lunedì 21 aprile 2014

Sull'origine del toponimo "Canovella de' Zoppoli"

Nel post su Canovella de' Zoppoli avevo scritto che il toponimo "Canovella" non era spiegato... ed effettivamente, un po' come tutti i toponimi di questa zona, la relativa spiegazione etimologica va sempre presa con le pinze, indipendentemente dall'autorevolezza di chi la propone.
Ogni toponimo si presta infatti a diverse ipotesi e speculazioni etimologiche, facendolo derivare dai più svariati termini in differenti lingue... e quando accade, come in Carso, che a vario titolo siano state usate lingue diverse (italiano, sloveno, tedesco... restando ai tempi più recenti. Ma, andando indietro nel tempo, anche ladino, veneto, latino, volgare, ed altre lingue e dialetti di ceppo italico, germanico e slavo, nonché, ancor prima, venetico, illirico, ed altre lingue prelatine) allora ogni ipotesi toponimica corre il rischio di sfociare nell'illazione. E spesso, alcune spiegazioni che vengono date per certe, derivano la loro autorevolezza solo dalla granitica certezza con cui sono state affermate. Invece, sono rarissimi i documenti che ci permettano di dare ragionevolmente per certa qualsiasi spiegazione toponomastica, e quindi nel formularle il condizionale dovrebbe essere sempre d'obbligo.

Questa doverosa premessa per spiegare che un'ipotesi sull'origine del nome "Canovella" esiste, anche se non attendibilissima.

Il suffisso "de' Zoppoli" è recentissimo, risalendo alla prima metà del XX secolo, e giustamente recuperato per dare memoria alla storica imbarcazione monossile che, tradizionalmente, veniva usata in questo microscopico porticciolo.

Il nome "Canovella" invece è molto più antico, ed in particolare viene più volte citato in alcune carte topografiche del XVI e XVII secolo. (1)
Consultando queste carte, si scopre che "Canovella" non indicava solo la località oggi nota con tale nome, ma più località diverse nella stessa zona, o addirittura tutta la zona costiera tra l'attuale Canovella d' Zoppoli e Sistiana.
E compare in diverse forme: Canouela, Canouello de Sotto, Canouello Grande, Canouello Picciol, Conouella, Conouello Grande, Conouello Piccolo; ma anche "Contrata de Conouella" e "Territorio de Canouello".
Tito Ubaldini (1) fa derivare Canovella da canova o canava, "cella vinaria"  (2); e questo perché questa zona della costa era all'epoca coltivata a vigne, su appositi pastini, e quindi la zona si sarebbe ben meritata l'appellativo di "cantinetta".
Peraltro, la coltivazione della vite era qui diffusa fino a pochi decenni fa, ed oggi sopravvive solo in pochi tratti, essendo per il resto i terreni rimasti abbandonati ed incolti; anche i pastini sono ancora esistenti, sebbene non ne venga più curata la manutenzione, e ciò provoca non pochi problemi di dissesto idrogeologico.
E' plausibile questa spiegazione etimologica? Sicuramente si.
E' sicura? Certamente no, poiché non esistono document in merito che ce lo dimostrino esplicitamente.
Prendiamola quindi come una spiegazione plausibile, probabile e ragionevole: ma non dimentichiamo di accettarla solo con spirito critico, e sempre pronti a sentire doverosamente anche qualsiasi altra spiegazione.

Fonti:

(1) Tito Ubaldini - Il "Territorium Tergestinum" in cinque carte topografiche del XVI e XVII secolo - Archeografo Triestino, serie IV, vol. XLVII, Trieste, 1987
(2) Du Cange - "Glossarium mediae et infimae latinitatis" - Parisiis, 1842

domenica 20 aprile 2014

La chiesa di Santa Maria di Siaris


Alle pendici del Monte Carso, su un versante della Val Rosandra, sottostante al Cippo Comici, sorge un'antica chiesetta: Santa Maria di Siaris.
Fu edificata nel XIII sec., probabilmente sulle rovine di un'antica torre, e secondo la leggenda fu costruita per volere di Carlo Magno, sepolto in una grotta nei dintorni.
Originariamente doveva comprendere anche un piccolo monastero (i "monaci di Siaris", detti anche - comprensibilmente - "monaci sulle rocce", compaiono più volte in documenti dei secoli successivi).
Nel corso del tempo la chiesetta fu sicuramente più volte restaurata o anche completamente riedificata; il restauro più importante probabilmente è quello del 1647 (l'anno è riportato sull'architrave). Ma successivamente, fino alla fine dell'800, finì in abbandono, e la struttura attuale è principalmente frutto di vari lavori compiuti nel corso del XX secolo (ad esempio, nell'immagine più antica disponibile, risalente al 1698, la chiesa sembra esser dotata di un campanile, oggi scomparso)

Nel 1300 era prevista come meta di pellegrinaggio per i bestemmiatori, che dovevano compiere per penitenza il cammino di 12 chilometri a piedi nudi (chiunque percorra oggi gli impervi sentieri per raggiungerla si renderà conto di quanto questa penitenza fosse pesante...)

da "Historia antica, e moderna, sacra e profana, della città di Trieste"
di Ireneo della Croce;
la più antica rappresentazione della Chiesa di Santa Maria di Siaris (1698)

Sul nome "Siaris":

Non esistono etimologie convincenti per il toponimo "Siaris": secondo Cuscito deriva dalla voce ladina "serra" (sbarramento, monte, crinale), ma si tratta appunto di un'ipotesi poco convincente.
Interessante il fatto che il nome "Siaris" sia rimasto pressoché immutato nel corso dei secoli: nel 1330 viene citato più volte nella forma "Seris", che nel corso del '400 muta in "Siaris", forma definitiva conservata fino ad oggi.



