sabato 28 dicembre 2013

Il "Rio del Sangue"

A est di Pesek si apre la valle di Vrhpolje: una zona ai confini della cosiddetta "Ciceria", tradizionalmente agricola, ricca di campi e di frutteti.
La valle è percorsa da un rivo, privo di vere e proprie sorgenti: scorre solo durante i periodi di pioggia, dalla quale è alimentato. Questo rio porta oggi l'inquietante nome di  "Krvavi Potok" ("Rio del Sangue"), ed il medesimo toponimo contraddistingue anche il piccolo paese, che sorge dove la strada tra Pesek e Nasirec scavalca il rio. 

Per trovare l'origine del toponimo dobbiamo andare agli inizi del XIX sec., all'epoca dell'occupazione francese.
Pare che la zona all'epoca fosse infestata da banditi, che rapinavano i viandanti, e quindi il 24 marzo 1810 il maresciallo Marmont promulgò il seguente editto:

Considerando
che la strada da Trieste a Fiume è stata in tutti i tempi infestata da assassini
che i disordini i quali avevano momentaneamente cessato ricominciano con più forza che mai e che gli è pubblicamente notorio essere stati questi disordini commessi dagli abitanti delle Comuni situate a traverso di questa strada
Volendo mettere un termine a simili disordini ed essendo l'unico mezzo di pervenirvi quello d interessare la gente onesta delle Comuni medesime onde concorrano alla punizione de colpevoli
Abbiamo ordinato ed ordiniamo quanto siegue 
Articolo 1 - Le Comuni situate sulla strada da Trieste a Fiume sono risponsabili degli avvenimenti contrarj alla sicurezza pubblica che seguiranno sul loro territorio 
Articolo 2 - Gli abitanti sono solidarìamente garanti del rimborso degli effetti derubati a viaggiatori salvo ad essi però d'essere risarciti sopra i bèni de colpevoli allorchè questi saranno stati denunciati presi e consegnati alla giustizia  
Articolo 3 - Seguendo un assassinio si prenderà dalla comune sul cui territorio sarà stato commesso un numero d individui doppio di quello degli assassinati in qualità di ostaggi i quali verranno spediti al castello di Trieste per rimanervi sino a tanto che i colpevoli saranno stati fermati e consegnati alla giustizia  
Articolo 4 - I colpevoli condannati a morte dalle commissioni militari dopo essere stati giustiziati verranno esposti sulla pubblica strada ad una delle entrate della loro Comune e vi resteranno indeterminatamente Gli abitanti di queste Comuni saranno almeno per sei mesi risponsabili della conservazione de corpi de condannati nel luogo ove saranno stati esposti sotto pena di una multa di mille franchi a profitto della cassa di beneficenza di Trieste 
 Articolo 5 - II generale comandante la prima divisione militare delle provincie Illiriche ed il generale capo dello stato maggiore generale sono incaricati ciascuno in ciò che li risguarda dell'esecuzione del presente ordine il quale sarà stampato negl idiomi italiano ed illirico affisso e pubblicato per tre Domeniche consecutive dal pulpito di ogni parrocchia ed affisso alla porta della Chiesa
All'editto seguì una feroce repressione: e numerosi "cici" abitanti della zona, imputati di aver rubato alcuni cavalli a dei soldati francesi, furono sommariamente giustiziati sulla strada, proprio in prossimità del rivo, che si guadagnò così il macabro nome che oggi, a distanza di due secoli, sopravvive ancora.


Bibliografia:
Giuseppe Mainati - "Croniche ossia memorie storiche sacro-profane di Trieste"



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mercoledì 25 dicembre 2013

L'incidente aereo sul "sentiero della Salvia"

Lungo il cosiddetto "Sentiero della Salvia", che porta da Santa Croce ad Aurisina correndo poco sopra la linea ferroviaria, si trova una lapide:


L'epigrafe è un po' laconica, e non fornisce molti indizi sull'evento commemorato:

Su questa roccia s'infransero le ali
dei piloti
Fiorano Ricco
Vittore Calzetta
27 marzo 1960
L'Aero Club Trieste a ricordo

La lapide ricorda un incidente capitato ad un piccolo aereo da turismo, uno Stinson L5 Sentinel (I-AEFR) (che non era propriamente un aereo da turismo, ma un aereo da ricognizione dell'USAF; tuttavia, per le sue caratteristiche e diffusione, all'epoca era comunemente usato come aereo da turismo).

