotto al castello di Duino; pochi invece conoscono la suggestiva (ed altrettanto triste) leggenda delle due sorelle, legata a due scogli gemelli che si trovano sulla costa rocciosa, tra Canovella de' Zoppoli e la Baia di Sistiana.

Secondo questa leggenda due sorelle, che percorrevano il sentiero lungo la costa, un giorno di tempesta sarebbero state fatte precipitare in mare da un'onda gigantesca; e quindi si sarebbero trasformate nella caratteristica coppia di scogli.

La leggenda fu narrata in una poesia dalla Principessa Teresa Maria Beatrice della Torre-Hofer-Valsassina (1817-1893), castellana di Duino. Riscopriamola quindi nei suoi versi:

Dell'alta costa - al piè giacenti,
In nivea tinta, - qual per incanto,
Quasi fantasmi - dal mar sporgenti,
Vedi due massi - l'un l'altro accanto
Sbattuti e rosi - dall'onde felle;
Sono due scogli - e fur sorelle.

Antica voce - narra, che a sera
Ognor tornando, - due giovanette
Lievi moveano - sulla riviera,
Il mar fissando - mute e solette.
Eran sì bianche - eran sì belle!
Né mai disgiunte; - eran sorelle.

Qual fu la speme, - quale il desio
Sempre deluso - che in lor ardea?
Che avvinte insieme - su quel pendio
All'orlo estremo - ahi, le traea?
Noto al mar forse - ed alle stelle
Era il mistero - delle sorelle.

Ma un dì che furo - all'irta sponda,
Sempre aspettando - chi non venia,
Un nembo surse - e giù nell'onda
Insiem travolte - se le rapia!
Giacquero immote - le poverelle
Unite sempre - perché sorelle.

Ed ora, quando - il firmamento
Pallido fassi - e il sol s'adima,
Nel mar tuffandosi - già sonnolento,
Delle due rupi - sull'ardua cima
Brillan cerulee - doppie fiammelle;
Sono gli spiriti - delle sorelle.

Deposto il remo - il pio nocchiero,
Con gli occhi fisi - e ai lumi intenti,
Volge pietoso - il suo pensiero
Alla memoria - delle innocenti,
Pace pregando - alle sorelle;
In vita e in morte - sempre gemelle.