giovedì 29 gennaio 2009

il tesoro di Santa Croce

In "Storia cronografica di Trieste", compilata alla fine del '600 da Vincenzo Scussa, troviamo una notizia curiosa.
Il 23 giugno 1642 "un putto della villa di Santa Croce, territorio e giurisdizione di Trieste, nella strada che conduce a santo Giovanni di Duino, seguitando una fuina, che si nascose in un mucchio di sassi, scavando quelli, ritrovò un deposito di denari, che ascendevano a ducati trecento. Credevasi però fosse la somma maggiore, non detta dalli contadini parenti per paura non gli fossero levati. Il soldo era: scudi, ongari, zecchini, ducatoni e doble. Non sia meraviglia di questo soldo, poichè anni dieci incirca d'innanzi arrivò Galera da Venezia a Capodistria con soldo per pagare soldatesca, ed altri officianti benemeriti, dato il caso che in quella città si celebravano solenni nozze, alle quali venne invitato il sopracomito di galera, e tutti gli altri comandanti. Avvedutisi li galeotti senza superiorità, fatta congiura tra loro, si scostarono dal lido e liberatisi l'un l'altro da'ceppi, postisi al remo, sicuri che niuno li seguitasse, investirono in terra la galera di qua di Grignano nelle arene di santo Canciano, e caricatisi di soldi li galeotti, se ne fuggirono per la montagna, parte de'quali stanchi e deboli, asconderono il soldo per le vigne, che poi trovossi, e credesi il ritrovato dal putto, come sopra, esser stato danaro di questo numero riposto tra quella petraglia con animo, chi sa? chi può dire? di ritornar a levarlo"

domenica 25 gennaio 2009

il fantomatico castelliere di Jurkovac

Avevo citato che, tra gli innumerevoli scritti di Richard Francis Burton, vi è anche un articolo del 1876: `The Castelliere of Jurkovac’ (Athenaeum,1876-11-04, p. 598)

Questo articolo merita di esser riportato:

Trieste, October 16, 1876
Among the many strangers that hurry through Trieste, there are a few archeologists who may take an interest in the Castelliere, or proto-historic dwelling-places of the Kunstenland and the peninsula of Histria. My friend, Dr. (LL.D.) Antonio Scampicchio, of Albona, and I have lately surveyed one of these most interesting sites, lying within a few yards of the Nabresina Station, where the Sud-Bahn, or Great Southern, branches off to Italy. Its saucers-shaped outline, with a bush-grown rock protruding from the centre, and the debris of fawn-coloured nummulitic limestone disposed at the natural angle, must for years have attracted every observing eye; and yet, curious to say, it is not noticed either in the list or in the map of the late Dr. Kandler, a learned antiquary who did much to illustrate the remains of his fatherland.
The traveller had better take a carriage at Trieste and drive (an hour and half) to Nabresina (the Roman Aurisina?) - the village, not the station - where he will find the innkeeper, Giuseppe Tanei, an adeguate guide. Ascending the slope he will note that the diameter of the saucer's base is about 120 feet, whilst the oval enceinte measures 33 from north to south and 46 from east to west (Cadrastal Map of Austria). Amongst the stones which represent the outer wall, he will pick up frangments of broken pottery, thicker, coarser, and heavier than the usual yield of such places. I have collected about half-a-dozen different types, and Col. A. Lane Fox is preparing to have them analyzed. The interior has evidently been divided into two compartments by a party-wall, intended probably to separate the cattle from their owners. Yhe characteristic black earth, the decay of animal and vegetable matter, has been removed or buried by the furious Bora winds which sweep this section of the "Carso", or limestone plateau, extendig from north-north-west to south-east of Trieste; but the cotti are to be met in the crevices of the highest rock.
The site is known to the people as the Grad, or Castello di Jurkovac, the district extending between it and the sea; it lies to the north-west of the lands called Na-Jugelcah (pronounced Yugeltsakh), meaning in the Wend or Slovene dialect, "upon the southern (Jug) slopes". I hope presently to publish a translation of Slovene proverbs and songs collected by the learned professor, W. Urbas, and to introduce this charmingly naive branch of thhe great Slav family to the notice of the English public.