Decollato dall'aereoporto di Merna, avrebbe dovuto sorvolare Miramare, per lanciare una corona in mare durante una cerimonia per commemorare l'anniversario della morte del Duca d'Aosta.

Tuttavia le condizioni meteo erano pessime, nella zona c'era una fitta nebbia, e dopo mezz'ora di volo l'aereo si schianto sulle rocce ove adesso è posta la lapide.
Al momento dello schianto, l'aereo stava seguendo una rotta in direzione nord: quindi, presumibilmente, dopo aver rinunciato a raggiungere Miramar, stava cercando di rientrare a Merna (o di raggiungere l'aeroporto di Prosecco).

Fiorano Ricco, nativo di Milano, aveva conseguito il brevetto di volo nel 1917 e lavorava a Trieste come dirigente in una ditta nel settore del caffè.
Vittore Calzetta era invece nato a Treviso, aveva conseguito il brevetto nel 1945 ed era impiegato come pilota collaudatore alla Lancia di Trieste.


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martedì 8 ottobre 2013

La leggenda dell'eroe Zuino

friuli
il castello vecchio di Duino

Vi sono momenti in cui la storia si fa oscura, lasciando spazio quindi ad ipotesi che possono sfumare nella leggenda.
Ma spesso queste teorie, proprio per l'alone leggendario che le ammanta, risultano affascinanti: ed è giusto quindi proporle, ed elaborarle... sperando che un giorno la Storia possa confermarle.

Abbiamo visto che il Castel Pucino, o Palazzo d'Attila, in origine era una torre di avvistamento romana.
Questa torre faceva parte di un complesso, che percorreva e presidiava tutta la costa; ed ogni torre era costruita in modo da essere visibile da quelle contigue.
La prima torre era posta ove oggi sorge la Rocca di Monfalcone.
La seconda era appunto quella che sarebbe diventata Castel Pucino.
Le rovine della successiva sono oggi inglobate nel mastio del Castello di Duino. Di questa si ha notizia che Teodorico ne ordinò il restauro nel V secolo, e che un secolo dopo era presidio bizantino.
E l'ultima infine a Moncolano, l'attuale Contovello.

Ognuna di queste torri ebbe la sua storia, ed attorno a queste per secoli si incrociarono le umane vicende dei luoghi.
La torre di Castel Pucino si crede che trovò la sua fine nel X sec., in seguito ad una scorreria degli Ungari, durante la quale venne cinta d'assedio e distrutta.
Venne inviato a ricostruirla Zuino, vassallo di Aquileia, un condottiero originario dell'omonimo paese del Friuli meridionale. Ma Zuino, vedendo le rovine della torre, preferì edificare il proprio castello in un punto più difendibile, e precisamente sullo sperone di roccia antistante la torre romana più a sud (anch'essa ormai, probabilmente, ridotta ad un cumulo di rovine).
Sorse così quello che oggi chiamiamo "castelvecchio di Duino": un complesso piccolo, ma difeso in maniera formidabile, e praticamente inespugnabile.
E, secondo questa teoria, dalla storpiatura del nome del condottiero Zuino deriverebbe appunto il toponimo "Duino".
Quali i documenti a sostegno di questa affascinante teoria (esposta originariamente nel 1882 da Rodolfo Pichler nel suo "Il Castello di Duino: Memorie") ?

  • a Zuino fu rinvenuta una lapide risalente al IX o X secolo, con un'epigrafe dedicata all'eroe Zuino
  • in un documento del 1313 si riporta che i Duinati avevano proprietà in Zuino "da tempo antichissimo"


Oggi cerchereste invano "Zuino" sulla mappa del Friuli; il paese, che fino al 1940 conservava il nome di "Tor di Zuino", in seguito ai lavori di bonifica svolti nella zona fu ribattezzato con il (brutto) neotoponimo di Torviscosa.
Il toponimo originale sopravvive però nel nome attribuito ai suoi abitanti: gli abitanti di Torviscosa sono detti infatti "Torzuinesi".

sabato 28 settembre 2013

il castello di Sistiana


E' quasi dimenticato il fatto che a Sistiana, in prossimità dell'attuale distributore di benzina, una volta si trovava un castello, costruito verso la fine del XV sec. per la difesa contro le scorrerie turche.
Nell'800 fu adibito a stazione di posta e, più tardi, ospitò uffici amministrativi e, in parte, abitazioni.
Danneggiato durante la prima guerra mondiale, fu demolito negli anni '20.

