mercoledì 16 settembre 2009

Le bombe a mano (racconto)

Il Carso è terra di uomini, e quindi è anche terra di Storie.
E vi sono Storie grandi e Storie piccole; e quelle che si tramandano, e magari si studiano a scuola, sono le Storie grandi; ma per ogni Storia grande ci sono cento, mille piccole Storie; e non è detto che non valgano la pena di esser raccontate.
Questa è una piccola Storia. E, come tutte le piccole Storie (ma anche qualcuna delle grandi) è nata, è corsa di bocca in bocca, ed è sopravvissuta solo nella memoria di qualcuno. Quindi, non sappiamo se è andata proprio così... ma potrebbe, e tanto ci basta.

Negli anni '60 e '70 il Carso era molto frequentato da piccoli gruppi di speleologi (o “grottisti”, come amavano definirsi): esperti, meno esperti, giovani cani sciolti, esploravano e riesploravano grotte note, si arrampicavano alla ricerca di rami nascosti, scavavano e si infilavano in stretti budelli alla ricerca di nuove cavità. Raramente muniti di attrezzature adeguate, quasi sempre dotati di attrezzi artigianali (se non addirittura improvvisati), quello che animava quei giovani era lo spirito dei pionieri. Ed erano tanti che, armati di corda e lampada a carburo, riscoprivano così il fascino dell'avventura alle porte di casa.
Un'estate accadde che un gruppo di giovani speleologi, esplorando una grotta nei dintorni di Aurisina, fece una scoperta in quegli anni invero abbastanza frequente: vi trovò due bombe a mano, residuati bellici; si trattava di bombe a mano tedesche, le “Stielhandgranate”, ma comunemente chiamate “schiacciapatate” per il caratteristico manico in legno.
Possiamo immaginare l'eccitazione che tale scoperta causò nei giovani: chi avrebbe voluto portarsele a casa, chi suggeriva di provare a tirarle “per vedere se funzionavano ancora” (e perché non avrebbero dovuto? Erano in ottime condizioni...), chi nasconderle nuovamente, quasi fossero un piccolo tesoro...
Ma quelli erano ancora gli anni in cui, ogni primavera, venivano affissi tristissimi manifesti, che ritraevano bambini orrendamente mutilati, e che ammonivano a non toccare i residuati bellici. Quindi il ragazzo più grande della compagnia (forse solo un po' meno incosciente degli altri), prese la decisione più saggia: avvertire i carabinieri.
Gli altri ragazzi si dileguarono alla chetichella; lui invece si avviò di buon passo alla caserma dei carabinieri di Aurisina, che distava pochi chilometri. (Eh si: anche se parliamo di poco più di trent'anni fa, all'epoca il mezzo più diffuso per muoversi in Carso erano ancora i piedi; ed una passeggiata di pochi chilometri non spaventava nessuno).
Giuntovi, si presentò al militare di guardia, spiegandogli di aver rinvenuto due bombe a mano in una grotta nelle vicinanze.
Il militare lo accompagnò in una stanza, ove sedette ad una scrivania, rovistò in un cassetto, e vi estrasse la carta topografica della zona, che dispiegò cerimoniosamente sul tavolo.
Dunque, lei avrebbe trovato due bombe a mano in una grotta... e dove sarebbe questa grotta?
Il ragazzo si chinò sulla carta per studiarla, e quindi indicò un punto:
Ecco, vicino a questo incrocio parte un sentiero... seguendolo, dopo questa curva bisogna superare un muretto, e nella seconda dolina si trova la grotta...
Il militare guardò la mappa poco convinto:
Ma lì non è segnata nessuna grotta!
E grazie! Se pensa di trovare sulla sua carta tutte le grotte del Carso, stiamo freschi! Sono più di duemila, ed a segnarle tutte sulla sua mappa ne verrebbe fuori una macchia unica! Lì ne trova segnate poche, solo le più importanti...
Il militare lo guardò di sottecchi, infastidito dalla lezione non richiesta.
Ed in questa grotta allora ci sarebbero due bombe a mano...
Ah no, non più” - lo interruppe il ragazzo - “le bombe a mano sono qui!
E così dicendo le estrasse dal tascapane, e le posò al centro del tavolo, proprio sopra la carta topografica.
Il militare strabuzzò gli occhi, sorpreso e spaventato, e si buttò istintivamente all'indietro. Ma così facendo perse l'equilibrio e, mulinando le braccia cercando di riguadagnarlo, si afferrò alla mappa. Un attimo dopo era a terra assieme alla sedia, alla carta e ad una delle due bombe...
L'ufficiale che accorse, richiamato dal frastuono (oltre che dalle imprecazioni urlate dal militare), si divertì molto alle spiegazioni dell'accaduto, e congedò il ragazzo con una risata ed una stretta di mano.
Le bombe a mano, infine, furono fatte brillare dagli artificieri parecchio tempo dopo, assieme ad altri residuati rinvenuti sul Carso nel frattempo.
Molte altre, purtroppo, non fecero la stessa fine; ed in alcuni casi resero reali le immagini da incubo dei manifesti che ammonivano: “NON RACCOGLIETELE!

giovedì 10 settembre 2009

La leggenda delle due sorelle

Tutti conoscono la leggenda della Dama Bianca, legata al bianco scoglio sotto al castello di Duino; pochi invece conoscono la suggestiva (ed altrettanto triste) leggenda delle due sorelle, legata a due scogli gemelli che si trovano sulla costa rocciosa, tra Canovella de' Zoppoli e la Baia di Sistiana.