Oggi la chiesa è aperta e visitabile solo in occasione delle (rare) messe che vi vengono celebrate in particolari occasioni; anche la sola visita esterna la rende però una degnissima meta per una bella escursione in Val Rosandra.

Riferimenti:

Ireneo della Croce: "Historia antica, e moderna, sacra e profana, della città di Trieste" - 1698
Sito Triestestoria

lunedì 7 aprile 2014

la postazione del mortaio Skoda da 38cm alle pendici del Monte Hermada

Quasi due anni fa ho scritto un post monografico sul Mortaio Skoda da 38cm, promettendo vagamente una "seconda puntata".
Se ho atteso tanto, è perché speravo che durante l'inverno, con la vegetazione più rada, sarebbe stato possibile scattare foto migliori di una mia piccola scoperta... ma purtroppo ciò non è accaduto.

Procediamo con ordine: su tutto il monte Hermada si trovano i resti di moltissime fortificazioni e postazioni di artiglieria Austro-Ungarica. Resti di trincee, di bunker, di osservatori, di impianti militari si contano a centinaia, ed è impossibile camminare senza letteralmente inciampare in qualche testimonianza della prima guerra mondiale.
La "fortezza Hermada" fu lo scoglio su cui si infranse l'esercito italiano, ormai in vista di Trieste.
E, in termini di artiglieria, soprattutto nel 1917 fu munitissimo, con uno spiegamento di batterie di grosso calibro imponente: senz'altro una delle maggiori - se non la maggiore in assoluto - di tutta la prima guerra mondiale.

mappa con lo spiegamento delle postazioni di artiglieria
nella zona del Monte Hermada nel 1917
I simboli non rappresentano singole bocche da fuoco, ma batterie:
ciascuna batteria composta da più bocche da fuoco
(il numero di bocche da fuoco che componeva una batteria dipendeva  dal calibro)
tratto da: "L'Ultima Guerra dell'Austria-Ungheria"

Alle pendici del Monte Hermada, ad ovest di Ceroglie, si trovano dei resti di fortificazioni abbastanza singolari, che fino adesso erano vagamente riconosciute come "postazioni di artiglieria di grosso calibro" (1)
Singolari perché sono costituite da un grosso muro paraschegge semicircolare, che protegge un ampio spiazzo interno, all'interno del quale si trova uno scavo quadrangolare molto regolare e curato.
Altri muri paraschegge, costruiti con grosse pietre legate con calcestruzzo, si trovano nei dintorni.
Il complesso non acquista una sua logica, fino a che non lo si riconosca per quello che realmente è: una postazione completa per un mortaio Skoda da 38 cm e per tutti i relativi mezzi e carriaggi di allestimento.

particolare del carro porta-munizioni a servizio del mortaio Skoda da 38
Ben evidente il carrello della dacauville, usata per il trasporto dei proietti




Tutta l'area è imboschita, e quindi è impossibile scattare delle foto decenti che rendano l'idea delle costruzioni; tuttavia, in un sopralluogo si possono facilmente identificare molte caratteristiche strutture:

  • la postazione vera e propria è costruita al margine di una dolina, efficacemente protetta da imponenti muri di calcestruzzo e pietrame
  • in mezzo alla postazione, è evidentissimo uno scavo quadrangolare, con pareti consolidate in pietra, nel quale veniva posto il cassone che costituiva il basamento vero e proprio del mortaio
  • a fianco della postazione, due piccoli bunker scoperti, con ingresso a meandro; il loro scopo non era tanto offrire protezione in caso di bombardamento, quando servire da rifugio ai serventi al momento dello sparo, affinché non fossero assordati dallo stesso. Probabilmente, erano sommariamente coperti con lamiera o con altra copertura, oggi scomparsa
  • poco distante, un'altra massiccia costruzione, a "U" allungata, parte in pietrame a secco e parte in calcestruzzo.
    Si tratta del riparo per il carro porta-munizioni; è ben evidente anche il passaggio (realizzato in calcestruzzo) per la decauville di servizio (vedi foto sopra)
    Sono visibili gli scassi per una travatura (oggi scomparsa), che sosteneva una qualche copertura di protezione.
  • tra il riparo del carro porta-munizioni e la postazione vera e propria, è visibilissima la massicciata sulla quale era stata posta la decauville di servizio, che conduce in prossimità della piazzola di tiro
  • nella medesima dolina, poco distante, si intravede l'accesso di un bunker, ormai interrato, ma che sarebbe interessante disostruire.
  • nei dintorni si trovano diversi altri massicci muri paraschegge, edificati sempre in pietrame a secco e talvolta consolidati da calcestruzzo: si trattava di protezioni per gli altri veicoli a servizio del mortaio.
L'aspetto più sorprendente di questa postazione è il suo eccezionale stato di conservazione: a parte pochi cedimenti dei muri di pietrame, risulta praticamente intatta; e verrebbe da pensare che - in teoria - con pochi giorni di lavoro potrebbe tornare ad ospitare il possente mortaio da 38 per cui era stata realizzata.