In questa foto, risalente alla prima guerra mondiale, possiamo notare alcuni militari (probabilmente appartenenti al Seebataillon Triest )

domenica 22 settembre 2013

il Palazzo d'Attila

L'attuale Villaggio del Pescatore sorge su quella che in realtà era una baia, interrata e bonificata negli anni '50. Però fino al secolo scorso, dove oggi ci sono le case del Villaggio del Pescatore c'era una palude e, qualche secolo prima, il mare.
Tale baia era detta "del catino" o "Val Catin", ed era chiusa da una scogliera ancora oggi visibile dietro alle costruzioni del primo nucleo abitato del Villaggio.
Sul ciglio di tale scogliera si trovano dei resti murari, fatti di pietre squadrate legate con malta, di non facile interpretazione (soprattutto oggi, in quanto per la maggior parte celate dalla folta vegetazione). Alcune foto risalenti all'epoca precedente alla prima guerra mondiale, quando la vegetazione era quasi assente, rendono l'idea dell'imponenza e complessità delle opere murarie.
Si intravedono anche i resti di un pavimento in cocciopesto, realizzato con rottami di pietra carsica e laterizi, legati con malta, con una cavità sottostante ormai occlusa (forse una cisterna?). Resti di laterizi si notano anche nella zona circostante.

il Palazzo d'Attila nei primi anni del XX secolo


Popolarmente queste rovine sono dette "Palazzo d'Attila", in quanto secondo la leggenda il "palazzo" venne dapprima utilizzato e poi distrutto da Attila nel 452, nel corso della campagna militare contro Aquileia.
E' tuttavia possibile che si tratti del mitico "Castellum Pucinum" citato da Plinio, e che si tratti del medesimo "Potium" o "Pucium" nel quale nel 737 d.C. venne rinchiuso il patriarca di Aquileia Callisto: la posizione dominante, che permetteva un efficace controllo sia della baia che della strada di accesso, ben si prestava ad un'opera militare di controllo.
I resti, come si presentano oggi
Secondo P. Kandler, nella zona sottostante si trovavano degli anelli in ferro infissi nella roccia per l'attracco delle navi.

Riporto la descrizione dettagliata da http://siticar.units.it/ca/adriatico/sito.jsp?id=4_A :

Il sito si estende sulla cima del rilievo carsico dominante sulla baia detta “del Boccatino” o “Val Catin”, interrata negli anni ’50 per permettere l’estendersi del Villaggio del Pescatore. I resti attualmente visibili, attribuiti fino ad anni recenti ad epoca medievale, sono situati sulla cima del rilievo retrostante all’area corrispondente al sito di Casa Pahor, UT 159. Come già intuito dal Puschi, il corpo principale si dispone su tre livelli dei quali i primi due costituiscono le sostruzioni al complesso abitativo vero e proprio, situato più in alto. Esse, realizzate interamente in opera cementizia con paramenti a blocchi regolari, si articolano in due strutture parallele lunghe oltre 40 metri che definiscono l'estensione verso mare dell'intero complesso, superando un dislivello totale di almeno 10 metri. La struttura più esterna, costruita sulla roccia a strapiombo sul mare, opportunamente scalpellata, presenta un fronte articolato da contrafforti larghi c.ca 2 metri per una profondità di 3,50. La pulizia ne ha individuato tre che si legano saldamente alla struttura retrostante lasciando una luce di 5 metri scarsi. Il contrafforte più occidentale è anche pilastro angolare e limita l'estensione del complesso su questo lato: il muro che da questo si dipartiva verso nord-ovest, seguendo la forma del "Boccatino vecchio" è in parte crollato e non rilevabile. Sulla base di alcune particolarità rilevate in planimetria, è possibile che su questo lato si aprisse una ingresso secondario (quello principale doveva trovarsi verso nord-est), forse collegato attraverso infrastrutture in legno ad un sentiero (UT ) che permetteva di raggiungere il mare e fonti d'acqua potabile delle quali si conserva memoria orale. La seconda linea di sostruzione, perfettamente parallela alla prima, è conservata in questo punto con un alzato di due metri c.ca, nel quale si notano alcune buche porta palo e tre riseghe lievemente aggettanti. Da questa struttura, dopo c.ca sette metri verso sud-est, se ne diparte un'altra perpendicolare che si aggancia alla prima sostruzione e termina con una pietra angolare, vevendo a definire appunto, un possibile ambiente collegabile ad un ingresso aperto sul lato nord-occidentale del complesso. Il quartiere abitativo occupa il terzo livello. Ad esso sono riferibili numerose strutture delimitanti alcuni ambienti dei quali uno presenta una superficie a cocciopesto-signino gettato su volta. Il sottostante ambiente, non indagato perché completamente riempito, può forse nascondere una cisterna o vani relativi ad un cryptoportico, spesso ricavato quest'ultimo all'interno delle sostruzioni.