Il castelliere di Jurkovac doveva proprio aver colpito Burton, perchè ne parla anche in un altro scritto:

At an easy walk from the station, and lying below the white-steepled village San Pelai (Pelagius), lies the protohistoric ruin, the Castelliere of Jurkovac, which I described in yhe Athenaeum (Nov. 4, 1876). Seen from afar, it is a giant ring-fence of dry stone, a truncated cone of dove-coloured calcaire, roughly-piled blocks that have now assumed the natural angle of the hill-side. Around the central head of rock an industrious peasant is planting onions; and the whole is surrounded by Carso vegetation - elm scrub, mountain ash (frassino), nut bushes, and dwarf oak, slowly growing, but hard and durable. Here and there we note the wild Marasca cherry which is the basis of Maraschino. The ruin is worth visiting; it shows the usual remains of rude pottery, the "black malm" produced by animal and vegetable decay, and the double division of the area; this, I suppose, was intended to separate bipeds and their quadrupeds. Of the thousand thousand English-men who have passed through Nabresina, how many have noticed its Castelliere?

Quale sarà questo misterioso "castelliere di Jurkovac"?

Vediamo di fare un po' il punto:
  • si trova a "poche yarde" dalla stazione di Aurisina; una yarda è meno di un metro (precisamente, 91 cm), quindi deve trovarsi proprio in prossimità della stazione
  • alla base misura 120 piedi, ovvero circa 36 metri
  • la cerchia ovale misura 33 piedi (10 metri) in direzione nord-sud e 46 piedi (14 metri) in direzione est-ovest
  • si trova "ai piedi di San Pelagio"
  • si trova a nordovest della zona denominata "Na-Jugelcah"; il che non ci è di aiuto, perchè oggi questo toponimo sembra esser sconosciuto. Nè è di alcun aiuto il toponimo "Grad", in quanto questo sembra esser utilizzato in Carso ovunque vi sia un castelliere (io ne ho contati almeno mezza dossina...).
    Per quanto riguarda infine il toponimo "Jurkovac", esiste una ex-cava Jurcovac in prossimità dei castellieri di Slivia.
Il problema è curioso, perchè in quella zona non mi risulta nessun castelliere...

Quali sono le possibilità?
  1. Si tratta di uno dei due castellieri di Slivia
    Improbabile, se non impossibile: sono troppo lontani (altro che "poche yarde" dalla stazione!), e sono entrambi molto più grandi
  2. Si tratta del castelliere di Samatorza
    Possibile, da verificare; la posizione non è propriamente "ai piedi di San Pelagio" (il castelliere di Samatorza si trova in prossimità della Grotta Azzurra), ma indubbiamente non è lontano dalla stazione.
    Non ho mai visto il castelliere di Samatorza, nè ho visto alcun rilievo. L'unica nota che ho trovato in rete (sul sito arcipelagoadriatico) è la seguente: "su questo castelliere esistono dubbi di autenticità. L'assenza di strati di reperti archeologici, nonché il fatto che questa zona venne ampiamente utilizzata dagli austriaci, lasciano perplessità se si tratti davvero di un castelliere carsico."
    Interessante: se si dovesse trovare conferma che è questo il castelliere visto dal Burton, si avrebbe la prova che si tratta effettivamente di un castelliere - visto che il Burton lo visitò ben prima che fosse rimaneggiato dai militari austriaci, e vi rinvenne dei reperti.
  3. Si trova da qualche parte nel triangolo Slivia-San Pelagio-Stazione
    Possibile, e da verificare; la zona è ricca di doline, ma non di rilievi, ed è stata pesantemente modificata dall'esercito austriaco nella prima guerra mondiale (era nelle immediate retrovie dell'Hermada); inoltre la zona adesso è coperta da una folta vegetazione, che non la rende molto "leggibile".
    L'ho in parte ispezionata, nella parte più vicina alla strada provinciale che va dalla stazione a San Pelagio, perchè vi erano (sulla carta) due rilievi che parevano promettenti; ma non hanno mantenuto le loro promesse (uno dei due però è molto panoramico, e conserva tracce di interessanti impianti militari risalenti alle due guerre mondiali: probabilmente, postazioni contraeree a protezione della stazione ferroviaria).
  4. Si trova da qualche parte a destra della strada provinciale che va dalla stazione a San Pelagio
    Questa ipotesi comprende, in una certa misura, la numero 2. Bisogna considerare che in questa zona ci sono diversi altri rilievi che avrebbero potuto ospitare castellieri... ed altre ce n'erano. Perchè, purtroppo, sono stati "mangiati" da delle cave. Se così fosse, del nostro "castelliere di Jurcovac" non vi sarebbe più traccia.

