venerdì 30 ottobre 2009

il sommaco

In questo periodo, subito dopo il primo freddo d'autunno, per merito del Sommaco ampie zone del Carso si tingono di colori che variano dal giallo oro al rosso brillante al porpora, e che paiono talvolta vere e proprie fiammate nel paesaggio della landa carsica.
Immagini suggestive, che hanno nel tempo evocato tristi figure retoriche: "il Carso, che si tinge di rosso per il sangue dei soldati caduti"...



Il merito, si diceva, è del Sommaco o Sommacco, un caratteristico arbusto il cui nome scientifico è Cotinus coggygria Scop. o Rhus cotinus L., ma che è anche noto come Scotano o con il suggestivo nome di "albero di nebbia" (nome dovuto alle infruttescenze, vistosamente piumate, e che paiono quasi sbuffi di fumo).
Pare che il nome di Rhus, e Rhous in greco, derivi dalla parola celtica rhud (rosso).
Non è da confondersi con il "Sommaco velenoso" (Rhus Toxicodendron). Il Sommaco nostrano non è certamente edibile, ma neppure velenoso come il Rhus Toxicodendron.

 

Le foglie, ricche di tannino e trementina, venivano una volta usate nella concia delle pelli, per la tintura delle stoffe, ma anche per un decotto fortemente astringente.
E se le foglie venivano usate per tingere di rosso, il legno veniva invece usato per ottenere il giallo.
Il legno di Sommaco (splendido, duro, compatto, con venature gialle e verdi) veniva usato in tornitura, dagli ebanisti, dai liutai e per fare pipe.



Nella landa carsica, battuta dalla Bora, la sua altezza raramente raggiunge i due metri. Ma se attecchisce in zone riparate, allora si sviluppa in altezza, raggiungendo anche la dignità di albero. A San Giovanni del Timavo, in prossimità della Chiesa, si trova un esemplare centenario, alto 7 metri e con il tronco della circonferenza di un metro).



E' una pianta eccezionalmente robusta, che si accontenta di affondare le proprie radici in pochi centimetri di terra tra le fessure della roccia. E neanche il fuoco riesce ad averne facilmente ragione: la foto sopra è stata scattata ad ottobre sul Monte Sei Busi, interessato lo scorso agosto da un ampio incendio boschivo. Sono passati poco più di due mesi ed i rami carbonizzati, spettrali, accolgono già ai loro piedi le prime foglie nuove...

lunedì 26 ottobre 2009

La Dolina dei Druidi di Fernetti

La Dolina dei Druidi di Fernetti... alias Valle della Luna, alias Dolina delle Streghe, alias Tempio del Sole (ma anche Tempio della Luna), e ancora la Dolina delle Streghe, o, prosaicamente, la Dolina Rossoni.

Uno degli angoli più chiacchierati del Carso, per il velo di mistero che circonda le sue bizzarre costruzioni, ormai in rovina...

Andiamo con ordine.

La Dolina... come la vogliamo chiamare? Per me, è sempre stata la Valle della Luna, e così mi piacerebbe continuare a chiamarla.... ma poichè ho scoperto che il suo vero nome sarebbe "Dolina dei Druidi", chiamiamola così, in rispetto del suo edificatore.

La Dolina dei Druidi si trova a poche decine di metri dall'autoporto di Fernetti. Per raggiungerla, bisogna seguire la strada che, da Fernetti, conduce verso Monrupino. Una volta superato il cavalcavia sopra all'autoporto, sulla sinistra c'è una piazzola di parcheggio.

Da lì, una strada sterrata corre parallelalmente al cavalcavia, verso l'autoporto, e poi piega a destra continuando a costeggiarlo. Dobbiamo seguirla (scavalcando i cumuli di immondizia scaricati dal soprastante autoporto... ah, la civiltà e l'educazione dei camionisti!) e, al termine di un'ampia curva, abbandoneremo (finalmente) l'autoporto seguendo un sentiero.

Un'immagine val più di mille parole. Quindi, seguite la mappa:

Visualizza Carso segreto in una mappa di dimensioni maggiori

Pochi metri, e sul bordo del sentiero cominciano le sorprese: tre grandi archi in pietra, seminascosti dalla vegetazione, ci indicano la porta verso un mondo suggestivo e mosterioso:
Da Dolina dei Druidi di Fernetti

Più avanti, scendendo nella dolina lungo una strada che la percorre a spirale, intravediamo i resti di costruzioni dall'aspetto fantastico: archi, guglie, finestre che occhieggiano sul nulla, e steli in gran parte abbattute che sembrano sentinelle...
Sul fondo, i resti infranti di un grande tavolo di pietra, che un tempo era circondato da lunghe file di scranni e sedili, e da un trono maestoso.

Dolina dei Druidi di Fernetti

Le rovine ci lasciano intuire un passato ancor più suggestivo; ed infatti in giro per la rete, troviamo immagini spettacolari:

La Dolina dei Druidi così come si presentava alla fine degli anni '60
(foto di Rofizal - forum Atrieste)


Tanto si è scritto in questi ultimi tempi su questa dolina che, abbandonata e dimenticata nel mondo reale, sembra esser stata di recente riscoperta nel mondo virtuale di internet... la descrizione più struggente e suggestiva lo troviamo nel blog Spifferi di Trieste, nel post Dolina Dolens... ma c'è anche un gruppo in Facebook che si chiede chi sia stato a costruirla... e la stessa domanda anche nel Forum ATrieste...