lunedì 16 settembre 2013

le lumache viventi nelle rocce di Duino


Il barone Valvasor, importante storico del XVII sec., nonché studioso di tutte le curiosità della regione, riportò anche la curiosa notizia di "lumache viventi nelle rocce di Duino":

Negli scogli rocciosi sopra Tybein - che il popolino chiama Duin - si rinvengono lumache che vivono nel sasso, vicino al mare. Infatti colà si stendono grandi scogli rocciosi dai quali con pesanti martelli si staccano grossi pezzi, ed allora vi si trovano dentro grandi lumache nere, che sono veramente delicate da mangiare e così saporite come le ostriche. Esse sono grandi quanto un pugno; la pietra ove vivono è piuttosto fratturata e piena di piccoli forellini. Dovrebbe dunque esistere nell'interno degli scogli rocciosi una certa mucillaggine, dalla quale la natura fa nascere rane e lumache. E poiché la pietra ha molti forellini, l'aria non può mancare alle lumache ivi prigioniere

Queste "lumache delle rocce" altro non sono che il Dattero di Mare (Lithophaga lithophaga), caratteristico mollusco una volta ricercato per le sue carni, ma oggi intoccabile: visti i gravissimi danni procurati dalla pesca del Dattero di Mare, ne è vietatissima la pesca e la detenzione.
Data poi la lentissima crescita (per raggiungere i 5 cm può impiegare anche 20 anni), è economicamente improponibile anche qualsiasi forma di allevamento.


domenica 15 settembre 2013

il libro vetta del Monte Lanaro

E' tradizione che sulle vette alpine si trovi un "libro vetta", custodito in cassette (o, un tempo, vasi sigillati) sulle quali ogni alpinista lascia traccia della propria presenza, firmandosi e scrivendo brevi frasi o citazioni.
Dal 1880 al 1902 una bottiglia di vetro nascosta in una fessura della roccia costituì il "libro vetta" del Monte Lanaro, e generazioni di escursionisti della Società Alpina delle Giulie vi depositarono bigliettini autografi.
La bottiglia con il suo contenuto venne infine ritirata dalla Società Alpina delle Giulie nel 1902, e quelle memorie furono raccolte ed ordinate cronologicamente in un apposito album.
Il primo biglietto portava la data del 29 agosto 1880; mentre gli escursionisti più fedeli ed assidui risultano Giuseppe, Paolina e Giusto Cossutta.

sabato 3 agosto 2013

Mostra "La Grande Guerra in casa - la memoria rimossa"



A cura dell'Associazione HERMADA, dal 9 AGOSTO AL 27 OTTOBRE 2013 presso la Galleria Centro Skerk (Ternova Piccola 15) si terrà la mostra "SOLDATI E CIVILI LA GRANDE GUERRA IN CASA - LA MEMORIA RIMOSSA"

97° Imperiale e regio reggimento di fanteria 97° K.u.K. Infanterie-Regiment "Freiherr von Waldstaetten"

L'inaugurazione avrà luogo il 9 agosto alle 20.30, a Ternova Piccola 15.

Disponibile il pieghevole con il programma completo.

venerdì 28 giugno 2013

l'obelisco di Opicina


L'obelisco che svetta alla sommità della Strada Nuova per Opicina, in prossimità del quadrivio, fu eretto proprio per celebrare la costruzione di tale strada.
Progettato da Biagio Valle, studente di architettura figlio di Valentino Valle, l'obelisco fu commissionato nel 1834 e, in teoria, avrebbe dovuto esser consegnato il 22 ottobre 1838 - data nella quale era prevista la visita a Trieste dell'imperatore Ferdinando I.

veduta dell'obelisco in occasione della visita dell''Imperatore Ferdinando
con l'imperatrice Marianna nel 1844