E la zona (arricchita da qualche mia annotazione) è questa:


Visualizzazione ingrandita della mappa

Ogni segnalazione e collaborazione in merito sarà gradita.

venerdì 23 gennaio 2009

Richard Burton ed i castellieri

No, non sto parlando dell'attore Richard Burton, ma dell'esploratore britannico Richard Francis Burton (Torquay, 19 marzo 1821 – Trieste, 19 ottobre 1890).
Dopo una vita avventurosa, spesa in tutti gli angoli dell'Impero Britannico (sulla quale sorvolerò, altrimenti dovrei scriverci una biografia in tre volumi), entrò infine nel mondo della diplomazia ed approdò, in veste di console, a Trieste.
Qui continuò a dedicarsi alle sue ricerce antropologiche ed archeologiche, oltre che ad una copiosa attività letteraria (pochi sanno che, ad esempio, la traduzione de "Le mille e una notte" è opera sua... e pare che tale traduzione fu scritta in un suo soggiorno a Opicina).
Studiò in particolare i castellieri del Carso e dell'Istria (a lui va il merito di esser stato il primo ad attribuire i castellieri all'epoca protostorica), e dedicò alle nostre zone molte pubblicazioni, alcune delle quali disponibili anche in rete:

1874 `Notes on the Castellieri or Prehistoric Ruins of the Istrian Peninsula’ (Anthropologia No. 3 (October 1874), pp. 376-404)

1876 `The Castelliere of Jurkovac’ (Athenaeum,1876-11-04, p. 598)

1881 'Thermae of Monfalcone (not titled `Curious Cures’ contrary to Penzer/Casada) (The Field, 12 November, pp. 704-5; 17 December, p. 87; and 24 December 1881, p. 926.)

Fu un personaggio culturalmente "a tutto tondo", come solo in quel periodo ce ne furono; e scrisse una mole di opere sugli argomenti più disparati. Gran parte delle sue opere sono oggi disponibili in rete, nel completissimo sito burtoniana.org

lunedì 19 gennaio 2009

La Macchina del Tempo di Pian del Grisa

Nel 2004 i Pompieri Volontari di Trieste, nell’ambito dell’operazione "Bosco Pulito", hanno smantellato la cosiddetta "macchina del tempo" che si trovava nel bosco di Pian del Grisa. Si trattava di una strana ed inquietante struttura, costituita da tubi di ponteggio, rottami di lavatrici, pannelli, lamiere varie e cemento. Al momento dello smantellamento era ormai fatiscente, ma ancora imponente (tanto che causò non poche difficoltà ai volontari che si occuparono di demolirla, e che quantificarono in oltre 15 quintali il peso del solo metallo).

Due anni prima gli Amici della Terra, nel corso di un'analogo iniziativa di pulizia, avevano già scoperto e segnalato la struttura, e nei giorni successivi questa fu messa in relazione con i resti di alcuni riti satanici svolti nei dintorni. ("Il Piccolo", 24/9/2002)


Era stata costruita da uno strano personaggio, detto "Jimmy l’americano", una sorta di barbone, che era noto a Trieste negli anni ’80 (periodo al quale risale la costruzione della "macchina del tempo"). "Jimmy l’americano" era un uomo di colore (oggi qualcuno lo definirebbe “abbronzato”) che si notava per l’altissima statura e per l’andatura dinoccolata; girava sempre con un borsello di pelle nera, cucito a mano, in forma di marsupio che teneva però a tracolla; e capitava di incontrarlo sul “tram de Opina”, oppure a piedi lungo il percorso Trieste-Opicina. Giravano molte voci su questo singolare personaggio: che fosse un ex militare americano rimasto a Trieste dopo la fine del G.M.A, che fosse un eccentrico genio della fisica, che frequentasse il Centro di Fisica Teorica e docenti della locale Università… Morì all’inizio degli anni ’90, lasciando come sola eredità nota l’assurda struttura nel bosco, la “macchina del tempo”… macchina con la quale nessuno, sia ben inteso, riuscì mai a compiere alcun viaggio.