Secondo questa leggenda due sorelle, che percorrevano il sentiero lungo la costa, un giorno di tempesta sarebbero state fatte precipitare in mare da un'onda gigantesca; e quindi si sarebbero trasformate nella caratteristica coppia di scogli.

La leggenda fu narrata in una poesia dalla Principessa Teresa Maria Beatrice della Torre-Hofer-Valsassina (1817-1893), castellana di Duino. Riscopriamola quindi nei suoi versi:

Dell'alta costa - al piè giacenti,
In nivea tinta, - qual per incanto,
Quasi fantasmi - dal mar sporgenti,
Vedi due massi - l'un l'altro accanto
Sbattuti e rosi - dall'onde felle;
Sono due scogli - e fur sorelle.

Antica voce - narra, che a sera
Ognor tornando, - due giovanette
Lievi moveano - sulla riviera,
Il mar fissando - mute e solette.
Eran sì bianche - eran sì belle!
Né mai disgiunte; - eran sorelle.

Qual fu la speme, - quale il desio
Sempre deluso - che in lor ardea?
Che avvinte insieme - su quel pendio
All'orlo estremo - ahi, le traea?
Noto al mar forse - ed alle stelle
Era il mistero - delle sorelle.

Ma un dì che furo - all'irta sponda,
Sempre aspettando - chi non venia,
Un nembo surse - e giù nell'onda
Insiem travolte - se le rapia!
Giacquero immote - le poverelle
Unite sempre - perché sorelle.

Ed ora, quando - il firmamento
Pallido fassi - e il sol s'adima,
Nel mar tuffandosi - già sonnolento,
Delle due rupi - sull'ardua cima
Brillan cerulee - doppie fiammelle;
Sono gli spiriti - delle sorelle.

Deposto il remo - il pio nocchiero,
Con gli occhi fisi - e ai lumi intenti,
Volge pietoso - il suo pensiero
Alla memoria - delle innocenti,
Pace pregando - alle sorelle;
In vita e in morte - sempre gemelle.

domenica 6 settembre 2009

grotte perdute del Carso triestino

La mia affermazione che in Carso vi sarebbero diverse "grotte perdute" (ovvero scoperte, rilevate ed accatastate, e mai più ritrovate) ha suscitato un po' di curiosità...

Ed effettivamente perdere una grotta non è proprio come perdere gli occhiali o le chiavi, e spesso si tratta di storie curiose...

Comincio dalla già citata 172/VG887 - Grotta nera di Prepotto
Fu scoperta nel 1892 da Andrea Perko che (dopo la scoperta delle sepolture nella vicina caverna Moser), cominciò una serie di esplorazioni sistematiche della zona alla ricerca di altre grotte di interesse archeologico.
Secondo le indicazioni del Perko, la Grotta Nera si trovava circa ad un chilometro dalla Grotta Noè (23/90VG) e che tra questa e la Grotta Nera si apriva la Caverna Moser (476/1096VG).
La grotta fu descritta come una lunga galleria ricca di formazioni calcitiche cristalline e di bacini d'acqua, che terminava con un corridoio ascendente impraticabile, dal quale, al tempo delle esplorazioni, usciva una forte corrente d'aria. L'imbocco era situato sul lato Ovest di una piccola dolina ed aveva la forma di un ferro da stiro, con una lunghezza di 1.7m.
Dopo la prima guerra mondiale, non si riuscì più a trovare tale cavità, nonostante generazioni di speleologi abbiano meticolosamente battuto la zona, alla ricerca dei più piccoli indizi...
Le ipotesi sono tante.
La più probabile è che, nel corso della prima guerra mondiale, sia stata adattata a rifugio dagli austro-ungarici. Magari l'ingresso è stato modificato e cementato e, al termine del conflitto, deliberatamente ostruito.
Un'altra ipotesi è quella dell'errore macroscopico nel rilievo della posizione; la grotta quindi, ancorchè perduta, si troverebbe ben lontana dalla posizione indicata dal Perko.
Un'altra ipotesi (ma sconfiniamo nella leggenda) vuole che sia stata usata come nascondiglio dai partigiani durante la seconda guerra mondiale, e fatta quindi saltare per cause belliche...

Un'altra interessante "grotta perduta" è la VG2287 - Abisso III di Gropada
Esplorato nel 1924 dalla XXX Ottobre, rilevato da Cesare Prez, e da allora scomparso.
L'aspetto curioso è che, nel corso delle ricerche di questa "grotta perduta" Federico Deponte, nel 2004, rinvenne un'altra cavità di tutto rispetto, battezzata "Abisso IV di Gropada" (7067/6364VG)

680 / VG3732 - Grotta a Nord Est di Ceroglie
E' una piccola grotta (complessivamente 12 m di sviluppo), descritta semplicemente come un piccolo pozzo, dalle pareti irregolari, che sbocca in una breve galleria, addattata a ricovero militare durante la prima guerra mondiale.
Possiamo tranquillamente applicare anche a questa le leggende della "Grotta Nera" che la vollero rifugio di partigiani, occlusa per cause belliche...