In realtà numerosi intoppi fecero slittare la data di consegna prevista: dapprima incertezze sul luogo del posizionamento, poi la rottura del carro che lo trasportò dalla cava Zagorsko di Monrupino,  poi ancora problemi al verricello usato per erigerlo... anche la prevista visita dell'Imperatore a Trieste non avvenne, e quindi l'obelisco fu completato appena il 30 marzo 1839, ma senza nessuna cerimonia ufficiale...

mercoledì 19 giugno 2013

la Vedetta del Giubileo (o Vecchia Vedetta Italia)

Nel 1908 il Club Touristi Triestini, per celebrare i 60 anni di regno dell'Imperatore Francesco Giuseppe, eresse una maestosa vedetta in prossimità della "Strada Vicentina", sul fondo Doran.
La vedetta, sotto forma di torre in pietra bianca, alta 11 m, fu progettata dall'arch. Carlo Hesky, e realizzata con fondi frutto di una sottoscrizione pubblica.


Una lapide, realizzata dagli allievi della I.R. Scuola Industriale di Stato, riportava un'epigrafe di Pietro Tomasin:

POSTERIS MONVMENTUM
SEXAGESIMI ANNI GLORIOSI REGNI
OPTIMI CAESARIS
FRANCISCI IOSEPHI I
HANC SPECVLAM
ERIGENDAM CVRAVIT
CLUB TOVRISTI TRIESTINI
MCMVIII

(a ricordo per i posteri del LX anno del glorioso regno dell'ottimo Cesare Francesco Giuseppe I il Club Touristi Triestini fece erigere questa vedetta, 1908)

La vedetta sopravvisse alla prima guerra mondiale, nel corso della quale altre vedette e costruzioni lungo il ciglione furono invece demolite per non servire come possibile riferimento all'artiglieria italiana.
Perché questa vedetta fu risparmiata? Forse perché sufficientemente lontana dalla città da poter essere utile come riferimento, o forse per rispetto della figura a cui era dedicata... non lo sappiamo.
Nel primo dopoguerra, nel 1922, il Club Touristi Triestini fu sciolto e la vedetta passò alla Società Alpina delle Giulie, che la ribattezzò "vedetta Italia" e sostituì l'epigrafe:

LE ALPI IL MARE LA CITTA' REDENTA
UN SOLO SGUARDO AVVOLGE
LA SOCIETA' ALPINA DELLE GIULIE INCIDE
VEDETTA ITALIA
MCMXXIII

La vedetta fu demolita nel 1944 dall'esercito germanico, in quanto possibile riferimento per i bombardieri, ed il materiale completamente asportato. Tant'è che oggi si riesce a trovare a fatica qualche minima traccia della costruzione: qualche resto di plinto in calcestruzzo, nascosto tra l'erba, è l'unica testimonianza che ci resta.


lunedì 17 giugno 2013

il tesoro della Grotta delle Monete di Erpelle/Hrpelje

Nell'ottobre del 1921 nella grotta successivamente accatastata al numero 557, fu trovato il più classico dei tesori: alcune pentole conservavano oltre cinquemila monete, perlopiù d'argento e poche d'oro.
Il tesoro risaliva probabilmente agli inizi del 1400, perché comprendeva monete d'oro dei dogi Lorenzo Celsi, Marco Corner, Andrea Contarini e Antonio Venier. Le monete d'argento erano invece grossi, soldini e piccoli della Repubblica di Venezia, denari dei Patriarcati d'Aquileia, della zecca padovana dei Carraresi e di Luigi I d'Angiò, re di Ungheria, e risalgono a tempi che vanno dalla seconda metà del secolo XIV agli inizi del XV.
L'annuncio del ritrovamento fu dato dal prof. Sticotti, direttore del Museo Civico di Storia ed Arte di Trieste, presso il quale le monete furono portate (e dove presumibilmente si trovano tutt'oggi).
La grotta si trova a sud-ovest di Erpelle (precisamente: "m. 1190 O + 24° S da Erpelle"), ai margini di una dolina; non l'ho visitata ma l'esplorazione (una volta superato il primo pozzo di 3 metri) non dovrebbe essere particolarmente impegnativa.
In prossimità della stessa si trova una tabella turistica che ricorda il fatto.

Bibliografia: "Duemila Grotte", pag. 284

rilievo originale della Grotta delle Monete del 1921

domenica 19 maggio 2013

Biscia dal collare (Natrix Natrix)

Diffusa nelle (poche) zone umide del Carso, non è comunque molto facile da incontrare: estremamente timida  e riservata, priva com'è di alcun reale strumento di difesa, preferisce mantenere un "basso profilo" e restarsene nascosta...