Altre notizie: sul
sito del Corpo Pompieri Volontari di Trieste
e sul sito degli Amici della Terra.

domenica 18 gennaio 2009

il rimboschimento del Carso

Non tutti sanno che l'aspetto attuale del Carso, con i suoi boschi di pini, è cosa tutto sommato recente.
Due secoli fa il paesaggio più comune era la cosiddetta "landa carsica", ovvero poco più di un deserto roccioso, utilizzabile al più come stentato pascolo.
Come accennavo qui, il rimboschimento fu il risultato di un'opera titanica, realizzata a cavallo tra il XIX ed il XX secolo e, come vedremo, non priva di difficoltà.
Dettagli interessanti li ho scoperti in uno scritto di Ario Tribel - L’imboschimento del Carso (in “Guida dei dintorni di Trieste”, Società Alpina delle Giulie, Trieste 1909), che vi riporto di seguito:

Chiunque spinga i suoi passi sul brullo altipiano che sovrasta e circonda Trieste, rimarrà colpito da segni non dubbi di un’opera gigantesca, che lentamente ma costantemente progredisce e riuscirà certo a tramutare la melanconia di quei deserti di pietre nella ridente ubertà d’un suolo avvivato dal verde dei prati e dei boschi, vanto non piccolo questo della feconda operosità del patrio Consiglio, iniziatore e collaboratore di tale opera.
[…] L’impulso dell’opera feconda del rimboschimento del nostro altipiano partì dalla mente illuminata di Domenico Rossetti.
La Municipalità di Trieste, seguendo le sollecitazioni dell’illustre concittadino, ed i consigli del governatore d’allora, conte Francesco Stadion, iniziò nel 1842 le prime colture forestali nel Carso, che però, al pari degli esperimenti ripresi nel 1857, non sortirono l’effetto sperato, essendosi trascurate le più elementari cautele.
Il Comune di Trieste, per meglio riuscire nell’intento, nominò poi uno speciale commissione, la quale, assicuratasi l’opera ed il consiglio dell’ispettore forestale di Gorizia, Giuseppe Koller, fece rimboscare, nel 1859, due appezzamenti di terreno con piantagioni, a formelle e fosse, di pino nero e silvestre, frammistia essenze legnose indigene.
Questi esperimenti, continuati ed estesi poi con successo dalla commissione municipale, dimostrarono essere il pino nero la pianta più adatta alle condizioni del suolo e del clima del nostro altipiano, e meglio resistente.
In seguito il Consiglio municipale affidò la cura del rimboschimento ad uno speciale “comitato amministrativo d’imboschimento del Carso”, composto di tre membri del Consiglio municipale e di tre membri della Società Agraria, con a capo il presidente della Società stessa. Il comitato si costituì il 20 aprile 1870, con un annuo sussidio di fiorini 3000, assegnatigli dal Comune.
L’opera benefica di questo comitato vive negli appezzamenti da esso artificialmente rimboschiti, che allietano ora non piccole parti del territorio di Trieste, col verde intenso dei pini. Sono diciotto i boschi comunali da esso creati col nome d’uomini benemeriti che dedicarono cure e studi amorosi all’opera di rimboschimento.
Fino al 1882, nel quale anno il comitato amministrativo si sciolse, furono rimboschiti 109 ettari e 8288 m.q. di terreno, con 917.352 piantine. In tal modo sorsero i seguenti boschi comunali, la maggior parte di pino nero: Biasoletto (Chiadino), Napoli (S. Maria Maddalena Inferiore), Mauroner e Rossetti (Banne), Conti (Contovello), Volpi, Tommasini, Bertolini e Burgstaller-Bidischini (Opicina), Koller, Stadion, Nobile, Porenta e Pascotini (Basovizza), Captano e Kandler (Trebiciano), Scopoli (Padriciano), Vordoni e Mattioli (Gropada). Presso ogni bosco vi è una colonnetta recante lo stemma cittadino, le lettere B.C., che significano “Bosco Comunale”, il nome del bosco stesso, un numero romano indicante la serie, nonché l’anno in cui si diede principio alla piantagione.
Al “comitato amministrativo” subentrò la “commissione d’imboschimento del Carso”, che in base alla legge del 27 decembre 1881, deve restare in attività vent’anni. Questa commissione disimpegnò finora brillantemente il suo compito. Dalle relazioni pubblicate dal solerte ispettore forestale provinciale Giuseppe Pucich, apprendiamo che dell’area totale di ettari 1169 (quale appare dal catasto boschivo) destinata all’imboschimento, nel territorio di Trieste, dal 1882 al 1906, furono coperti di piantagioni 823.16 ettari, con una spesa di 152,695.50 corone.