Vi sono poi molte cavità minori che, probabilmente, non sono ancora state dichiarate "perdute" solo perchè nessuno si è preso ancora la briga di cercarle... ad esempio, sembra introvabile la GROTTA PRESSO AURISINA (745/3912VG).
Sembra che, da svariati anni, nessuno sia riuscito a trovarla... men che meno io. Volete provare voi?

venerdì 4 settembre 2009

Cose ignote ha il paese natale anche a chi lo crede più noto

Questa citazione di Silvio Benco è diventata un po’ il motto di questo blog.
Infatti uno degli aspetti più sorprendenti del Carso è la possibilità che, a pochi passi dal sentiero che ci è familiare, si celi qualcosa di sconosciuto ed inaspettato. Spesso basta fare pochi passi per trovare grotte, o testimonianze storiche più o meno antiche, tracce degli animali più vari, curiosità botaniche,… l’importante è avere il coraggio di abbandonare il sentiero (1), e sviluppare un certo “naso” per decidere dove abbandonarlo… e anche, perché no, un certo “occhio” per saper individuare quanto vi è di interessante in mezzo alla mimetizzazione naturale della vegetazione. E avere, ovviamente, anche un pizzico di fortuna.
E se può esser facilissimo scoprire qualcosa per caso, può rivelarsi impossibile o quasi cercare qualcosa di specifico, senza avere indicazioni più che precise su cosa e dove cercare… a qualsiasi speleologo sarà capitato di perdere intere giornate a ricercare una certa grotta, pur avendo indicazioni precise su dove cercarla… e poi magari rinunciarci. Per tornarci poi con la guida di qualche amico che, solo per esserci già stato, lo condurrà a colpo sicuro, mostrandogli l’ingresso subito dietro a quel certo cespuglio già inutilmente ispezionato il giorno prima…
Ci sono storie di grotte scoperte (anche un secolo fa), rilevate, iscritte al catasto… e mai più ritrovate.
Ad esempio, la "Grotta Nera di Prepotto" (172/887 VG) fu scoperta e rilevata nel 1892. Era anche di notevoli dimensioni (92 metri di sviluppo e 27 di profondità), l'ingresso ben descritto, ben descritta la dolina in cui si trovava... cionondimeno, fu probabilmente ostruita durante la prima guerra mondiale, e nessuno da allora fu capace di ritrovarla, nonostante generazioni di speleologi abbiano battuto la zona palmo a palmo...
Vi è una leggenda, che vorrebbe ci sia un carro armato tedesco della seconda guerra mondiale, abbandonato in mezzo alla vegetazione in uno dei valloni dietro al Faro della Vittoria… Sarà vero? Io personalmente non l’ho mai trovato, ma ho battuto la zona e, data la vegetazione (più folta che non una jungla vietnamita), potrebbero essercene anche 10, di carri armati…
Un esempio valido a questo proposito è il segnale fisso di mira del monte Gurca: quante volte mi è capitato di passarne a pochi metri di distanza, senza accorgermi della sua presenza?
Ma anche Dante Cannarella, ad esempio, scriveva nel 1975 nella sua “Guida del Carso Triestino”:
Mi si dice che alle falde del Monte Lanaro, vicino al poligono di tiro, ci sia un’altra dolina-laghetto; ma io non sono riuscito a trovarla: chi sa che non riusciate a trovarla voi! E’ proprio questo il divertimento.
Ebbene, questo stagno, invano cercato da Cannarella, io lo trovai quasi subito… ma non me ne faccio assolutamente un vanto, perché accadde per puro caso; e potrei citare altre dozzine di casi in cui invece (nonostante le indicazioni più o meno precise) mi è capitato di non trovare quanto cercato… Ovviamente adesso che so dov’è questo stagno, arrivarci è semplicissimo (e spero che Cannarella, negli ultimi trent’anni, abbia trovato qualcuno capace di condurcelo…)
(Siete curiosi di sapere dove sia questo stagno, e non avete voglia di cercarvelo? Vabbeh, se proprio volete rovinarvi il divertimento, è qui:

Visualizza Carso segreto in una mappa di dimensioni maggiori

(1) Il sentiero va abbandonato ovviamente con la dovuta prudenza: oltre a svariate centinaia di grotte, foibe ed inghiottitoi (nessuno dei quali transennato o segnalato), il terreno carsico è disseminato di innumerevoli buche, trincee e “bocche di lupo” – ottimamente celate, spesso, dalla vegetazione. Sorprendentemente, gli incidenti causati da tutte queste asperità sono stati pochissimi… a memoria d’uomo, non si ricorda ad esempio nessuna caduta accidentale di escursionisti in foibe o abissi. Per cortesia, cerchiamo di conservare tale tradizione…