Ha due sole difese: emette un fluido dall'odore sgradevole, e finge la morte, restandosene immobile.
Quindi, se ne incontrate una apparentemente morta... lasciatela in pace e non toccatela. Limitatevi a guardarla.

Si ciba quasi esclusivamente di piccoli anfibi (rane).

L'esemplare di questo video è stato ripreso in Val Rosandra:

lunedì 4 marzo 2013

la dolina celtica di Basovizza

La cosiddetta "dolina celtica" di Basovizza è non solo uno dei luoghi più affascinanti del Carso, ma anche uno dei più misteriosi; tanto da aver generato un vero florilegio di ipotesi sulla sua origine, ed una suggestiva leggenda.

La si trova nel bosco, a sinistra della strada sterrata che da Basovizza conduce a Sesana:


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La dolina, profonda circa 6 metri, ha una forma triangolare; lungo il lato sud un muro massiccio sostiene un ripiano artificiale, sotto il quale si apre una cavità, una cameretta circolare, a cui si accede per un corridoio con il soffitto di grandi lastre calcaree
Gli altri due lati della dolina sono costituiti da gradoni, costituiti da massi megalitici e con un riempimento caotico di pietrame. I gradoni verso nord-est sono meglio conservati, mentre gli altri (forse incompiuti) sono parzialmente crollati.
Un'altra stanza ipogea, dotata di due piccole finestre e con il soffitto a falsa cupola, si trova lungo una delle gradinate.
Un elemento curioso sono una serie di rozze steli, parzialmente scolpite: sorta di piccoli menhir, originariamente distribuiti lungo tutti i gradoni e sul ripiano artificiale; oggi molti sono crollati ed altri purtroppo, nel corso del tempo asportati. La sommità di queste steli è a forcella, come a servire da sostegno per una balaustra.
Fino agli inizi del '900 tutta la costruzione era circondata da un massiccio muro di pietra, dotato di un unico ingresso. Questo muro fu demolito per ricavarne materiale per le dighe foranee del Punto Franco Nuovo.
Certamente non si tratta di una delle normali doline, spietrate ed attrezzate con gradoni a fini agricoli: non pare che la dolina sia mai stata coltivata, e le ridotte dimensioni non avrebbero mai giustificato un tale lavoro (alcuni dei massi impiegati nella costruzione pesano più di 2 tonnellate!)
Saggi di scavi archeologici non hanno fornito risultati significativi: nell'ipogeo inferiore sono stati trovati alcuni cocci romani e protostorici, la cui origine non è però determinabile con certezza.
Questa costruzione viene citata per la prima volta nel 1630, in un documento (1) relativo alle confinazioni tra il territorio di Trieste e la contea di Schwarzenegg di Benvenuto Petazzi; tra i riferimenti di confine, viene citata una "vale o Dolina nella quale dicessi già stato un Cortile dei Misteri."
Quindi, già allora l'origine e la finalità di tale costruzione erano sconosciute... anche se il nome "Cortile dei Misteri" potrebbe darci un indizio.
Come prevedibile, una ridda di ipotesi sono state formulate per spiegare l'origine di questo complesso; andrò  qui ad elencarle sinteticamente, senza preoccuparmi di confutarle (anche perché, date le premesse, anche la più inverosimile di tali ipotesi è comunque legittima).

Tempio celtico al dio Cernunnos

Vi è chi vi vede un tempio celtico dedicato al dio celtico Cernunnos (in questa zona dal IV sec. a.C. erano insediati i Carni, una tribù di lingua e cultura celtica); effettivamente l'ipogeo sarebbe abbastanza simile alle tombe dolmeniche, se non fosse per la copertura a volta...

Tribunale celtico

Vi è chi, sempre rifacendosi alla cultura celtica, vi ha riconosciuto un tribunale; lascio che questa teoria venga esposta da Sergio in questo bel filmato, che presenta la "dolina celtica" nella suggestione invernale:



Sede dei Bogomili

E' detta anche "Dolina dei Bogomili", per delle similitudini architettoniche con siti archeologici della Bosnia-Erzegovina riconducibili all'eresia bogomila.
Il Bogomilismo fu una setta eretica cristiana, che nacque nel X secolo come derivazione dalla setta affine dei pauliciani; si sviluppò nel XIII secolo anche in Serbia e Bosnia, e successivamente influenzò la nascita del movimento dei catari.
Sono molto labili gli indizi che potrebbero legare questo dolina al bogomilismo; però non è inverosimile ipotizzare che, nella migrazione dalla Bosnia verso l'Occitania, un gruppo di Bogomili si sia fermato nelle nostre zone...

