lunedì 12 gennaio 2015

Le "jazere"

Un'attività curiosa svolta in Carso fino ad alcuni decenni fa, ed oggi scomparsa, è quella della produzione, conservazione e successiva vendita del ghiaccio.
Venivano utilizzate allo scopo le cosiddette "jazere": profondi pozzi in muratura, scavati in prossimità di stagni, in determinate zone che si prestavano a questo scopo.
Questa attività pare essersi sviluppata nel corso del XVIII sec., e venne abbandonata tra il 1930 ed il 1940, soppiantata in quegli anni dalla produzione industriale di ghiaccio.

Il ghiaccio, accumulato nelle "jazere" durante l'inverno, veniva poi smerciato nel periodo più caldo, trasportandolo a Trieste su carri trainati da buoi che potevano trasportare fino a 35 quintali.

Era un'attività economicamente importante: all'epoca non esistevano altre fonti di produzione del ghiaccio, e lo stesso veniva venduto nelle stagioni più calde a caro prezzo (pare che, in determinati periodi, il prezzo di un Kg di ghiaccio fosse equivalente a quello di un Kg di carne!!!)
Vi era un certo consumo domestico (non esistevano frigoriferi, sostituiti dalla "jazera" domestica, un piccolo armadietto metallico isolato nel quale veniva deposto un blocco di ghiaccio per abbassarne la temperatura); però i clienti più importanti erano la birreria Dreher e gli ospedali.
Il consumo non era solamente locale: all'inizio del XX sec. il ghiaccio veniva imbarcato e trasportato fino ad Alessandria d'Egitto, e durante il trasporto pare che la perdita in volume sia stata solo dell'ordine del 10-12 %.

Sembra che ci siano state due differenti tecniche di produzione:

Una, utilizzata nelle zone più favorevoli (ovvero quelle con temperature più rigide, come ad esempio la zona di Draga), prevedeva che dalla superficie dello stagno venissero tagliati direttamente barre di ghiaccio di cm. 80x20/25; queste barre venivano poi calate nelle adiacenti "jazere", allineate e coperte da foglie secche e tavole. Strati successivi di barre di ghiaccio, foglie e tavole si sovrapponevano fino a riempire completamente la jazera.

Un'altra tecnica, probabilmente praticata in zone meno fredde o negli inverni meno rigidi, consisteva nel rimuovere periodicamente il sottile crostello di ghiaccio che si formava sulla superficie dello stagno, e di depositarlo nella "jazera". Qui i crostelli si consolidavano, fondendosi tra di loro e formando blocchi più massicci e consistenti, che venivano poi segati ed "estratti" nel corso della stagione calda.

Per tagliare il ghiaccio si usava un tipo particolare di ascia, mentre per movimentare le barre venivano usati degli uncini in ferro.

La jazera era protetta da un tetto, e si trovava normalmente in zone ombrose, onde favorire la conservazione del ghiaccio.

Varie jazere erano distribuite su tutta la zona carsica; oggi ne sono visibili i resti di alcune nella zona di Draga, di una in prossimità di Rupingrande, e di una a Slivia.

resti di una delle "jazere" di Draga

lo stagno di Draga


panoramica: lo stagno di Draga a sinistra e, a pochi metri di distanza, la "jazera"



lo stagno di Draga ghiacciato
Gli spessori di ghiaccio che si realizzano oggi devono essere sensibilmente inferiori a quelli ottenuti un secolo fa


sabato 10 gennaio 2015

i fornelli da mina di Contovello

Se da Prosecco ci avviamo verso Trieste lungo Strada del Friuli, poco dopo Contovello troveremo, sulla destra, un piccolo parcheggio.
A sinistra un grande roccione sovrasta la strada, che in quel punto si allarga ed è sostenuta da un possente muro in calcestruzzo.


Se rivolgiamo la nostra attenzione al roccione, vedremo che alla sua base si aprono tre cavità dall'accesso di forma quasi quadrata, oggi murato.
Queste cavità, un tempo, erano chiuse da porte in ferro, e pare che in precedenza fossero mimetizzate con il calcare circostante (tracce di questa "mimetizzazione" si vedono ancora).