Da considerare anche il fatto che con tutta probabilità di tratta dell'unica postazione del genere sopravvissuta oggi in tutta Europa.

rappresentazione del mortaio Skoda da 380 in batteria.
E' ben rappresentato il cassone quadrangolare che ne costituiva
il basamento, e che veniva completamente interrato.
Proprio la caratteristica presenza dello scavo per questo basamento
indica inequivocabilmente che la postazione sull'Hermada ha ospitato questo pezzo 

Dove si trova esattamente?

Raggiungerla è molto semplice: basta deviare di pochi metri dalla carrabile che, da Ceroglie, conduce sulla vetta dell'Hermada (la stessa che, durante la "guerra fredda", era percorsa quotidianamente dalle "Campagnole" dell'Esercito Italiano, per raggiungere una baracca/osservatorio)


Visualizza Carso segreto in una mappa di dimensioni maggiori

Alcune proposte

La più ovvia è che il luogo, adesso che si è compreso cosa rappresenta, diventa implicitamente uno dei più interessanti da visitare sul Monte Hermada (ma forse anche il più interessante in assoluto). Merita quindi di essere una "meta fissa" di qualsiasi escursione storica nella zona, e di essere incluso in qualsiasi circuito di visite che voglia esser realizzato.
Ad esempio, una "meta fissa" attuale è costituita dai resti poco distanti di una postazione di un mortaio Skoda da 305, il "fratellino minore" di quello da 380.
Di questa postazione del mortaio da 305, quasi tutto è lasciato alla fantasia ed all'intuito del visitatore, perché ben poco è rimasto di effettivamente visibile, e quel poco è ben occultato da una rigogliosa vegetazione.
Non vi sono quindi confronti (né in termini di "leggibilità" delle strutture, né di interesse storico) con questa postazione del mortaio da 380.

Ma meriterebbe di esser adeguatamente valorizzato, tutelato e conservato. Si tratta probabilmente dell'unico manufatto del genere oggi esistente, e quindi anche il suo valore storico, di "archeologia di industria militare" è inestimabile.
E' sopravvissuto in maniera sorprendente a quasi un secolo di abbandono ed incuria, ma qualche sia pur minimo lavoretto di consolidamento e restauro sarebbe urgente ed importante.
La più urgente è quella di una radicale pulizia dalla vegetazione infestante: non tanto perché la vegetazione ne pregiudica molto la visibilità, ma anche perché ne mina la struttura (alcuni cedimenti parziali sono già evidenti).
La pulizia permetterebbe poi di eseguire un rilievo preciso della zona, importante sia al fine di pianificare ogni successiva attività di restauro, ma anche a fini storici e documentaristici.
Sarebbero poi auspicabili altri lavori di consolidamento, tesi a mettere in sicurezza e conservare le strutture.  
Nel mondo dei sogni oggi irrealizzabili, l'ideale sarebbe porvi una replica del mortaio Skoda da 380 e dei relativi mezzi di servizio, rendendolo uno scenario unico per rievocazioni e per il "museo all'aperto" dell'Hermada.
Più realisticamente, in seguito alla pulizia ed al rilievo preciso della zona, sarebbe interessante la realizzazione di un diorama in scala (come base di partenza, esiste anche un kit in resina)

Di seguito, un po' di foto delle condizioni attuali della struttura; ma consiglio di recarcisi di persona perché, nonostante la vegetazione, la struttura è interessantissima e ben meritevole di una visita.

il bunker con l'ingresso a meandro, visto dall'alto
l'ingresso a meandro
la piazzola di tiro
sulla destra, il massiccio muro paraschegge
i resti dello scavo quadrangolare che ospitava il basamento del mortaio

il muro paraschegge che circonda la piazzola
come dappertutto sull'Hermada, anche qui è facile rinvenire grosse schegge,
a testimonianza dei massicci bombardamenti subiti dalla zona
la postazione, anche se imponente, si riesce a malapena ad intuire in mezzo alla vegetazione

l'ingresso del bunker interrato, poco distante
protezione del carro porta-munizioni: questo è il passaggio per la decauville di servizio

la struttura di protezione del carro porta-munizioni vista dall'interno
dettaglio del passaggio della dacauville
altre strutture paraschegge

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(1) così è descritta nella mappa allegata a "Ermada", di Dario Marini De Canedolo, Gruppo Speleologico Flondar, 2007