Teatro Istriota

La struttura della costruzione ricorda proprio quella di un teatro; inoltre nei pressi si trovava un serraglio, luogo di mercato del bestiame, e quindi tradizionale punto d'incontro.
Poiché questa teoria non riuscirebbe a dare una collocazione precisa nel tempo all'edificazione di questo teatro, e poiché lo stesso sembra del tutto alieno alla popolazione autoctona slovena, fu attribuito a genti istriane, che sarebbero giunte periodicamente nel luogo proprio per i commerci di bestiame.
Io peraltro osservo che l'ipotesi che si tratti d un teatro è suffragata anche dal nome "Cortile dei Misteri" attribuitogli nel 1630.  Infatti a partire dal XV sec. il "mistero" era una rappresentazione del teatro popolare a carattere religioso.

La leggenda di Sterpacevo

Secondo una leggenda, tutto il complesso fu eretto in pochi mesi da un contadino dalla forza erculea, per nascondere il tesoro del suo padrone.
Si tratta di una bellissima leggenda, che mi riservo di narrare con più dovizia di dettagli in un prossimo post.


Postazione di artiglieria austro-ungarica

Citerò per ultima l'ipotesi più inverosimile; e poiché, nella sua inverosimiglianza, è contemporaneamente anche quella formulata dalla fonte più autorevole, è l'unica che mi prenderò la briga di confutare.
Alla fine degli anni '70 la locale Sovrintendenza liquidò la costruzione classificandola come postazione di artiglieria dell'esercito Austro-Ungarico, costruita nel 1915 per iniziativa di un capitano ungherese, che avrebbe fatto trasportare il materiale necessario  fin dalle cave di Monrupino.
Perché inverosimile? Per diversi motivi...
Intanto, anche a non voler prestar fede al documento del 1630, esistono testimonianze della sua esistenza già nei primissimi anni del '900 (ricordo che il muro circostante proprio in quegli anni fu demolito per recuperare il materiale per la costruzione delle dighe foranee); quindi, non può esser stata costruita nel 1915.
Poi perché, con quella forma, non avrebbe potuto essere che una postazione per un mortaio di grosso calibro. La costruzione di queste postazioni non era casuale, ma dettata da ben rigorosi principi ingegneristici; di postazioni del genere ce ne sono diverse lungo le pendici dell'Hermada, alcune molto ben conservate; e chiunque si prenda la briga di confrontarle, non potrà non rendersi conto che sono del tutto differenti.
Intanto mancano alcune strutture indispensabili ad una postazione di artiglieria (ad esempio, il bunker con l'ingresso a meandro per proteggere i serventi durante lo sparo).
Poi, per la costruzione di queste postazioni veniva sempre fatto un certo uso di calcestruzzo - magari limitato (era un prodotto costoso e di limitata di disponibilità), ma ad esempio nelle file superiori dei conci veniva usato sempre, per solidarizzarli maggiormente. Il calcestruzzo è invece del tutto assente a Basovizza.
Non si comprende poi perché avrebbero dovuto far arrivare fin da Monrupino rocce di quella dimensione, quando il medesimo risultato si sarebbe potuto ottenere con pietrame di pezzatura ben inferiore (come peraltro, sempre dagli austro-ungarici, è stato fatto proprio alle pendici dell'Hermada).  
Pare mancare poi la rampa di accesso, indispensabile per porre in batteria un pezzo di artiglieria di grosso calibro.
Appare quindi veramente strano che la Sovrintendenza abbia voluto far propria un'ipotesi così bizzarra.


Per approfondire:
  • Dante Cannarella, "Leggende del Carso Triestino", Ed. Italo Svevo, Trieste 2004
  • Dario Marini, "Leggende, dicerie, miti e misteri del Carso", Gruppo Speleologico Flondar, Duino-Aurisina 2004
Note:

(1) - " Laudo per confini fra Trieste e Schwarzenegg", 1632







venerdì 22 febbraio 2013

sogno

Se hai fantasia e la mente pura, un organo dalle canne di ghiaccio in una cattedrale di roccia ti farà sentire una soave melodia.