Dietro a quegli accessi si trovano dei pozzetti, profondi alcuni metri: si tratta di "fornelli da mina", ovvero di cavità appositamente predisposte per essere riempite di esplosivo e far saltare la strada, interrompendola.
E' probabile che un'analoga cavità, ad andamento però orizzontale, si trovi sulla parete del muro di sostegno sottostante. Non è agevole ispezionare quella zona, e quindi è difficile confermarlo.


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Quando furono costruiti ?
Questi fornelli da mina (così come alcuni analoghi lungo la Strada Costiera) non hanno una datazione certa. Si ipotizza che risalgano alla seconda guerra mondiale, ma si tratta - appunto - solo di ipotesi.
E' anche possibile che risalgano al periodo della "guerra fredda", ovvero agli anni '50 o '60. E forse questa ipotesi - data la loro collocazione - è anche la più probabile.
E qui, per capirlo, bisogna comprendere quale fosse la loro funzione.
Fornelli da mina analoghi si trovano infatti anche lungo la strada costiera (anche se raggiungerli è decisamente più impegnativo); ma anche (di tipo differente) sul viadotto ferroviario di Aurisina e, in genere, su ogni importante via di comunicazione a nord di Trieste.
A sud di Trieste, invece, nulla.
Perché questo?
Non si deve pensare che l'interruzione di queste due strade (Strada del Friuli e Strada Costiera) servisse ad impedire (o almeno rallentare) l'accesso ad un ipotetico invasore da nord, ma, al contrario, servivano ad impedire che l'eventuale invasore, una volta occupata Trieste, potesse proseguire verso nord...
Trieste infatti sulle direttrici sud ed est è, dal punto di vista militare, assolutamente indifendibile: che si trattasse dell'Esercito jugoslavo o del Patto di Varsavia, anche solo pensare di organizzare una qualche difesa della città lungo il confine sud o est era militarmente una follia irrealizzabile.
Quindi, in caso di conflitto, Trieste sarebbe stata sicuramente abbandonata, e la resistenza sarebbe cominciata oltre il Timavo e sulla "soglia di Gorizia" (non a caso, le fortificazioni italiane della "fanteria d'arresto", disseminate lungo tutta le regione, iniziano proprio a Doberdò, mentre in tutto il territorio di Trieste non ce n'è neanche una...)
In questa ottica, le mine lungo la Strada Costiera e Strada del Friuli avrebbero, se non bloccato, comunque rallentato l'avanzata dell'esercito attaccante.
E' ragionevole pensare che analoghi fornelli si trovassero (e forse si trovino tuttora) anche lungo la vecchia "SS202" (la cosiddetta "camionale"), che costituiva la terza via di comunicazione verso nord: è probabile che tali fornelli siano stati poi demoliti nel corso dei lavori di costruzione della E70, che ne conserva il percorso quasi inalterato. Oppure, questa arteria sarebbe stata bloccata facendo saltare il soprastante viadotto ferroviario di Aurisina (che è predisposto per essere minato proprio in corrispondenza della E70).

Da fornelli da mina di Strada del Friuli

Tornando ai fornelli da mina di Contovello: uno fu aperto, ispezionato e parzialmente rilevato nel 1989 dalla Società Adriatica di Speleologia (si veda Trieste Sotterranea, ed. Lint, pag. 353), ed è stato accatastato con il numero CA588 FVG-TS.
Nel testo di parla di UN solo fornello da mina, appunto perché in tale occasione solo uno fu esplorato e rilevato (mentre invece sono innegabilmente tre...).

Negli anni '90 pare che i fornelli da mina di Contovello furono nuovamente aperti ed ispezionati, alla ricerca di possibili "Nasco" dell'Organizzazione Gladio. Al termine dell'ispezione (in cui non risulta che fosse rilevato alcunché di anomalo) furono murati.