Le ipotesi che sono girate nel corso degli anni sono le più varie e folli: scenografia per un film, tempio per messe nere, tempio nazista... beh, nulla di tutto ciò.
Effettivamente, delle messe nere vi furono senz'altro celebrate: il rinvenimento sia pur sporadico di resti di candele nere, carcasse di polli e parafernalia vari lascia poco spazio a dubbi in proposito... ma non era certo nelle intenzioni del costruttore.
Come pure la dolina fu sede di moltissimi likoff: anche qui, il rinvenimento tutt'altro che sporadico di lattine di birra, di resti di falò e pantagrueliche grigliate non lascia proprio alcun spazio ad eventuali dubbi. Ma anche questo, penso, non era nelle intenzioni del costruttore.

E quindi?
La spiegazione certa sulla sua origine ce la dà Dante Cannarella, in "Leggende del Carso Triestino" (ed. Italo Svevo, 2004). Dante Cannarella ci racconta che negli anni '50 un "commerciante triestino" acquistò un vasto appezzamento di terreno (quasi un centinaio di ettari), e fece edificare da un contadino del luogo le bizzarre costruzioni.

Il commerciante riteneva quel luogo abitato dall'antico popolo dei Druidi, guidati da un saggio re. Gli obelischi eretti lungo la strada erano i suoi guerrieri, trasformati in pietra. Il popolo dei Druidi si era nascosto nelle grotte, in attesa del giorno in cui gli uomini avranno finito di distruggersi a vicenda...
Quando il sognatore artefice di tutto ciò morì, la struttura finì in abbandono, e pochi anni dopo fu sfiorata dal cantiere del nuovo autoporto, che la risparmiò per pochi metri...

Di solito, scoprire il fondamento di verità che sta alle basi di una leggenda significa smitizzarla e distruggerla. In questo caso non è così: la Dolina dei Druidi fu costruita da un romantico sognatore, e fu la realizzazione di un sogno... fu realizzata con passione e con amore, inseguendo un mito tra le aspre rocce del Carso.
Averne scoperto quindi la vera storia non la smitizza affatto, ma anzi, le dona un fascino nuovo, più completo, superiore a quello che le dava la sola l'incertezza della sua origine...
Perchè, scoprendone la vera storia perdiamo i "si dice"... ma la meraviglia resta.

Oggi gran parte del terreno circostante è coperto dall'asfalto dell'autoporto, i sentieri ingombri di immondizia... il popolo dei Druidi si sarà nascosto ancor più profondamente, per fuggire a tale scempio. Ma non si nasconderà di certo a chi ha occhi per vederlo.
Quindi noi possiamo ancora sederci sui resti degli scranni, ascoltare il vento... e sognare.

domenica 18 ottobre 2009

le colonne di Aurisina



Sulla strada provinciale, tra Aurisina e Santa Croce, si trovano due grandi colonne di marmo, sovrastate dall’Alabarda.
Le colonne furono erette in onore dell’imperatore Francesco I d’Austria, che il 30 aprile 1816 transitò per Aurisina, nel suo viaggio da Gorizia e diretto a Trieste.
Su una delle colonne era iscritta un’epigrafe, oggi scomparsa:
IMPERATORI.ET.REGI.F.I.
TERGESTE.DIE.XX.M.APRIL.
A.MDCCCXVI
ADVENTVRO
CIVITAS.SVAM.IN.EVM.DEVOTIONEM
TESTARE.ANHELANS
AD.TERRITORY.LIMEN
MONUMENTUM.ISTUD
POSTERIS.TAM.FAVSTVM.DIEM
ENARRATVRVM
POSVIT
(evidentemente, la visita dell’imperatore avvenne con dieci giorni di ritardo rispetto alla data prevista…)

Nel secondo dopoguerra, a cura dei militari alleati, una colonna fu spostata per permettere l’allargamento della strada.

Nel 2003 le alabarde sovrastanti le colonne furono restaurate a cura dei Civici Musei di Storia ed Arte di Trieste.

Pochi sanno che, poiché il confine tra i comuni di Trieste ed Aurisina corre lungo la strada provinciale, accade che la colonna di sinistra (per chi proviene da Santa Croce) appartiene al Comune di Trieste, mentre quella di destra appartiene invece al Comune di Duino Aurisina.

Il 18 dicembre 2006, in seguito ad un incidente stradale, venne abbattuta la colonna di sinistra (ovvero quella di proprietà del Comune di Trieste). Nei giorni successivi vi fu un tentativo di furto del “melone”, ovvero della grossa sfera di marmo che sovrastava la colonna rovinata, e che giaceva a terra assieme agli altri resti della colonna. La sfera di marmo fu però fortunatamente ritrovata poco distante, occultata sotto rami e foglie. Venne quindi recuperata con un mezzo della Protezione Civile di Duino Aurisina, e custodita fino al restauro, che si concluse appena nel settembre 2007.

Il colpo d’occhio delle due colonne è oggi rovinato da un lampione, infelicemente posizionato proprio a ridosso delle stesse.

Aggiornamento di gennaio 2010: è stato installato un nuovo impianto di lluminazione delle colonne, che le valorizza sensibilmente. Avvicinandosi di notte ad Aurisina lungo la strada provinciale, il colpo d'occhio è notevole...
(fonte: Il Piccolo 14/1/2010)