Complessivamente furono impiegati 4261 chg. di semi e 10.905.180 piante, compresi i risarcimenti di vecchie colture e l’allevamento del sottobosco. (in media si collocano annualmente nel nostro territorio oltre mezzo milione di piantine e talee, con una spesa di 7-8000 corone all’anno.)
Delle varie essenze legnose furono prescelte fa le aghifoglie: il pino nero, il pino paroliniano, il pino d’Aleppo, il pino strobo, il pino laricio, (della Corsica), l’abete eccelso, l’abete bianco, il larice europeo, ecc.; e fra le latifoglie: l’acero, l’olmo, il frassino, il carpino, l’alno, la robinia, la quercia ed il faggio, che sono tra le specie legnose indigene del Carso.
Circa il metodo di coltura adottato per il rimboschimento del Carso si deve osservare come, in seguito alla prevenzione che le piante latifoglie indigene dovessero allignarvi meglio di tutte le altre, nelle prime colture sono state preferite appunto le piante a foglia larga, con la seminagione di circa 15.000 chg. di ghianda. Ma dopo alcuni anni queste piante perirono quasi tutte. Si ricorse allora alle conifere, e fra queste specialmente al “pino nero”, che diede ottimi risultati, mentre le altre aghifoglie, come larici, abeti, ecc. non corrisposero che mediocremente.
Il pino nero infatti sopporta a meraviglia i lunghi periodi di siccità della regione carsica e resiste vigorosamente alla violenza della bora; inoltre dà al suolo ricca messe di spoglie atte a produrre in pochi anni uno strato di terra vegetale ed preparare così il terreno a future piantagioni d’essenze legnose miste. Questo sarebbe l’ideale dell’imboschimento del nostro altipiano, tanto che per cura della commissione triestina, nei boschi di 35-40 anni, da rinnovarsi fra breve, furono iniziati precisamente allevamenti di sottobosco misto, destinati a sostituire col tempo le pinete ora esistenti.
Lasciato da parte il sistema delle seminagioni, che diede sinora risultati poco incoraggianti, si segue adesso, meno in singoli casi, quello delle piantagioni in buche (formelle) scegliendo di preferenza le piantine di due anni coltivate in appositi vivai. Le nuove piantagioni si eseguiscono in primavera, essendo le colture primaverili meno esposte ai danni della bora. (per difenderle dalla violenza della bora, le piantine vengono attorniate da sassi, che giovano pure a mantenere più a lungo l’umidità del terreno.)
I piantoncini si tolgono da appositi vivai tenuti a spese delle commissioni, e dagli orti forestali dello stato. La commissione triestina istituì già nel 1882 l’orto stabile di Basovizza, dell’area di 2700 m.q., il quale, dopo le migliorie recentemente introdottevi, è in grado non solo di fornire i piantoncini richiesti per gl’imboschimenti di quella commissione ma anche di cederne annualmente allo stato ed ai privati.
La deficienza di terra sull’altipiano ne rende in molti casi necessario il trasporto a mezzo di carri da siti anche lontani; altre volte invece si ricorre con minor spesa, allo strato di “humus” che provvidenzialmente riveste il fondo delle conche (doline), veri serbatoi di terra vegetale.
Oltre che dalle lunghe siccità estive e dalla violenza della bora, che sono i nemici acerrimi delle nostre colture forestali, altri danni non lievi vengono recati alle piantagioni boschive del Carso da voraci insetti che distruggono il novellame; e non di rado si aggiunge poi il vandalismo umano che, per ignoranza, per malizia, o per ire di partito, colpisce le opere di civiltà con l’arma terribile del fuoco. Solo nel territorio di Trieste, dal 1882 al 1906 si ebbero 71 incendio di boschi, di cui non pochi dovuti alle solite… “cause ignote”.
Ma se un giorno, come ormai appare certo, l’imboschimento del Carso riuscirà a dare al nostro altipiano l’antico decoro di selve e di prati, lo stesso carsolino benedirà indubbiamente l’opera feconda, da lui inconsultamente osteggiata, apportatrice di benefici immensi, oggetto d’ammirazione per il forestiere e di vanto per il nostro Comune (L’opera delle commissioni riunite d’imboschimento del Carso venne premiata col “Grand Prix” all’esposizione mondiale di Parigi del 1900.)

Quello del piromane sloveno non era un mito personale del Tribel. Ne parla anche Scipio Slataper (peraltro, con una certa perversa ammirazione) ne “Il mio Carso”:

Lo sloveno mi guarda seccato. - Brucia i boschi che gli italiani, gente sfatta di venti secoli, portarono qui per potere andare a sentire la conferenza di Donna Paola e entrar nella Borsa senza bora! - Lo sloveno mi dà un'occhiata sghignante, taglia un ramo, estrae di tasca vecchi fiammiferi che ardon con lenta fiamma violetta, e accende paziente il foco. Io l'aizzo, ma egli fa un passatempo di pastore; io l'aizzo come se fossi slavo di sangue. O Italia no, no! Quando il boschetto cominciò ad ardere, io m'impaurii e volli correre per soccorso. Ma egli mi. disse: - Xe lontan i pompieri - ;sorrise lentamente, raccolse la frusta, e andò spingendo le quattro vacche. Io mi sdraiai, sfinito. "Così calava Alboino!"

Oggidì l'aspetto e l'ambiente del Carso è senz'altro diverso e, indubbiamente, migliore - anche perchè la diffusione del bosco ha arricchito enormemente il patrimonio faunistico. Limitate zone di landa carsica sopravvivono ancora, e mantenerle tali è però un bene: non solo come testimonianza ambientale, ma anche per la necessaria differenziazione. Infatti anche se l'ambiente del bosco è più ricco, è anche essenzialmente diverso da quello della landa carsica; quindi, perdere del tutto la landa carsica significherebbe anche perdere parte del patrimonio ambientale.

sabato 17 gennaio 2009

cent'anni dopo





Esattamente un secolo separa queste due foto.
La prima è tratta dalla "Guida dei dintorni di Trieste" della Società Alpina delle Giulie, pubblicata nel 1909, la seconda è stata scattata oggi.
Si tratta dell'edificio della "Scuola Popolare" della Lega Nazionale; la "Guida" della SAG ci informa:

A chilometri 1 1/2 da Santa Croce, sulla sinistra della strada maestra che scende dolcemente verso Nabresina, sorge la bella scuola che venne aperta dalla Lega Nazionale nell'anno 1894, con due classi miste. Ad essa è annesso il giardino infantile, che accoglie un buon numero di bambini. L'edificio, di simpatica architettura, fu eretto su disegno dell'ing. Giorgio Polli di Trieste. Anche in questa come nelle altre scuole della Lega, i bambini durante l'inverno ricevono la refezione e le bambine vengono fornite del necessario per i lavori muliebri. Questa scuola gode, da parecchi anni, del diritto di pubblicità. Nell'edificio c'è anche la scuola professionale per gli scalpellini (serale e festiva), pure con diritto di pubblicità.

Più che sullo stato della manutenzione dell'edificio (su cui è meglio sorvolare...), voglio farvi notare il contorno circostante: oggidì vi è un bel bosco di pini, mentre un secolo fa l'ambiente era brullo e spoglio: si trattava della cosiddetta "landa carsica", un terreno destinato solo ad un magro pascolo.
Il bosco odierno è il risultato di una titanica operazione di rimboschimento, realizzata tra la seconda metà del XIX sec. ed i primi anni del XX; rimboschimento che fu effettuato non solo in questa zona, ma in tutto il territorio circostante Trieste.